6 luglio 2020

Voglia di Brenta

Avevo voglia di Brenta, Dolomiti di Brenta, per i non trentini. E voglia di un giro lungo di quelli che mi risciacquano l'anima (e a volte anche il resto, se il tempo non è clemente). Dopo l'affollamento del mio ultimo giro lungo, torno alla formazione classica, cioè in solitaria. Ma mantengo la formula "partenza la sera", che richiede sempre un sacco di forza di volontà, al momento di mettersi in marcia.

Solita programmazione panzometrica con il desiderio di partire da casa, arrivare alla "porta sud" della Val d'Ambiez, e poi saltellando di qua e di là dalla catena del Brenta arrivare fino al confine nord, dalle parti del monte Peller. Chilometri stimati boh, dislivello stimato boh, tempo stimato circa 24 ore, ma "stimato" è una parola grossa.

Visto che è lunghetta decido di economizzare sul tragitto fino a San Lorenzo in banale, ripudiando il solito sentiero di San Vili e tenendomi più su strade e ciclabili in Bondone e in val dei Laghi. A conti fatti mi farà risparmiare solo 3 km, ma quasi un'ora, per via dei boh metri di dislivello in meno.

Partenza alle 20.50 e alle 21.40, in quel di Sardagna, sto già pensando di tornare a casa e seppellirmi sotto il piumone. Poi però arrivano un sacco di lucciole, poi esce la luna quasi piena, poi inizia la discesa, poi c'è il lago di Toblino con il suo castello con le luci, insomma, supero la crisi più precoce della storia, e da lì in poi "è tutta in discesa".

Molto bella la salita da Castel Toblino a Ranzo, su una bella strada nel bosco, percorsa tutta a frontale spenta (l'avrò tenuta accesa mezzora in tutta la notte); più faticosa di quanto ricordassi la Val d'Ambiez, che si fa conquistare con fatica, sotto un cielo avaro di stelle ma per fortuna anche di pioggia.

Arrivo al rifugio Al Cacciatore dopo 8 ore quasi esatte, mi concedo ben 11 minuti di microsonno su una tavola di legno (ore 4.42: "ah, questa volta non mi addormento..." - ore 4.43 "ronf!" - ore 4.53 gli occhi si riaprono da soli, un minuto prima della sveglia...) e riparto per il rifugio Agostini, perso fra le nebbie.

Altrettanto persa fra la nebbie la Forcoletta di Noghera, metri 2300 o su di lì, dove il mio gps si prende una vacanza e dice di vagare nei dintorni facendo 2 km in 2 minuti. Io sicuramente non l'ho seguito.

Poi viene fuori un po' di sole (l'alba ovviamente non l'ho vista neanche questa volta) e riparto verso il rifugio Pedrotti, che raggiungo dopo un po' di brava estasi in contemplazione di Cima Tosa, Crozzon del Brenta e Cima Brenta.

Cappuccino (caffelatte...) con ottima crostata al rifugio, breve sbaglio di strada in direzione Bocca di Brenta e poi via per il Sentiero Orsi, dove la nebbia prima si mangia gli Sfulmini, poi un camoscio che tento di fotografare e poi la mia macchina fotografica, che tira le cuoia una volta per tutte (ma credo che la nebbia in realtà sia innocente).

Io invece non tiro le cuoia sui 4-5 nevai che incontro da lì in avanti: sono larghetti e pendentucci, ma ho i ramponcini e sono un ragazzo prudente, e porto la pellaccia fino alla Bocca di Tucket (ok, sputando un paio di anime, ma quello ci sta) e da lì al rifugio omonimo, dove c'è una certa folla.

Ancora di più da lì al Grostè, tutta in senso contrario, perché al Grostè ci si arriva in funivia. Faccio il figo correndo dove posso, faccio inorridire un amico che non crede che io possa essere arrivato lì da casa con le mie gambe, incoraggio un po' di sprovveduti/e sull'arduo sentiero montano e arrivo al Grostè a mezzogiorno passato.

Qui mi rendo conto che:
  1. la neve mi ha rallentato parecchio e sono un po' in ritardo rispetto alle mie ipotesi.
  2. se alle visite mediche sportive rischio di essere bocciato ogni anno per la spirometria, anche se la faccio dopo essermi tirato un po' di broncodilatatore, forse fare un giro del genere senza averne preso neanche un po' non è una buona idea, e infatti sono più stanco di quanto dovrei a questo punto
  3. sono partito un po' troppo tardi
  4. un tizio con lo smarphone mi dice che le previsioni danno pioggia per le 16.15
Ne concludo quindi saggiamente che non è il caso di arrivare al Peller e cercare poi di conquistare in qualche modo la valle e il mezzo pubblico, e che è meglio accontentarsi di fare il Sentiero delle Palette, scavalcare il Brenta per l'ultima volta alla Bocchetta dei Tre Sassi, e scendere poi fino a Dimaro.

Piano che si rivela, questo sì, perfetto, e mi permette di
  • vedere una valletta con ghiaione gigante che da queste parti non si fila nessuno perché è uno fra tanti, ma che in molte parti del mondo sarebbe il fiore all'occhiello della offerta turistico-montana
  • ammirare un branco di 40 camosci che fuggendo da me (...) si involano in posti che fanno venire le vertigini a guardarli
  • sputare l'ultimo pezzo di polmone che mi rimane, per arrampicarmi lungo il sentiero che porta alla bocchetta, l'ultimo pezzo del quale ha una pendenza assolutamente indecente
  • contemplare brevemente la zona di Passo Campo Carlo Magno assiso sui meritatissimi 2600 e rotti metri della bocchetta di cui sopra
  • "godermi" 16 (sedici) km di discesa su pendenza via via più leggera, intervallati da due fantastici e rigeneranti bagni gelidi il primo nella fontana di Malga Mondifrà e il secondo nel torrente Meledrio
  • concludere il mio giro con 18 ore, 87 km e 4800 metri di dislivello
  • premiarmi con un gelato 3 gusti + panna montata a Dimaro, prima di prendere il trenino per tornare a casa
La parte nord del Brenta rimane (da me) inesplorata, ma sarà per la prossima volta.



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