21 febbraio 2020

Trento - Val d'Ambiez

Ormai da qualche anno, per potermi permettere di affrontare con un minimo di preparazione gli ultra trail che mi hanno rapito il cuore (e fottuto la ragione) cerco di fare almeno un allenamento al mese sopra i 60 km, un'uscita di tutto il giorno per macinare km, metri di dislivello, ore da solo fra i monti. Spesso è una figata. Come questa.

Il momento più duro in assoluto di solito arriva ancora prima di accendere il gps, ed è quello in cui devo mettere il primo piede fuori dal piumone e appoggiarlo a terra: ore 4.30, temperatura percepita fuori dal letto -10 C°, notte fonda, voglia a 1000 di ignorare la sveglia e tornare a dormire. Ma anche questa volta sono riuscito a pensare a quanto sarei stato contento "poi", e sono riuscito a buttare fuori entrambi i piedi, fare colazione, prepararmi e partire.

La settimana prima un amico che ha il brevetto per la guida degli areoplani da turismo mi aveva portato a fare un giro, e io lo avevo convinto ad andare dalle parti del Brenta. In uno dei rari momenti in cui le nuvole ci hanno concesso tregua, mi è apparsa la Val d'Ambiez e mi ha fatto pensare che sarebbe stato molto bello tornarci di corsa. Con l'areoplanino, da Trento all'imbocco della valle ci sono voluti una decina di minuti. Di corsa, partendo da Piedicastello e seguendo il sentiero di San Vili passando per Vela, Laghi di Lamar, Covelo, Margone, Ranzo e San Lorenzo in Banale, ci sono volute 6 ore e tre quarti. (e alla terza ora, dalle parti di Covelo, la contrattura al polpaccio di una settimana prima mi era tornata a fare male e avevo pensato di fermarmi . Ma poi ho pensato "provo ad arrivare fino a Margone", e poi la contrattura si è dimenticata di esistere).

Come riscaldamento è stato un po' lunghetto, ma la partenza ad ora indecente mi ha permesso di arrivare ad ora decente ad iniziare quella bellissima valle che entra in Brenta da sud. Ad entrare ci mette un sacco, ma è uno spettacolo, anche se pare non andare d'accordo con il mio gps, che ci tira una riga dal km 40 al km 46 della mia uscita, come se in mezzo non fosse riuscito a capire cosa succedeva. 

Il tempo mi accompagna splendidamente, la neve è del tutto assente fino ai 1500 o giù di lì, e poi è bella dura, quindi, ramponcini ai piedi, ci si procede spediti piacevolmente.

Poco dopo che è rinvenuto il mio gps, vado in crisi io: dopo 8 ore e mezzo dalla partenza mi sdraio a occhi chiusi in un pezzo di prato e inizio a pensare che dovrò tornare in giù a San Lorenzo, perché mi pare di non averne più, nonostante abbia provato a mangiare, bere e farmi di maltodestrine in gel. Ma non prima di arrivare fino al Rifugio Cacciatori, che era l'obiettivo minimo di giornata.

Al Cacciatori riposo un po' e provo a proseguire, perché il tempo è splendido e il posto di più, e il Passo Forcolotta di Noghera che mi separa dalla discesa verso Molveno, non sembra poi così lontano (e che saranno mai 500 metri di dislivello...). Inizialmente va un po' di merda: le gambe non ripartono e la neve si mette a non tenere più così tanto e a farmi fare ancora più fatica, ma il posto è proprio Troppo Bello per non provarci ancora un po', e alla fine neve e gambe si ripigliano e inizio a salire abbastanza spedito. Spedito ma preoccupato, perché i ramponcini tengono alla grande, la neve non si muove, ma sono comunque sul ripido e in mezzo al deserto (ad esclusione dei camosci, dai quali però non mi aspetto grandi aiuti) e procedo quindi con la massimissima attenzione.

Un'ora e mezza dopo, ancora abbondantemente in tabella di marcia per una discesa ad orario congruo, la mia ombra si staglia su quella del profilo della montagna, proiettata sulla valle oltre il passo. Fisicamente ormai del tutto ripreso e orgoglioso di aver superato il momento di impasse, mi butto dall'altra, sempre con la massima attenzione, anche se in teoria adesso che sono sul versante nord est la neve dovrebbe tenere ancora meglio. Lei è moderatamente d'accordo, e per lo più è bella dura, ma ogni tanto ha dei cedimenti, di non molti cm, ma abbastanza da non permettermi mai di procedere in tranquillità.

Dopo aver proseguito per lo più in piano fino alla grandiosa vista delle cime Brenta Alta e Brenta Bassa, con il rifugio Pedrotti in mezzo, è ora di cominciare la discesa, e saranno cavoli. La direzione più o meno la so, la cartina ce l'ho, ma trovare il sentiero non è per niente facile, e va bene che con la neve si può scendere un po' dove si vuole, ma non vorrei trovarmi sopra uno strapiombo e dover tornare in su per cambiare direzione. Morale della favola, ci metto almeno un'ora e mezza di discesa guardinga e preoccupatina, ad arrivare su un sentiero conclamato e ben percorribile, tempo nel quale mi gioco anche una dei momenti migliori della giornata, con il rosso del tramonto che colora le cime delle Dolomiti di Brenta, mentre io ho altro di cui preoccuparmi.

Quando finalmente arrivo a Molveno mi sono goduto anche un bel pezzo di corsa sulla neve al chiaro di luna, che fa sempre la sua porca figura, ma non era esattamente nei programmi. L'ultima corriera è partita da un'oretta e solo Santa Sorella mi salva dal dover implorare gli albergatori della zona di ospitarmi a credito per una notte.

Comunque, una figata (da 14 ore, 62 km e 4064 metri di dislivello).

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