21 settembre 2022

2 o-giorni del Primiero

A stretto giro di posta, dopo il racconto delle non entusiasmanti prestazioni del fine settimana in Valtellina, torno con il racconto delle solo un mini pelo più entusiasmanti prestazioni alla 2 giorni del Primiero.

Come tutti sanno il Primiero è la culla dell'orienteering come numero di praticanti, come carte, come entusiasmo delle società ecc. ecc. ecc. E' anche una figata di posto dove passare un fine settimana, quindi si va.

Primo giorno gara "promozionale" (con sistema di punzonatura air+...) in Val Canali, un paradiso un pelo sciupato da Vaia, che rimane però ai piedi delle Pale ed è quindi sempre uno spettacolo. Dalla fine del mio cambio di abito allo start con cartina in mano passano meno di 3' (pensavo che la partenza fosse più lontana e che ci fosse coda al punching start, invece no) e io ce ne metto almeno altri 15 a raccapezzarmi su cosa sto facendo. Per la 3 credo anche di dover fare il giro ad un dosso, che però è una bucona, ma io faccio davvero il giro ad un dosso. E poi scelta demenziale alla 4 e insensata alla 6, insomma, tragedie, almeno fino alla 9.

Poi, un po' la carta diventa parecchio più facile, un po' io entro un po' in gara e in carta grazie ad un non meglio precisato atleta con tuta Craft, che mi prende e battagliamo un po' prima che mi semini dopo la 16 (così io posso approfittarne per scendere a casaccio ala 17 e fare il peggior tempo alla 19 uscendo a caso dalla 18).

La domenica si è sciolta un po' della neve che è caduta il giorno prima a Passo Rolle, la giornata è bellina, il posto fantasmagorico, così mi esibisco subito in una delle mie migliori Partenze Alla Cazzo, e alla 1 sono già ottavo su 8 a 4' dal primo. Dovrei fare una buca nella neve e rimanere lì fino al disgelo 2023, ma il posto è troppo bello e ci sono ancora 9.5 kms per rimediare, proviamoci.

Tre minuti dietro di me partiva Roland Pin, che come al solito non si allena dal 1982, e che mi passa prima della 1. Lo avvisto in uscita dalla 3 e lo supero in uscita dalla 4, correndo come un disperato nei prati innevati (figata!!). Faccio una scelta migliore della sua per la 5, butto via un po' di secondi in zona punto alla 6, faccio bene la 7 (ma ci metto un minuto più di Ausermiller che probabilmente ha una motoslitta) e rivedo per l'ultima volta Roland attorno alla 8, dove io ho cincischiato parecchissimo in zona punto ma lui ci sta ancora arrivando.

Poi parto lungo il sentiero che è una distesa di paludine e zolle di erba, e, scongiurato il pericolo di tornare erroneamente alla 6, che con la cartina rovescia sembra un 9, galoppo con il miglior tempo alla 9 e con il migliorissimo alla 10. Qualcuno potrebbe dire che erano lanterne fisiche, ma ditelo ad Ausermiller, che è piuttosto fisico, e alla 10 perde 9 minuti e primato (quando lo raggiungo insieme ad Eddy, sta pascolando (in)felice troppo corto e troppo basso rispetto al punto).

Per la 11 ho le ali ai piedi, alla 12 mi sa che ci passo ad uno sputo ma non la vedo e procedo fino all'avvallamento successivo (1' buttato...e Ausermiller mi sorpassa, ma non in classifica)  e poi via di corsissima alla 13 - 14 - 15. Solo che ho sempre Ausermiller in vista e ovviamente mi distraggo, col risultato che in zona punto faccio una bestialità bestiale che mi costa 2'.

Fortunatamente avevo un discreto bottino, e riesco comunque a vincere la gara.

Eh, accontentiamoci.

20 settembre 2022

O-Tirano & O-Trivigno

Dopo mesi senza il brichetto al dito, interrotti solo dalla commendevole parentesi di VeNotte, a bordo del vascello del Pergine scavalco il Tonale e dopo 3.543 curve arrivo a Tirano, shakerato il giusto per arrivare quasi in partenza prima di ricordarmi di aver dimenticato la pozione anti asma. Torno e ritorno e arrivo in partenza all'ultimo, come mia consolidata discutibile tradizione.

Pronti via e sbaglio scelta alla 1, 15'' seminati dalla parte sbagliata del palazzone, e già ad inseguire. Alla 2 non indovino il sottopasso giusto per passare il famigerato "multilivello"  e poi c'è più o meno solo da correre fino alla 8, dove giungo in terza posizione, a 1' da Davide Martignago e a 12'' da Emiliano Corona.

Mi è fatale il sottopasso pedonale, dal quale esco storto, e nel tentativo di correzione rotta mi ficco in un cortile chiuso dove una signora mi guarda perplessa: 40'' di errore e ciao sogni di gloria.

Riesco a riacciuffare il terzo posto nonostante le gambe di ghisa e il cervello non propriamente reattivo, che mi vale un litro di succo di mela. Vediamo come va la long di domani.

Domani è un altro (bellissimo) giorno, da Trivigno lontano lontano si vedono pure il Rosa e il Cervino, arrivo in partenza meno in ritardo del solito (ma non senza dover tornare indietro per dimenticanza di bussola e brichetto...) e la 1 mi sembra talmente facile che ho il dubbio di aver sbagliato  cartina. Ma invece no, così ho il tempo per pensare "è una gara per me" (= non molto tecnica e molto da correre) e quindi di gettare le basi per mandare tutto in vacca.

Attacco un po' casual alla 2, alla 3 leggo una buca ma invece è un dosso, la 4 per errore la faccio giusta (ma comunque 17'' più lento di Emiliano) e alla 5 il cervello chiude per ferie, così dopo aver riconosciuto la roccia nel prato a 100 metri dal punto, me lo dimentico 5'' dopo, reinterpreto la carta 4 volte in pochi secondi, e vago lì intorno perdendo una decina di minuti e la dignità.

Ci sarebbe tutto il tempo per radrizzare la gara, ma non è proprio giornata e da lì alla fine riesco a fare un miglior tempo (alla 7), due secondi (8 e 13) e una serie di mediocrità, dovute a bolsaggine fisica e/o a scelte un po' (9, 10) o molto (14) discutibili e/o scelte giuste corse male (16, 17).

Chiudo mestamente 6° quello che solo un'ora prima della gara avevo scoperto essere il Campionato Italiano Long. Bei tempi quelli in cui vincevo le medaglie, adesso mi sono ridotto a fare il giovane fan di altre più meritevoli (?) atlete.



14 settembre 2022

UTMB, fuochino

Dopo qualche anno che le vedevo nei video e nelle fotografie, fra quella moltitudine di teste pigiate dietro l’arco di partenza dell’UTMB, quest’anno c’è anche la mia. La piazzetta davanti alla chiesa di Chamonix dal vivo è più piccola di quello che sembra nelle immagini, ma in qualche modo ci stanno comunque 2300 persone, che sono una marea.

Marea che sulle tradizionali note di Vangelis si mette in moto un po’ alla volta per iniziare quei 170 chilometri con 10.000 metri di dislivello all’ombra del Monte Bianco, che entro massimo 46 ore e mezza dovrebbero riportarci tutti qui.
I primi 30 chilometri sono qualcosa di completamente diverso da qualsiasi altra gara di trail al mondo. Si corre in mezzo ad un fiume di gente, con una folla ai lati del percorso, soprattutto ai punti di ristoro, che io ho visto solo in televisione al Giro d’Italia e al Tour.

Mentre corro nella notte che avanza, lungo sentieri fino a lì non proprio memorabili, mi viene un po’ da chiedermi cosa abbiano questi da strepitare in quel modo per degli Uno-Qualunque che ci stanno solo mettendo tanta buona volontà, ma essere acclamati come star dà piacevoli brividi lungo la schiena e poi c’è da pensare a qualcosa di ben più importante: la prima vera salita, quella al Col du Bonhomme. 

Nelle altre gare dopo un paio d’ore ti ritrovi da solo con il tuo ritmo e le tue gatte da pelare. Qui dopo 6 ore è ancora tutto un superare e venir superati, per quanto mi riguarda più la seconda della prima. A guardare la processione interminabile di luci che sale senza sosta, più che gente che sta facendo quello che ama, sembriamo i dannati di qualche girone dantesco, e la sensazione diventa ancora più forte quando in cima al passo, sotto un cielo che per l’occasione ha lucidato tutte le sue stelle, a fermarsi a guardare in su sono solo quelli bloccati da un impellente bisogno fisiologico.

Non mi sembra di andare male, eppure perdo altre 102 posizioni nella discesa dal colle e altre 53 nella salita successiva, quella che ci fa superare il confine del Col de la Seigne e giungere in Italia, assestandomi al 631esimo posto. Non che conti qualcosa, ma al morale, e quindi alle gambe, non fa mai bene vedere schiene che se ne vanno.

Fortuna che le prime luci del giorno iniziano a giocare con le cime, i ghiaioni e i ghiacciai del Monte Bianco, e il tracciato si infila nella parte più bella di tutta la gara. La Val Veny e la Val Ferret sono probabilmente fra i posti più belli al mondo dove correre, e fra le due c’è la base vita di Courmayeur, che costringe ad una discreta perdita di quota, ma permette di tirare un po’ il fiato, cambiarsi, mangiare e ripartire un po’ più freschi. 

Tutti quelli che hanno corso l’UTMB dicono che “la gara comincia a Courmayeur”, e la mia sembra cominciare proprio bene. Nonostante le 14 e passa ore già sul groppone, finalmente non mi supera più nessuno e continuo a raggiungere gente. Pare che il carburante “bellezza” sia per le mie gambe più efficace di gel, aminoacidi e tutto quello che si può trovare ai ristori, e qui di bellezza c’è quasi da fare indigestione. Il cielo è terso e si corre per ore a fianco del Monte Bianco, alla giusta distanza per gustarne infiniti scorci uno più bello dell’altro. La salita al Gran Col Ferret sarebbe di suo quasi sfiancante, ma tutto quello che c’è intorno è troppo bello per potersi stancare, e la valle successiva in territorio svizzero chiede solo di lasciare andare le gambe e ringraziare di essere vivi e di poter essere qui.

Dopo il Pit stop ultra rapido a La Fouly, dove mi fermo solo 4 minuti, il percorso ti shakera nel bosco prima di farti risalire a Champex-Lac, dove da ore sogno di fare il bagno. Il sole è tramontato e non è più così caldo, ma sono da sempre un convinto sostenitore delle virtù rigeneranti di un tuffo in gara. Quando riemergo dalle acque e riesco a ripartire ne sono un po’ meno convinto e ci metto un po’ a tornare in temperatura. Ed è qui, dopo che ho recuperato più di 200 posizioni rispetto al mio piazzamento al Col de la Seigne, che i miei demoni affilano i coltelli e si preparano a sferrare la loro trionfale Blitz-Krieg.

Durante uno sforzo simile, che mette veramente alla prova anche i migliori atleti, ci sono sempre parti di te che vorrebbero convincerti a mollare, anche se fisicamente saresti all’altezza di quell’impegno. E loro, i tuoi demoni, ti conoscono meglio di chiunque altro, e sanno benissimo dove colpirti. I miei, ci mettono pochissimo a convincermi che è inammissibile che in una gara così celebrata ci sia una salita così brutta, e a farmi montare una rabbia malata che mi taglia le gambe e mi svuota il cervello, rendendomi inconcepibile qualsiasi scelta diversa dal ritiro. Così, nonostante i tentativi di qualche volontario di farmi cambiare idea, mollo a Trient, a 28 km dall’arrivo.

La salita, quella verso La Giete, era brutta davvero, ma se in quel momento fossi riuscito ad aggrapparmi ad un qualsiasi pensiero positivo, avrei superato quella che era solo una classica Crisi-in-gara, e sono certo che mi sarei goduto tantissimo le bellezze che ancora mi attendevano: un nuovo pezzo di notte stellata da attraversare, il colle che riportava nella valle di Chamonix dopo aver fatto il giro al massiccio con la cima più alta d’Europa, il tratto fra i pascoli fra Vallorcine e Col Montet, la salita bastarda a Tetes aux Vent, le luci di Chamonix in lontananza ad annunciare alla fine, l’applauso dei quattro gatti rimasti nelle vie del centro a festeggiare i finisher anche alle tre di notte, e chissà quante altre.

Quanto dicono che l’ultra trail è soprattutto una questione di testa, hanno ragione: con le gambe da sole al traguardo non ci arriverai mai.