25 marzo 2016

I Coppa Italia - Barbisano

La Coppa Italia 2016 si apre su un prato inglese che neanche ti sogneresti, e dalla postazione elevata che mia moglie sceglie, mi godo lo spettacolo del "ricominciamo". Ci sono sicuramente mille piccole grandi differenze, soprattutto in tanti giovincelli che in 8 mesi hanno cambiato struttura e lineamenti (ma se volete nomi cognomi e nuovi numeri di scarpe rivolgetevi a Stegal), ma la cosa bella è soprattutto la sensazione di ritrovare un piccolo mondo noto e, a modo suo, immutabile.

C'è Corrado Arduini che come al solito fa la chioccia al suo gruppo di giovani interfluminesi, come se fosse la cosa che gli piace di più al mondo fare. C'è Re Carlo seduto sul suo "trono" a leggere il suo solito libro nella sua solita posizione. C'è la Nancy che monta la tenda del Piné impartendo comandi ai suoi discepoli nel suo solito stile "vagamente teutonico". C'è Giuliano Rampado con un campanaccio da mucca, che forse non è proprio "solito", ma nel vederlo sembra che lo sia. C'è Dennis Dalla Santa che da buon veterano del Pavione monta la solita tenda assieme all'ultimo dei boci. C'è il solito Stegal che vola "di fiore in fiore" a curare le pubbliche relazioni, solo un po' più rilassato del solito solito, perché questa volta il percorso lo ha provato due giorni prima invece che all'ultimo minuto. C'è Remo Madella con il suo solito berrettino british e la solita pettinatura improponibile. C'è Eddy Sandri che attacca i soliti striscioni degli sponsor dopo essersi svegliato all'alba per montare il solito relativo stand. C'è la solita macchia rossa della Besanese, il gruppo sicuramente più visibile fra tutte le squadre presenti. C'è Marco Ongaro nella sua se non solita almeno frequente versione "Cast Away". C'è la solita assenza di Stefano Zonato, sicuramente impegnato in gare più interessanti in altre parti del mondo. Ci sono Dallavalle - Caraglio - Franco e non mi ricordo chi altro a giocare al loro solito strano "golf rupestre pre gara". E ci sono io a godermi tutto questo solito, e a provare al solito a raccontarlo.

La gara qualcuno la definisce "un lungo warm up prima di entrare nella zona delle rocce", ma la definizione è secondo me fuorviante. Primo perché il tracciato è molto bello dalla prima all'ultima lanterna, secondo perché nelle rocce basterebbe arrivarci sereni facendoci un minimo di attenzione, per uscirne sani e salvi.
Io parto 2' dopo The Revenant Andrea Rinaldi (che a casa non riusciva più a trovare le scarpe da orienteering, perché l'ultima volta le aveva usate alla gara di contorno dei mondiali in Finlandia 2013, e quando le ha trovate ha scoperto che c'erano ancora dentro i calzini di allora) e 4' prima di Rigoni. L'ultima volta che sono partito 2' dopo Rinaldi era alla finale del campionato italiano Middle, quello di Sara, finito con il bronzo ex aequo. Mi pare un buon auspicio. Speriamo lo sia a sufficienza da arrivare al traguardo prima di Carlo.

Parto allo stesso minuto di un giovane pavionese, e tiriamo come i matti per tutto il fettucciato fino alla Fu Svedese, lui per non essere da meno di un vecchietto, io per fingere di non esserlo ancora. Si potrebbe andare subito in cerca di gloria e rogne nel bosco dopo il giallo, ma decido di partire prudente e mi faccio il sentiero fino a quando si può, o almeno fino a quando è ragionevole. Il praticello è un punto di attacco troppo invitante e agevole anche per un arrugginito come me.

In uscita dal punto supero Rinaldi (fra la 1 e la 2, come agli italiani middle!) e mi lancio alla 2. Velocissimo, mi sembra, ma Carlo ci mette 5'' meno di me (su 30...). Poi decido che sono stato già fin troppo prudente, e invece di farmi condurre per mano alla 3 dal comodissimo sentiero, mi lancio nella selva, manco la lanterna per pochi metri, e ravano fino ad incontrare casualmente la 4, in balia della carta come ai bei tempi. È già tanto che mi accorga che è la 4 (rapido controllo del codice, sì, è la mia, andiamo, ma come mai non torna più niente?). Vado alla 3, torno alla 4, strappo un buon tempo alla 5 con un azimut in appoggio alla depressione con praticello e doppia canaletta di linea di arresto, ma Carlo ci mette 20'' meno di me e la sua ombra mi appare già alle spalle.

Il "fuggi da Carlo" è un esercizio di gran lunga più efficace persino del famoso "segui John", e mi ci impegno strenuamente nell'andare alla 6. Ovviamente con la coda dell'occhio guardo sempre dove è lui, ma riesco ad impostare una scelta mia e faccio 12'' meglio di lui (ma 20'' peggio di Ruggiero), soprattutto perché lui cerca di aggirare il roccione dalla parte sbagliata. Anche nel superamento del vallone per la 7 sono abbastanza brillante, ma nello scendere verso la 8 continuo a cambiare idea e a passara da una parte all'altra del torrente, e Carlo mi supera. Quando si tratta di risalire alla buca non sono brillantissimo, ma mi sono tenuto un po' più alto di lui e perdo meno tempo in zona punto. A quel punto, fossi stato solo e avessi guardato con calma la cartina (anzi, l'avessi guardata con calma prima di arrivare alla 8), probabilmente mi sarei accorto che era meglio salire un paio di curve e attaccare la 9 da sopra. Ma se Carlo Rigoni ti dice "scendiamo!" tu cosa fai, lo lasci lì e sali? Io no.

Già va un po' più veloce di me, e poi ci si mette una liana spinosa che mi si arrotola intorno alla pancia, dalla quale non riesco a liberarmi che scorticandomi tutto il giro-vita. Faccio solo 5'' peggio di lui, ma qualcuno ci ha messo mezzo minuto di meno, secondo me passando da sopra.

Quando si tratta di risalire per la 10, la mia esuberante freschezza atletica è un ricordo di tempi passati. Ho come il sospetto che la sprint del giorno prima si sia sommata ai 60+3000 della settimana prima e mi stiano presentando il conto. Fino al vallone dove c'è la 10 basterebbe far andare le gambe, ma le mie non sono tanto d'accordo. Gli spit direbbero terzo tempo, ma 40'' più di Mario e 1' più di Carlo, sigh.

Le gambe prendono definitivamente il sopravvento andando alla lanterna successiva, mettendosi alla guida. La scelta per la 11 non la faccio io, ma loro, che semplicemente si rifiutano di salire quel paio di curve giusto un po' ripide, che accorcerebbero moltissimo la strada. Quella che ne viene fuori è una scelta di percorso che non sarebbe neanche stata malissimo, se pianificata all'inizio e corsa a tutta, ma spezzettata in cinquanta trattini con rilettura della carta ogni 10'', diventa una agonia da 12esimo tempo e 1'20'' di punizione.

Arranco anche per superare il dosso che mi separa dalla famigerata zona di rocce e provo ad entrarci con grande, ma non troppa, circospezione. Solo che già l'inizio non è per niente bene augurante, dato che quella che in carta sembra una autostrada che porta alla 12, sul terreno non si vede. Preso un po' di coraggio nel punzonarla, mi impongo di rimanere sui sentieri, ma non cambia molto, dato che quando arrivo all'incrocio che ho scelto come punto di attacco, comunque non riesco a riconoscere niente di quello che dovrei vedere. Provo comunque a dare un occhio dove secondo me dovrebbe essere la 13, e in effetti c'è, ma il morale vacilla. Così lo porto fuori dalle rogne sulla tangenziale sud, ma poi invece di usare come conduzione il comodissimo sentiero che arriva ad uno sputo dalla 14, uso il recinto sgarrupato. Che mi porta dove devo andare, ma ci mette molto di più. Poi boh.

Esco dalla 14 un po' a caso, ma riconosco il vallone a nord della 15. Basterebbe risalire fra i roccioni giusti, che sono grandi come villette unifamiliari e non sarebbe molto difficile contarli, ma non ci riesco. In particolare, basta contare 1 (un) roccione prima della casetta sul prato, e salire prima di quello, ma per qualche ragione mi risulta impossibile. Con il senno di poi, forse è stato perché nel bosco, davanti a quel roccione, c'era erba, e il mio cervello ha registrato quello come un giallo. Solo che l'erba era nel bosco, e quindi in carta era bianco. E questo mi ha mandato in tilt. Così invece di salire dal passaggio giusto sono salito un paio più a est e ho vagato fra le rocce più o meno a caso, meritandomi un ignomignoso 17esimo tempo di tratta.

Ormai terrorizzato dalle rocce ho anche fatto un giro lunghissimo per arrivare alla 16, alla quale conduceva un comodo sentiero, e ho concluso "in gloria" con il 12esimo tempo sullo sprint, con l'acido lattico fin nelle sopracciglie.

Però confesso che mi sono divertito parecchio e tutto sommato, per essere la prima gara dell'anno, su un terreno per niente banale, sono anche abbastanza soddisfatto (al netto della minchiata sulla 3, che spero mi varrà da monito per il prosieguo della stagione). Quanto alle rocce, magari in M60 andrà meglio.

Complimenti a Mario, autore di un fine settimana strepitoso, che poteva diventare leggenda se non si incaprettava sulla 5, dove ha regalato a Carlo più di 1' (senza il quale avrebbe anche potuto permettersi gli errori alla 13 e alla 16 e vincere lo stesso) e arrivederci nel favoloso bosco bianco del Cansiglio (e alla sprint race del giorno prima a Revine, dove mi piacerebbe parecchio restituirgli pan per focaccia).

 

1 commento:

  1. Il mio commento sul "warm up" voleva essere una sorta di esortazione a non cedere fino alla fine, perché qualcosa tra quelle rocce poteva sempre succedere. Concordo con te che la gara è stata molto interessante anche fino a lì, lunga il giusto (secondo me) e senza abusare delle rocce dell'ingrandimento per farci passare lì dentro tutta la mattinata. Vallorch è tua! :-)

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