1 novembre 2022

Finali Coppa Italia Orienteering 2022

Già che ci sono, scrivo anche di questo, così mi tolgo il pensiero e avrò qualche pagina in più da rileggermi quando sarò pensionato (???).

E' l'ultimo giorno di scuola, solo che contrariamente a quello vero, qui non abbiamo davanti le vacanze estive, ma un lunghissimo inverno senza gare nazionali in cui ritrovarci in pigiama in luoghi improbabili a cercare pezzi di tela in mezzzo ai boschi e alle case. Sigh.

Siamo in Val Belluna, il sabato si corre la finale di Coppa Italia "city" o come si chiama, la domenica quella "forest". Io fra il sabato e la domenica per fortuna torno a casa, perché il sabato ho dimenticato a casa la pozione per l'asma e ormai sono troppo master per correre senza.

Durante il riscaldamento del sabato, in forma breve perché con Chiara ci siamo persi come due pivelli nei dintorni di Mel, mi rendo conto che è una settimana che non corro, e l'ultima volta erano i 50 km dell'ultima tappa del Maira Occitan Trail: e cosa c'è di meglio che correre una sprint in centro storico senza gambe e senza polmoni?

Fortuna che sono giovane e illuso e penso di potermela cavare comunque. Talmente giovane e talmente illuso che quasi quasi mi va bene davvero. Già andando alla 1 è evidente che quel litro di aria in più mi mancherà un sacco, ma cerco di compensare con l'entusiasmo e alla 3 sono in testa con 8'' su Emiliano (facciamo finta che Davide Martignago, che fa PE alla penultima, dove era abbondantemente in testa, non sia neanche partito). 

4-5-6-7 non sono complicatissime, e non lo sarebbe neanche la 8, se non ce ne fosse lì una poco lontana che induce moltissimo in tentazione, e io ci casco, perdendo 14'' e il primo posto.  Per la 10 mi spolmono l'unico polmone disponibile e alla 11 l'ipossia cerebrale conclamata mi impedisce di vedere la scelta più sensata che scendeva ad ovest. Perdo 19'' e ciao ciao. Nel finale, dopo alcune lanterne corse di branchie, perdo il segno, un portico e 10'' alla 18, e concludo 2° a 24'' da Emiliano, che non sarebbe neanche male, se non fosse che la stupidaggine più grande l'ho commessa prima di partire da casa.

Il giorno dopo ho i polmoni in regola, ma la carta mi è decisamente meno favorevole. E' una carta bella e stranissima, con pochissimo dislivello, vegetazione ostica e tanti sassi, sul letto del torrente Piave o almeno quello che un tempo lo era. 

Faccio quello che posso con un warm-up molto prolungato e alla fine mi sembra pure di capirci qualcosa, ma mando tutto in vacca già alla 2, quando decido di andarci lungo i sentieri, ma non ho la pazienza di controllare bene i bivi e ben presto sono perso in mezzo alla jungla. Non sono neanche abbastanza audace da essere aiutato dalla fortuna, così quando incontro una lanterna non è una delle mie e quando arrivo in un prato apparentemente inconfondibile, non lo trovo in carta perché è segnato come semi aperto. Quando finalmente arrivo al sentierone a nord che era la mia ultima spaggia, sono passati secoli e ho perso 7 minuti abbondanti dai primi. 

Da lì alla fine tento di salvare il salvabile e mi comporto discretamente, strappando anche 3 migliori tempo e un paio di secondi e di terzi, ma Morara, Corona e Martignago sono di un altro pianeta, e chiudo sesto, a 10-13 minuti da loro, e dietro anche a Vivian e Neuhauser.

Buon inverno. Sigh.


Brenta da sud a nord

 

Ci pensavo da qualche anno, una volta ci avevo provato senza troppa convinzione, questa volta sono arrivato in fondo: traversata delle Dolomiti di Brenta dall'estremo sud all'estremo nord, partenza da San Lorenzo in Banale alle ore 3.29, arrivo a Cles alle 20.02, 63 km, 4.250 metri di dislivello, 16 ore e mezza di Bellezza, con una spolverata di brivido durante, e 4 giorni di mal di gambe poi.

Dopo il pernottamento a San Lorenzo in Banale (comodamente raggiungibile da Trento con i mezzi pubblici) e la colazione con il frontalino nella sala da pranzo dell'hotel, buia e deserta, salgo la Val d'Ambiez sotto un cielo limpido e stellato che promette benissimo. La notte è sempre la notte, ma procedo abbastanza spedito fino al Rifugio Cacciatori e poi quasi fino al Rifugio Agostini (perché manco la scorciatoia a destra che va diretta alla Forcolotta di Noghera).

Niente luna, ma la notte è luminosa e non riesco proprio a non tenere spenta la frontale, mi tocca andare un po' più piano, ma è molto più bello così. Nel traverso verso la Forcolotta metto giù male un piede, perdo leggermente l'equilibrio, e do una tibiata su una roccia, esattamente nello stesso punto in cui mi ci è caduta una panca una settimana prima. Si aggiungono stelle alle stelle.

Dopo la Forcolotta accendo la frontale per andare un po' più spedito, direzione rifugio Tosa - Pedrotti, prime luci dell'alba verso sud-est, bello bello bello.

Quando arrivo al Rifugio ci sarebbe l'alba, ma come mia tradizione ho una montagna davanti che me la nasconde, mi accontento dell'aurora sulla Tosa e dei primi raggi sulle cime attorno alla Bocca di Brenta (di cui non ricorderò mai il nome, non c'è niente da fare...) e scendo un po' per imboccare il Sentiero Orsi, che mi scodella nella superba Busa degli Sfulmini, dove mi concedo il primo autoscatto di giornata, davanti, e queste me le ricordo, al Campanil Basso, al Campanil Alto e agli Sfulmini. C'è una luce bellissima, delle montagne bellissime, un sentiero bellissimo, le mie gambe vanno benissimo, ogni tanto appaiono dei camosci: se avessi mai avuto dubbi sul fatto che sia stata una buona idea svegliarmi alle 2.40, si sarebbero già squagliati.

Piccolo errore di percorso prima della Bocca di Tucket (bivio invisibile), primo affaccio sull'altra parte del mondo (val Rendena con Adamello, Presanella, Carè Alto ecc. ecc. ecc.) e poi un po' di timori nello scendere verso il rifugio Tucket, dato che il sentiero fa ancora finta che ci sia la vedretta, ma quella si è squagliata molto prima dei miei dubbi sulla sveglia, e la discesa non è agevolissima.

Nella modesta risalita fra i sassoni verso il Grosté incontro la terza e ultima persona della giornata, mentre al rifugio Graffer incontro due cagnoni che vorrebbero coccole e cibo. Ho due barrette, un po' di cioccolato, bagigi con lo zucchero, mandorle, e gel in abbondanza, niente che gli faccia bene, né che io abbia voglia di condividere con loro. Si accontentino di due grattini, che io devo ripartire.

Sono all'inizio del Sentiero Alpinistico Costanzi, in piena tabella di marcia (se ne avessi veramente una) e molto desideroso di potermi fidare delle parole di Roberto Dalla Valle, che dice che è il suo giro preferito e che si può tranquillamente fare senza imbrago. Temo che lui abbia parecchio più pelo sullo stomaco di me, ma confido che ci sia un motivo se lo chiamano "sentiero alpinistico" invece di "via attrezzata". Fino alla Bocchetta dei Tre Sassi ci sono solo gran ghiaioni, di quelli che i sassi quando sbattono uno sull'altro fanno il rumore di monetine, particolare curioso che accomuna tutte le rocce calcaree, da qui al Carso (e magari a chissà dove, io queste conosco).

Da lì inizia "l'alpinistico", e per farsi un'idea di quanto alpinistico sia, potete dare un'occhiata a questo filmato, di due che hanno fatto il sentiero nel mio stesso verso, o in questo altro, fatto invece venendo nel verso contrario.

Da lì alla fine del Costanzi ci sono 52 cordini, una scala in metallo e alcuni pezzi attrezzati con staffe, niente di tecnicamente impegnativo, ma almeno un paio di km (compresi quelli senza cordino) in cui il margine di errore è zero, cioè, se cadi, ciaone. Per quanto mi riguarda, si tratta di mettere in fondo allo zainetto la tentazione di avere paura e fare attenzione ad ogni passo, senza distrarsi mai. E' molto più lento che correre e muscolarmente meno faticoso, ma alla fine stanca di più, ed è anche parecchio stimolante. Se poi il posto è bello come quello lì e il meteo continua a rimanere spettacolare, non si può chiedere molto di più alla vita, e grazie a Roberto per la spinta.

Continuo a galleggiare attorno ai 2.500 metri, seguendo i capricciosi su e giù del Sentiero Costanti, senza accenni di crisi e con tanta voglia di arrivare in fondo. Poi faccio il più classico degli errori, cioè penso di essere arrivato prima del tempo.

La mia cartina del Brenta termina a Malga Tassullo, alle pendici del Monte Peller. Da lì ho arbitrariamente deciso che Cles è ad un tiro di schioppo, e la strada è tutta in giù; invece è ad un tiro di mortaio a lunga gittata, con anche parecchio piano. E si sa che la fatica, quando pensavi di essere arrivato, si quadruplica.

Arrivo a Cles 15 km e due ore e mezza più tardi, piuttosto sfatto, ma orgogliosissimo di essere riuscito (per puro caso) ad arrivare in stazione con 6 minuti di anticipo sull'ultimo mezzo che mi può riportare a casa. 

Giro sicuramente da rifare, magari in compagnia.

Campionato Trentino Long

Del Campionato Trentino Long vengo a conoscenza quando sono già a metà del mio super-tour-del-Brenta: 65 km con 4200 metri di dislivello non erano forse il modo migliore per preparare una long, ma tanto ad una giornata così in mezzo alle Dolomiti di Brenta non ci avrei rinunciato comunque.

E poi tanto ormai a queste cose ci sono abituato e da quando ho iniziato ad usare gli aminoacidi il mal di gambe è solo un ricordo. Ricordo che però torna a bussare con insistenza la domenica mattina nella splendida cornice del Lago di Calaita: per cause non note (forse di aminoacidi ne ho presi troppo pochi?) nonostante siano già passati 4 giorni ho le cosce di mogano, i polpacci di tek e dolorini sparsi in tutto il resto del corpo.

Confidando che l'adrenalina da gara faccia passare tutto (Lorenzo Vivian mi parte 3' dopo e Michele Ausermiller su questi terreni è rognosissimo) mi presento alla mia partenza al minuto 1 con il minimo sindacale del riscaldamento. Lago di Calaita alla destra, giallo bosco autunnale alla sinistra, Pale di San Martino davanti e cielo azzurro sopra, con tanta bellezza intorno non ci sono DOMS che mi possono rallentare.

Nei libri si legge che la bellezza toglie il fiato, nella realtà a togliermi il fiato è il fatto che sono un pirla, e dopo due sole settimane ho rifatto lo stesso tragico errore: ho dimenticato di prendere la pozione anti asma. Quella che in una long non sia poi una cosa così tragica, si rivela una pia illusione già alla prima lanterna, dove arrivo ansimando nonostante io sia in gara solo da 1 minuto. 

Per chi non sapesse cosa è l'asma, provi a correre, all'apice della vostra forma fisica, con 4 mascherine una sopra l'altra o a 4.000 metri di altezza, o, meglio, le due cose insieme: le gambe urlano al cuore "mandaci più ossigeno che acceleriamo!", il cuore risponde "io sono già a tutta, parlatene con i polmoni", loro ribattono "ci stiamo già facendo un mazzo così ma c'è un ingorgo su nei bronchi", i bronchi non rispondono niente perché ne hanno piene le palle a non collassare. E il cervello, che dicono consumi da solo il 30% dell'ossigeno, avvisa che farà quello che può.

  

Morale della favola, dopo la campestre fino alla 3, che permette di contemplare le Pale facendo solo un po' di attenzione a non giocarsi un paio di caviglie fra le zolle, ho già preso 30'' da Vivian, che me ne dà altri 20 salendo alla 4,una riga diritta su per il bosco che faccio alla perfezione, ma in apnea. Sarebbe un giorno tecnicamente felice, prendo senza errori la 5 e la 6, faccio la scelta migliore (dalla strada) per la 7, sono chirurgico sulla 8-9-10-11, ma il ricordo del mal di gambe è stato sopraffatto dalla nostalgia per un polmone, e quando fra la 10 e la 11 Vivian mi supera a velocità non irresistibile, non riesco ad opporre la minima resistenza.

Fin lì sarei comunque addirittura ancora secondo, 2' davanti ad un certo Roberto Pradel, ma a quel punto il cervello getta la spugna, confessa che lui con quell'ossigeno lì può garantirmi al massimo le funzioni vitali, e mi porta (preciso) alla 14 e poi alla 13. E' prima di scendere alla 12 che, probabilmente grazie alla discesa che mi permette di investire un po' meno fiato nei muscoli, mi rendo conto di cosa è successo. Così dopo aver punzonato la 116 me ne torno sui miei passi, senza neanche alcuna velleità di poter recuperare qualcosa spingendo di più, perché un settantenne che fuma da una vita due pacchetti al giorno avrebbe più fiato di me in quel momento.

Ciliegina sulla torta, dato che "tanto alla 14 ci sono già stato", non mi preoccupo di pensare a come attaccarla, e vago lì intorno 4-5 minuti giocandomi le mie scarse residue possibilità di podio.

Da lì all'arrivo non sbaglio più niente, ma respiro come Roberto "Baffo" da Crema e chiudo quinto, a 21 minuti da Vivian, 12' da Pradel e 5' da Eddy.

Chissà se questa agonia sarà sufficiente a farmi ricordare di prendere la pozione la prossima volta. Ausermiller, par la cronaca, ha saltato la 6.