Si sa che da giovani è importante provare più sport possibili per
poi scegliere quello “giusto” a cui consacrare i propri sogni e
le proprie fatiche, negli anni successivi.
Io ho dedicato la
settimana scorsa a perlustrare i miei talenti, o presunti tali.
Basket
Martedì 12 marzo
vengo convocato da coach Valla per la partita Bressanone – BlueBear, complice anche la “moria” di lunghi, dovuta a viaggi
all’estero e infortuni. In una palestra enorme dove sul parquet
sono tracciati millanta campi di colori diversi, vengo schierato
addirittura in quintetto base, cosa che non mi succedeva dal 1914.
L’impressione è che più che un atto di fiducia nei miei
confronti, si tratti di una specie di “via il dente via il dolore”:
qualche minuto in campo me lo deve pur concedere e allora togliamoci
subito il pensiero.
Anyway, chissene, sono in campo, gioco la palla a
due (perdendola) e mi godo 6-7 minuti in mezzo a gente in media 20
anni più giovane di me (con punte di 30 abbondanti) senza sfigurare:
difendo decentemente, piglio qualche rimbalzo in attacco e in difesa,
faccio alcuni buoni movimenti in attacco, e metto dentro anche 2
punti dopo rimbalzo in attacco (su tiro sbagliato, mio).
Quando mi
tira fuori mi sembra una ragionevole rotazione, e confido nel futuro
(ho sulla coscienza una imbarazzante palla persa per insensato
ribaltamento sull’altro lato del campo, senza passare dal giocatore
più vicino, ma mi pare un peccato perdonabile).
Futuro che si fa
attendere fino ad un paio di minuti prima della fine del secondo
quarto, che chiudiamo in vantaggio di 6 punti. All’inizio del terzo
quarto rimango in campo, ma duro molto meno. Un tiro sbagliato, una
stoppata ricevuta, un’altra palla persa fotocopia della precedente,
uno (o due?) buco in difesa, e questa volta il richiamo in panca sa
proprio di punizione. Infatti non metterò più piede in campo.
Vinciamo di 10 con un sontuoso ultimo quarto, nel quale mi limito ad
incitare dalla panchina. So di poter giocare parecchio meglio di
così.
Da capire se e come posso riuscire a farlo.
Ultratrail
Sabato 16 marzo si
corre l’Ultrabericus, la classicissima di primavera del trail
running, 65 km di insensati sentierini e stradicciole fra gli
insensati boschetti sui colli Berici, conditi da 2.500 metri di
dislivello e da milioni di primule e violette. L’anno scorso
(perché io questa corsa insensata l’ho già fatta 4 volte) ci sono
arrivato dopo 3 mesi di stop causa fascite plantare e con un totale
di 80 km nelle gambe da inizio anno, e l’ho patita da morire.
Quest’anno mi sono allenato come un matto e sono pronto a correrla
in 7 ore o poco più.
Invece un cavolo,
probabilmente questa settimana ho lavorato troppo (e io, di lavoro,
sgombero appartamenti…) e sono arrivato stanco alla gara, che sarà
una mezza agonia dall’inizio alla fine. Uniche “schiarite”,
attorno al 30° km, quando dopo 2 minuti di bagno rigenerante in un
vascone riparto tutto pimpante (ma sperpero spingendo troppo nei 10
km successivi tutte le energie guadagnate, invece di centellinarle
fino alla fine) e verso la fine, quando il mio corpo miracolosamente
si risveglia e tiro alla morte gli ultimi 5 km (con il risultato di
arrivare al traguardo più che finito).
Chiudo al 132°
posto, in 8 ore e 37’, con una media al km peggiore di quando ho
corso su questo percorso la 100 km. Però sono piuttosto orgoglioso
di essere arrivato in fondo, e almeno questa volta il problema non me
lo sono procurato da solo partendo troppo forte.
Orienteering
Domenica 17 marzo,
circa 15 ore dopo che sono arrivato al traguardo dell’Ultrabericus,
si corre la prima gara di coppa del Trentino di orienteering, una
sprint da una ventina di minuti, di quelle dove bisogna tirare come i
disperati. Why not?
La mia gara comincia
in qualche modo già il giorno prima. Dato che tornato a casa da
Vicenza sento le gambe un pelino pesanti, decido di somministrarmi
45’ di cyclette, per tentare di disimballarle.
L’idea sarebbe
quella di pedalare in scioltezza davanti alla partita di Sinner a
Indian Wells, ma dopo 3 games in cui Jannik sembra intenzionato ad
asfaltare Carlitos, la partita viene sospesa per pioggia e io ripiego
su un interessante documentario su Goldrake. In ogni caso il piano
sembra funzionare, perché al mattino le gambe sono solo legnosette,
che, rispetto a pietrificate, è parecchio meglio.
La fortuna oltre
agli audaci sembra aiutare anche quelli un po’ folli, e in una
giornata in cui non potrei scendere sotto i 4 al km neanche con un
ghepardo alle calcagna, la gara si svolge su una carta dove la tratta
più lunga di corsa pura saranno 50 metri. È un intrico di scelte
velocissime e tratte brevi in mezzo ad edifici e passaggi molto
simili, dove non bisogna MAI perdere la concentrazione.
E, per una
volta, non la perdo. Ho solo due piccoli momenti di indecisione alla
14 (dove per qualche secondo mi dimentico di fare il giro
all’edificio e mi stupisco di non trovare la lanterna nella
rientranza) e alla 21 (dove non capisco al volo che la lanterna è
sopra e mi dispero un po’ non trovandola sotto). Per il resto, un
treno svizzero, magari giusto un pelo bolso.
La nostra carta è
uguale a quella degli M18 e a quella degli Elite: il primo M18, dal
“basso” dei suoi - 32 anni, mi dà 2 minuti; il primo degli
Elite, orientisticamente su un pianeta diverso dal mio, me ne dà 5;
nella mia categoria vinco con 13’’ sul secondo, ad onor del vero
senza avversari particolarmente blasonati, e con il più forte in
condizioni di salute precarie (e mai del tutto a suo agio nelle
sprint).
A questo punto, la scelta dello
sport a cui dedicarmi sembrerebbe obbligata. Peraltro, di
sceglierne uno, non ne ho proprio nessuna intenzione.