26 marzo 2023

Ultrabericus 2023

Dall'arrivo alla palestra con borse-docce-spogliatoi c'è un km scarso. Sono le 18 e un po' quando lo percorro con Giorgia a farmi da badante, con lei che mi regge i bastoncini, lo zainetto e pure l'orologio e io che non riesco neanche a mantenere la posizione eretta, né tantomeno a parlare mentre cammino e respiro. Giunto in palestra e recuperata la mia borsa, mi serviranno 10' sul lettino del personale sanitario (ma senza il loro intervento) per riprendermi a sufficienza da affrontare l'immane sforzo di cambio&doccia. Forse ho un pelo esagerato.

Eppure tutto era iniziato così bene.

Dopo 3 mesi di quella che probabilmente era fascite plantare al piede sinistro, durante i quali avevo messo in fila la bellezza di 1 allenamento "progressivo", 0 ripetute, 4 allenamenti di fartlek e un totale di 80 km di lungo lento (più un po' di bici), avevo pensato che il modo migliore per festeggiare la mia guarigione fosse tornare là dove tutto era cominciato, nel lontano 2013, cioè all'Ultrabericus. Magari i puristi potevano pensare che 80 km in tre mesi fossero un po' pochi per preparare una 65 km, ma io ero certo che fosse vero che "i muscoli hanno memoria", e i miei si sarebbero sicuramente ricordati dei millanta km degli anni precedenti, e tutto sarebbe andato a meraviglia.

Motivo per cui non mi sembra neanche il caso di partire un po' prudente, e faccio la prima parte di gara a cannone, correndo spesso e volentieri con quella che avrebbe poi vinto la 42 km, e giungendo al 25° km in 25° posizione assoluta, impiegandoci 27' in meno che nel 2013, per una proiezione di tempo finale abbondantemente sotto le 7 ore (contro le 8h3' del 2013 e le 7h15' del 2017).

Magari il fatto di iniziare ad avere mal di gambe al 20° km poteva un attimo insospettirmi, ma comunque era già abbondantemente troppo tardi e la parabola discendente aveva all'inizio una pendenza così lieve, che non mi ero accorto di niente. Certo, la futura prima donna della 42 km se ne era andata, ma non mi sembrava tanto grave.

Ad arrivare a San Donato, il maxi ristoro di un po' oltre metà gara, fatico un po' più di quanto vorrei, hanno iniziato a superarmi un po' di persone, ma la situazione non pare ancora tragica: sono 40esimo, i minuti di vantaggio sul 2013 sono ancora 20 e la proiezione del tempo finale non è più da urlo, ma comunque è sotto quella del 2017. Mi fermo per un lauto pasto a base di pane e prosciutto, formaggio, dolcetto, banane, kiwi e caffè, e riparto con cautela, approfittando del fatto che il primo tratto è in salita e non si vede tanto che vado pianetto.

Poi arriva il famoso oste con il conto. Le brutte persone che mi superano diventano sempre più numerose, e nel famigerato piattone dopo il lago di Fimon molti e molte di loro sono bipedi con un ritmo, un'andatura e una postura imbarazzante, che, dato che mi passano, certificano che io lo sono molto di più. Per un paio di km decido di approfittare del fatto che una delle novità 2023 è l'introduzione del nordic walking, e mi ci dedico con entusiasmo, poi, dato che l'ultimo ristoro di Arcugnano non si decide ad arrivare, mi sdraio su un prato sperando in giorni migliori, e rifiutando gentilmente l'offerta di un altro concorrente di "chiamare i soccorsi".

Quando riesco a trovare energie e voglia per rialzarmi dal prato, e giungo al benedetto ristoro di Arcugnano, succede quello che in "Everything Everywhere All at Once" è descritto come il "trampolino elastico": se tu fai qualcosa di insolito riesci a connetterti con il te stesso di uno degli altri universi del multiverso, nel quale la tua storia è differente, lì rimbalzi, e quando torni in questo universo qui ti porti dietro le abilità che avevi in quell'universo lì. Io, bevendo un bicchiere di lemonsoda (che ai ristori non c'è praticamente mai) mi connetto con il me stesso che vive in un universo in cui negli ultimi 3 mesi mi sono allenato come si deve, e quando torno in questo universo qui, riparto dal ristoro come un atleta in forma invece che come quel bollito che ci era arrivato.

Per 5-6 km torno ad andare a cannone, spingendo in salita e correndo bene in pianura e in discesa, superando atleti su atleti, recuperando posizioni su posizioni, tornando a divertirmi e sentendomi un pochino meno pirla.  

In Everyecc. ecc. l'effetto del trampolino elastico dura solo per un po', per me all'Ultrabericus termina quando mi inciampo su una radice che sporgeva un paio di cm dal suolo e finisco a pelle di leone sul sentiero, rimediando, per puro culo, solo l'ennesima futura cicatrice sul ginocchio destro. Da lì alla fine torno ad arrancare, ma ormai manca davvero poco per portare all'arrivo le mie stanchissime membra. A dimostrare che non ne ho proprio più, ci sono le 3 posizioni che perdo nell'ultimo centinaio di metri prima del traguardo, del tutto incapace anche solo di ipotizzare uno sprint.

Chiudo in 8h3', 5' peggio del 2013 e 48' peggio del 2017, però chiudo!! (con un mal di gambe e una stanchezza globale che al confronto dopo il Tor ero un fiorellino).

Nessun commento:

Posta un commento

non lasciate commenti anonimi, suvvia...