15 settembre 2020

Di legno e di bronzo

Anche se vado in giro a sollazzarmi sulle Alpi Svizzere per giorni e notti, il mio gioco preferito rimane l'orienteering, e contro ogni logica e prudenza mi presento al via degli italiani sprint e long, che nell'annus horribilis del Covid non potevano che essere ospitati in Primiero, dato che lì hanno stuoli di organizzatori pronti ad ogni evenienza.

La gara sprint è forse la competizione più assurda a cui io mi possa presentare nelle mie condizioni: sono passati 8 giorni dal termine dei miei 316 km + 22.000 m d+ e d- e qualche mio muscolo potrebbe ricordarselo, e ho ancora il cervello cotonato per le troppe ore di sonno perse. Due giorni prima della gara ho provato a fare degli scatti, e le gambe mi hanno chiesto di preciso cosa fossero, ma insomma chissene, arrivo a San Martino di Castrozza (in mezzo alle Dolomiti, cioè a casa mia) e vediamo cosa ne viene fuori.

Ne viene fuori che 

- andando alla 1 mi confondo un po' e mi fermo in mezzo alla strada a 100 dalla lanterna nonostante fossi esattamente dove dovevo essere

- alla 3 faccio il miglior tempo a pari merito con altri 3

- alla 4 forse sbaglio scelta ma lo faccio in fretta

- alla 5 di corsa in salita faccio il secondo tempo a 2'' dal primo

- alla 6 mi sa che sbaglio scelta

- alla 7 forse anche ma perdo solo 4''

- alla 8 faccio il miglior tempo a pari merito con altri 3

- alla 9 lascio 5'' tutti di corsa

-  alla 10 e alla 11 idem altri 3'' e 3''

- alla 12 ne perdo 13 un po' probabilmente anche di scelta

- alla 13 faccio il miglior tempo 

e alla 14 arriva l'oste con il conto, mi presento all'unico incrocio serio del paese con troppo cotone nel cervello, e infilo stupidamente la strada sbagliata, lasciandoci "solo" 30'' solo perché in fondo ci sono delle scalette che per culo vanno dove dovrei andare io. 

Da lì in poi le gambe non si dimostrano più all'altezza degli avversari, e cedo un paio di secondi a lanterna, chiudendo in 15.03, medaglia di legno a 4 (quattro) secondi dal terzo, Matteo Morara, ritornato inopinatamente alle competizioni dopo un digiuno di qualche lustro (ultima gara da sito FISO nel 2011...).

Primo Davide Martignago, in un 13.34 che probabilmente non sarei riuscito a fare neanche senza Swiss Peaks, secondo Tommaso Civera in 14.11, tempo che invece era alla mia portata. Che vuol dire che purtroppo non sono ancora abbastanza vecchio per lasciare la M35.

 
           

Domenica invece si corre a Passo Valles, altro posto splendido circondato dalle Dolomiti, e cartina tutto aperti e rocce, di quelle che se sono in giornata storta mi fermo a piangere qui e là e arrivo a 25' dal primo.
 
E invece.

Il cervello cotonato, in verità un po' meno del sabato, pare adatto a questa carta, le gambe girano bene per quanto il terreno infame permetta di farle girare, e resisto persino alla pressione psicologica di Tommaso Civera, che mi aveva preso alla 2 ma che poi naufraga alla 9 (dopo che comunque avevo punzonato prima di lui la 3, la 4, la 5, la 6 e la 7) e di Davide Martignago, che mi partiva 4' prima e che trovo alla 8 e rimaniamo poi insieme fino alla fine, ma guido spesso io.
 
Nessun crimine orientistico, un po' lento alla 1 e un po' di culo alla 2, preciso e "in carta" dalla 3 alla fine (con leggero sbandamento alla 11, dove con Davide andiamo un po' a spasso per le paludi perché non mi accorgo che la curva maestra non vuol dire la collina più alta), e addirittura 3 migliori tempi (nella prateria per la 7 e nelle salite per la 15 e la 16).

Ne viene fuori un inaspettato e gradito bronzo, dietro al Rientrato (che mi dà 7 minuti, tanto di cappello) e ad Andrea Bruno, sceso recentemente dall'elite (e che me ne dà solo meno di 2, che potevo anche risparmiare quà e là).

Mi porto a casa la mia medaglietta (che in realtà pare mi arriverà per posta, perché causa Covid premiano solo gli elite, con un protocollo igienico che al confronto i centri di medicina intensiva sono dei covi di sporcizia) e un gravissimo dubbio su quale categoria correre agli italiani middle, dato che mi M35 siamo in quattro gatti e la maggior parte dei miei compagni di gioco degli anni scorsi sono sparpagliati in M40 o in M45.

9 settembre 2020

Swiss Peaks, the days after

Prima o poi scriverò qualcosa anche sul "durante", ma oggi sguazzo nel "dopo", e dato che nessuno ne parla mai, mi sembrava carino provare a raccontarne.

Se sei arrivato in fondo ad una gara di 316 km con poco meno di 22.000 metri di dislivello, dopo  quattro giorni e rotti su e giù per le montagne, dormendo in tutto meno di 10 ore, vuol dire che fisicamente qualche carta da giocarti ce l'hai. Però prima o poi il fisico torna a battere cassa, chiedendoti indietro quelle mille mila calorie che hai consumato (senza reintegrarle, stando al significativo aumento del numero di costole che riesci a contare guardandoti allo specchio senza maglietta) e quelle svariate ore di sonno che hai seminato nel Vallese invece di metterle in saccoccia.

Il mio, di fisico, batte cassa a ritmi differenziati.

Le gambe sembrano non essersi mai mosse dal divano, ieri le ho portate a correre, e non hanno fatto una piega. Non sono sicurissimo di riuscire a convincerle entro sabato a scendere sotto i 10 min/km, ma sul lungo lento fanno le splendide. E già dal giorno dopo l'arrivo riuscivo a sedermi sul e alzarmi dal water senza usare le braccia, indicatore infallibile della piena funzionalità muscolare.

I piedi hanno riassorbito gran parte delle bolle e dei dolorini, riesco a mettere le scarpe, perfino le antinfortunistiche, e solo ogni tanto sono ancora un pelino gonfi. Ma cose ridicole, in proporzione allo sforzo profuso.

Lo stomaco è in caccia perenne. Dopo essere stato infastidito nei primi giorni post gara dal mio tradizionale "mescolamento di gusto" per cui ogni cosa che mettevo in bocca alla fine sapeva un po' da ciabatta di feltro, si aggira per il mondo a caccia di calorie, qualsiasi tipo di caloria, che venga dai tre piatti di zuppa di pesce di lunedì sera o dai 3 piatti di spaghetti aglio e olio di questa sera o dalle svariate fette di pane con burro di arachidi ecc. ecc. ecc.

La zucca, quella avrebbe ancora tanta tanta voglia di dormire. Dopo una domenica e un lunedì quasi brillanti, in cui mi sembrava di essere quasi fresco, passo le giornate a sognare di potermi addormentare su una panchina al sole, o meglio ancora sotto il piumone del letto di camera mia. Solo che non avendo perso il sonno per combattere il covid o per spalare le macerie da una città terremotata, bensì a rincorrere esclusivamente il mio personale (benché discutibile) sollazzo, la mia tendenza all'abbiocco non è socialmente molto accettabile (come un'ombra permanente sul viso di mia moglie mi ricorda con inesorabile continuità).

Tutto il resto del mio organismo è probabilmente impegnato nel risistemare lo sconquasso che sicuramente questa scampagnata gli ha procurato, ma lo fa nel segreto di milioni di processi fisico-chimici che vanno avanti per conto loro.

E l'anima? Boh, chissà, non mi pare di provare quel "senso di estraneità dalle cose e dal mondo" di cui tanti mi hanno parlato post Tor & C. ma mi sento sicuramente di condividere una frase di Ilaria: "Rivoglio la luce della luna, le stelle, le bandierine rosse. Almeno lì sai sempre cosa fare e dove andare".