Sono vivo, e sono arrivato in fondo,
quasi. Neanche tanto “quasi” a dire il vero, perché mi hanno
fermato quando ero verso il km 50 con circa 4000 metri di dislivello
già nelle gambe. Mancavano 30 km abbondanti e almeno 1800 metri di
dislivello (perché rispetto a quanto annunciato intanto ne avevano
aggiunti altri 300). E ce l'avrei fatta, e anche bene.
È stata una esperienza molto bella.
Continuo a non capire chi di gare del genere ne fa una ogni paio di
settimane, ma una per me valeva sicuramente la pena di farla. Sia per
quello che pensavo di trovare e ho trovato, sia per le “sorprese”.
Tanto per chiarire subito ogni
possibile dubbio (anzi, probabilmente per confermare quelle che per
molti sono già certezze) è una cosa da fuori di testa. Quando tutto
dentro di te si sta preparando per andare a nanna, tu parti con
l'idea di farti una scampagnata di un fottio di km con uno sproposito
di dislivello. Eppure non è così traumatico come pensavo, e
nonostante la notte completamente in bianco, il sonno non è mai
stato un problema.
Dopo un giretto panoramico per Piovene
Rocchette, la Trans d'havet parte con una salita di poco meno di un
migliaio di metri di dislivello, prosegue con una discesa che se è
bagnata ti ammazzi (non lo era, non ancora almeno). E poi ti porta un
po' su e giù fino alla strada delle 52 gallerie, una opera pazzesca
del genio militare italiano durante la prima guerra mondiale , che io
stupidamente mi immaginavo come un leggero falsopiano pieno di curve
e gallerie, mentre è una salita bastardissima con le gallerie che si
avvitano dentro la montagna e salgono spietate, alcune per pochi
metri, altre per varie decine. Scavarle, con i mezzi di allora, deve
essere stato un calvario. Percorrerle, con 30 km nelle gambe e
l'allenamento di cui disponevo io, è stato faticoso ma non
devastante. Ma di correre per quanto mi riguarda se ne è parlato ben
poco, eppure non ero messo male in classifica.
A farci compagnia, prima il buio fitto,
e poi, quando si sarebbe potuto iniziare a vedere l'alba, una pioggia
via via più fitta, che dopo le 6 è diventata un diluvio universale.
Le previsioni lo avevano detto, e non si sbagliavano come ci eravamo
augurati tutti. Nel “briefing” del venerdì sera, ci avevano
detto che solo la mattina avrebbero deciso se la gara si sarebbe
fatta come prevista, con modifiche, o con stop a Campo Grosso, 48 km
dopo il via.
Alla metà gara circa di Pian delle
Fugazze, sono completamente solo già da un po', e tutto risponde
ancora come si deve. Non posso dire di essere riposato, ma le gambe
tengono ancora bene e il piano di assunzione sistematica di calorie
sembra reggere bene, dato che il famoso “muro dei 30” non l'ho
sentito per nulla, e ho superato abbondantemente tempo di gara e
chilometraggio ai quali ero andato completamente in black out il
giorno prima. Quelli del ristoro dicono “pare che il Carega non lo
facciate”, e io mi avvio per i successivi 3 km abbondanti di salita
completamente ammollo, ma di ottimo umore.
Umore che però cala poco alla volta
salendo. Tutto il percorso da qui alla fine l'ho già visto l'anno
scorso, la visibilità è di 20 metri quando va bene, sono sotto il
diluvio in un bosco dove non c'è neanche una lanterna e è buio
quasi come fosse notte: una vocina sempre più insistente dentro di
me mi chiede “ma chi te lo fa fare?”. Quando finisco la parte più
ripida e inizio i saliscendi poco prima di
Campo Grosso, non solo non ho ancora trovato nessuna ragione valida,
ma ho anche mentalmente già scritto un post intitolato “un-finisher”
(che probabilmente non esiste, ma per me voleva sottolineare il fatto
che non ero fra quelli che avevano finito la gara) in cui spiego a
Darietto il Bardo che io voglio un cuore che quando la
testa dice "non ce la puoi fare", lui gli risponda “hai
ragione, di occasioni nella vita in cui devi a tutti i costi
stringere i denti e andare avanti anche se non ne hai le forze, ce ne
sono anche troppe. Ritiriamoci e andiamo a dormire”. E che
si concludeva da sommo pedagogo dicendo che a mio figlio preferivo far
vedere un padre che quando non ha senso andare avanti si ferma,
piuttosto che uno che arriva in fondo costi quel che costi. Decido
che a Campo Grosso, se loro non mi dicono che la gara finisce lì, io
gli dirò che la mia sì.
Solo che succede tutt'altro. Quando i due ineffabili volontari del ristoro rispondono con il mio “notizie?” con un serafico “per ora tutto confermato, anche il Carega”, prima ancora che la mia mente si connetta con la lingua per pronunciare le fatidiche parole, il cuore ha deciso per i cazzi suoi, e mi ha fatto partire.
Davvero non c'era nessuna “ragione plausibile” per proseguire, ma non è stato un pensiero o un ragionamento che mi ha fatto andare avanti. Non è stato orgoglio, non è stato puntiglio, non è stata vergogna di dire “non ce l'ho fatta”, non è stata paura di pentirmi poi, non è stato niente che potesse passare dalla mia mente. Il mio cuore, la mia anima, la mia pancia, uno di loro o tutti insieme, volevano andare lassù e arrivare in fondo, e ci sono andati. E mi hanno portato dietro emozionato come un bambino, e con una energia nelle gambe che non pensavo minimamente di avere. Dopo essermi trascinato per vari chilometri prima di Campo Grosso, da lì all'attacco di Boale Fondi (la forcella malefica che ha popolato i miei incubi durante tutto l'inverno, quella al cui confronto le zeta della Forcella Pordoi sono un falsopiano) ho iniziato ad aggredire il sentiero come se fossi appena partito.
Quando l'ennesimo volontario sotto il diluvio mi ha detto “occhio che qui comincia la parte più dura”, io ero Pronto, e mi immaginavo già in cima ad urlare a squarciagola un animalesco verso di pura soddisfazione. Peccato che il sogno sia durato pochissimo. 100 metri più in su ho incontrato un gruppo che scendeva dicendo che la gara era sospesa (cosa peraltro ragionevolissima, dato che dovevamo arrivare a 2200 metri con una pioggia da foresta tropicale e un temporale con lampi e tuoni che girava intorno alla cima).
Solo che succede tutt'altro. Quando i due ineffabili volontari del ristoro rispondono con il mio “notizie?” con un serafico “per ora tutto confermato, anche il Carega”, prima ancora che la mia mente si connetta con la lingua per pronunciare le fatidiche parole, il cuore ha deciso per i cazzi suoi, e mi ha fatto partire.
Davvero non c'era nessuna “ragione plausibile” per proseguire, ma non è stato un pensiero o un ragionamento che mi ha fatto andare avanti. Non è stato orgoglio, non è stato puntiglio, non è stata vergogna di dire “non ce l'ho fatta”, non è stata paura di pentirmi poi, non è stato niente che potesse passare dalla mia mente. Il mio cuore, la mia anima, la mia pancia, uno di loro o tutti insieme, volevano andare lassù e arrivare in fondo, e ci sono andati. E mi hanno portato dietro emozionato come un bambino, e con una energia nelle gambe che non pensavo minimamente di avere. Dopo essermi trascinato per vari chilometri prima di Campo Grosso, da lì all'attacco di Boale Fondi (la forcella malefica che ha popolato i miei incubi durante tutto l'inverno, quella al cui confronto le zeta della Forcella Pordoi sono un falsopiano) ho iniziato ad aggredire il sentiero come se fossi appena partito.
Quando l'ennesimo volontario sotto il diluvio mi ha detto “occhio che qui comincia la parte più dura”, io ero Pronto, e mi immaginavo già in cima ad urlare a squarciagola un animalesco verso di pura soddisfazione. Peccato che il sogno sia durato pochissimo. 100 metri più in su ho incontrato un gruppo che scendeva dicendo che la gara era sospesa (cosa peraltro ragionevolissima, dato che dovevamo arrivare a 2200 metri con una pioggia da foresta tropicale e un temporale con lampi e tuoni che girava intorno alla cima).
Mi
è dispiaciuto, ma per me è stato più importante quello che avevo
già vissuto. Non credo che nessuna emozione che potessi provare in
cima al famigerato Boale Fondi potesse essere più forte di quella
che ho provato quando la testa ha perso. E
sono certo che sarei arrivato in fondo, e che ci sarei arrivato bene.
A Campo Grosso ero passato 28esimo su 299 partiti e non ho nessun
dubbio che da lì in avanti con le nuove extra energie ne avrei presi
altri. Magari riuscendo addirittura a stare sotto quelle 12 ore, che
erano il mio sogno prima di partire.
- - -
Queste erano le parole scritte a caldo, poche ore dopo la gara, ma 24 ore dopo le cose sono un po' cambiate. Fisicamente sto benone, nessun dolore in nessun muscolo, niente sonno atavico, nessuna articolazione o legamento che si lamenta e neanche vesciche ai piedi, giusto un po' di fastidio alla zucca per la craniata contro il soffitto della seconda galleria (no, non la seconda delle 52, ancora prima...). Ma dentro ho un desiderio struggente di tornarci, arrivare in cima e arrivare in fondo. E difficilmente riuscirò a resistere alla voglia fortissima di tornarci l'anno prossimo.
Così mi piaci , tutto cuore !
RispondiEliminaEstikazzi, stavi andando proprio bene... noi siamo transitati a Campogrosso una settimana prima con un sole splendido... io ci torno anche questo weekend, mi rifarò il Boale dei Fondi alla vostra salute! Buona estate
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