27 novembre 2018

Trail del Cinghiale

Non ero ancora psicologicamente pronto a dichiarare finita la stagione, ho guardato cosa passava il convento, ho trovato un trail da 90 km, mi sono iscritto. Ok, gli Appennini non mi piacciono un granché, ok, senza montagne belle da guardare probabilmente mi stuferò da morire, ok, non conosco nessuno, ok, le previsioni del tempo fanno schifo, ma vabbeh. Un po' meno ok quando scopro che oltre a quanto sopra, il percorso degli ultimi 30 km è lo stesso dei primi 30. Maledico gli amanti dei punti UTMB (unica spiegazione plausibile che mi viene in mente per giustificare una scelta del genere) e la mia mania di iscrivermi alla gara più lunga a prescindere. Ma ormai sono iscritto, e vado.

Quando il venerdì sera mi trovo nel tendone del "polenta party" con tre gatti e mezzo, confesso in una telefonata fiume a mia sorella, che mi sa che ho proprio fatto una cazzata, e quando la sveglia suona alle 3.50 del giorno dopo, facendomi l'effetto di una padellata in testa, ne sono ormai praticamente certo.

E invece.

Invece succede che non solo mi ritrovo lì insensatamente felice alla partenza delle ore 5.00, ma durante la gara mi diverto proprio, senza grandi panorami, senza grandi montagne, solo per il gusto di correre in mezzo ai boschi, di sentire le gambe che girano, di fermarsi ai ristori a buttare giù un po' di calorie, di contare le ore fra un gel e l'altro (parentesi: io sono uno di quelli che piuttosto di comprare una bottiglietta di plastica muore di sete, e che meglio un panino che una barretta, ma, credetemi, con i gel è tutto un altro andare!!), di cercare di superare e di non essere superato, di chiacchierare con qualcuno che corre con il tuo passo, di vedere guardando come va veloce quello con cui stai quanto stai andando veloce anche tu, di correre 50 km con Luca che è mille volte più forte di me (e infatti poi scompare). E poi l'arcobaleno, la luna gialla che spunta fra le nuvole, le ore a correre nella palta pattinando come sulla neve, quelle a correre sotto la pioggia, quelle con il vento che ti spazzava via, quelle con la palta, la pioggia e il vento insieme, i faggi, le querce e tutte quelle altre latifoglie di cui non imparerò mai i nomi e che da noi non ci sono.

E alla fine anche il dover rifare i 30 km iniziali è stato bello, per rivedere con la luce posti che avevo visto al buio, per quella impressione di conoscere già un po' il percorso (e la seconda volta sembra sempre più corta, come i viaggi in macchina da piccolo), per quella metafora della vita, per cui quando rifai la stessa cosa non è mai come la prima volta, perché in realtà è tutto diverso e sei diverso tu.

Peccato solo che il Re di Tutti i Pirla si sia portato dietro una frontale da uovo di Pasqua, con delle pile (comprese quelle di ricambio) praticamente scariche, e che quindi il mio irresistibile recupero nell'ultimo giro si sia schiantato contro le tenebre. E meno male che, da noto risparmiatore energetico quale sono, girare nella semi-oscurità è per me una abitudine, perché gli ultimi 10 km li ho fatti con una potenza di luce che se mi portavo due fiammiferi ci vedevo meglio, e una persona normale si sarebbe messa a piangere in mezzo al bosco (mentre io mi sono lanciato giù per la discesa fangosa, con il frontalino in mano per tenerlo più vicino al sentiero da illuminare, e un bel ramo di faggio nell'altra a fare da baluardo contro le cadute).

Ho chiuso con un graditissimo 9° posto assoluto, 4° di categoria (meno vecchi di 50 anni...) ad un solo minuto da Giorgio, che mi ha proditoriamente superato mentre cambiavo (inutilmente) le batterie al mio giocattolo, e che con il mio lanternino non sono più riuscito a prendere. Peccato, perché ha vinto uno zainetto che mi avrebbe fatto comodo (sì, sono queste le cose che contano veramente nella vita).

Luca lo ritrovo a colazione il giorno dopo, e ci mettiamo buoni 10 minuti a renderci conto che siamo quelli che il giorno prima hanno corso 50 km insieme. Scopro che lui, e anche Giorgio, e anche molti altri di quelli che sono lì, sono già iscritti super convinti al Trail della Bora, quella roba da 167 km il 6 di gennaio sul Carso, che a me pareva una cosa vagamente folle (e quindi mi ero già iscritto). Ecco, c'è di positivo che in questi posti qui spesso mi sento straordinariamente normale, cioè, molto più normale di quelli che ho intorno (come i miei compagni di stanza dalle suore, che per risparmiare tempo la mattina hanno dormito con i pantaloni aderenti a tre quarti e la termica, e uno anche con il chip alla caviglia...).

E puoi anche pensare che siano tutte cazzate, ma quando scopri (e senti!) che c'hai negli occhi lo stesso sorriso felice di un ventenne felice, anche se di capelli sulla zucca ne hai parecchi di meno (e pure bianchi),  chissenefrega se sono tutte cazzate: ti senti solo tanto fortunato a potertele godere.

2 commenti:

  1. vabbè ma allora perché lut corta? (sottoscrivo tutto, tranne che per me anche ora i viaggi di ritorno sono più corti). Il mio nuovo nickname è "posseggo screenshot che voi umani..."

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    1. caro Anonimo, alla Lut non faccio la corta, ma la nuovissima "media", che mi fa vedere tutti i posti di giorno, e quei posti sono posti da vedere proprio tutti!

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