Questa "foto panoramica", l’effetto che mi fa questa foto, è una delle dimostrazioni più lampanti del fatto che al TOR non ci fossi proprio "io io". Da settembre, ogni volta che la guardo penso che darei qualsiasi cosa per essere al posto di chi l’ha scattata, con quella vista tutto intorno, quelle rocce fra le mani, quel sentiero che si snoda su quell’altipiano prima di sprofondare in quella valle da cui chissà come ne verrà fuori. Solo che quella foto l’ho scattata io, e lassù, sul Col Loson, a 3.300 metri, il Lassù più Lassù di tutto il TOR, il Lassù più Lassù della mia “carriera” di trail runner e probabilmente uno dei Lassù più Lassù che mi capiterà di raggiungere in gara in tutta la mia vita, in Quel Lassù, io ero solo appena appena contento.
Ma torniamo alla notte in Valgrisenche, dove era tanto freddo e tanto buio, l’alba era tanto lontana, e io ero tanto solo.
Qualcuno in realtà lì in giro c’era, ma io non ero in vena di socializzare. Non ero in vena di niente, per la precisione, e quella notte mi sembrava nera come la pece, e non saprei proprio dire se lo fosse davvero o fosse una stellata clamorosa. Le notti a inizio gara, quelle che cominciano prima di te, mi sono sempre pesate tantissimo, ma nelle notti in gara, quelle che vedi nascere e accompagni mente diventano grandi e poi vecchie, ho vissuto alcuni dei momenti più belli della mia vita, e sono uno dei motivi che mi spingono ad andare ad allenarmi anche quando non ne ho proprio voglia. Ma questa, forse perché mi ero fermato a dormire, forse solo perché io non ero davvero io, è stata pesantissima. Non ricordo un metro della salita a Col Fenetre, e della incredibile serie di zeta che da lì scende a Rhemes Notre Dame ho solo l’immagine delle foto viste nei libri. Giù a Rhemes mi fermo poco, ci sono altri 1300 metri di dislivello in salita che aspettano lì fuori nella notte, come tutte le luci che ho visto scendendo dal Fenetre sull’altro lato della valle mi hanno spietatamente fatto capire.
Anche della salita al Col Entrelor non ricordo un solo metro. Quella che invece ricordo benissimo è la voglia sempre più grande di mollare, sconfitta solo prima dalla mancanza di un posto dove farlo davvero e poi dall’aurora a tradimento dietro il Gran Paradiso, uno dei Geants del Tor: una carezza con la potenza di una sberla, che mi richiama alla vita e mi regala le energie per lanciarmi pieno di insperato entusiasmo giù per i pascoli e poi i boschi che conducono al ristoro di Eaux Russes. Ho fretta di ripartire, mangio qualcosa e mi avvio su per il Col Loson, il Lassù più Lassù di tutto il Tor. Mi serviranno 4 ore per guadagnarmelo: suppergiù 12 km e 1600 metri di dislivello, conditi dal tempo più bello che si potesse desiderare, da un abbiocco concluso in gloria con un microsonno da 10 minuti che mi rimette in piedi (ma che mi costringe ad abbandonare tre compagni di viaggio), e dal primo incontro (da lontano) con gli stambecchi.
Sopra i 3.000 poi, dove comincia la neve e finisce l’ossigeno, diventa dura sul serio: alterno dieci passi e dieci secondi fermo a respirare come un mantice, pensando che sono un cretino perché un asmatico come me forse era meglio se si prendeva qualcosa, e che Killian probabilmente non era ridotto così neanche sull’Everest. Chissà se con un po’ più di ossigeno al cervello, sul Lassù più Lassù del TOR, sarei riuscito ad essere un po’ più felice.
La discesa è bella ma comincio ad essere stanco e decido arbitrariamente che è meglio camminare, così il rifugio non arriva mai. Quando il mai finisce, prima di mangiare un po’ mi concedo un altro microsonno da 10 minuti in un vero letto, ed è incredibile come quando mi tiro su, un paio di minuti prima che suoni la sveglia, non solo la mente è tornata lucida, ma anche le gambe sembra si siano riposate per qualche ora. Alla base vita di Cogne mancano 8 km, che corro dal primo all’ultimo, come fossi appena partito.
Arrivato a Cogne sono in gara da 28 ore e mezza, in base vita c’è poca gente e tutto il tempo e lo spazio per fare come meglio si crede. Mi fermo poco più di un’ora: mi faccio una doccia, mi faccio fare i massaggi, mi cambio maglietta e canottiera (pessima idea…), ricarico un po’ telefono e orologio, mangio un po’. Con il solito senno di poi, butto via un sacco di tempo, perché l’unico modo per riposare davvero è dormire, ma io ho dormito da troppo poco tempo e il clima da Villaggio Valtur della Base Vita, alla fine mi fa più male che bene: ovvio che non si può rimanere concentrati per 100 e rotte ore, ma se sei al TOR devi andare a riposarti con le aquile e i camosci, perché là dove dormono passeri e i caprioli non è il tuo posto, anche se ci hanno messo una comoda palestra con un mucchio di lettini e di gente pronta a esaudire ogni tuo desiderio.
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Qualcuno in realtà lì in giro c’era, ma io non ero in vena di socializzare. Non ero in vena di niente, per la precisione, e quella notte mi sembrava nera come la pece, e non saprei proprio dire se lo fosse davvero o fosse una stellata clamorosa. Le notti a inizio gara, quelle che cominciano prima di te, mi sono sempre pesate tantissimo, ma nelle notti in gara, quelle che vedi nascere e accompagni mente diventano grandi e poi vecchie, ho vissuto alcuni dei momenti più belli della mia vita, e sono uno dei motivi che mi spingono ad andare ad allenarmi anche quando non ne ho proprio voglia. Ma questa, forse perché mi ero fermato a dormire, forse solo perché io non ero davvero io, è stata pesantissima. Non ricordo un metro della salita a Col Fenetre, e della incredibile serie di zeta che da lì scende a Rhemes Notre Dame ho solo l’immagine delle foto viste nei libri. Giù a Rhemes mi fermo poco, ci sono altri 1300 metri di dislivello in salita che aspettano lì fuori nella notte, come tutte le luci che ho visto scendendo dal Fenetre sull’altro lato della valle mi hanno spietatamente fatto capire.
Anche della salita al Col Entrelor non ricordo un solo metro. Quella che invece ricordo benissimo è la voglia sempre più grande di mollare, sconfitta solo prima dalla mancanza di un posto dove farlo davvero e poi dall’aurora a tradimento dietro il Gran Paradiso, uno dei Geants del Tor: una carezza con la potenza di una sberla, che mi richiama alla vita e mi regala le energie per lanciarmi pieno di insperato entusiasmo giù per i pascoli e poi i boschi che conducono al ristoro di Eaux Russes. Ho fretta di ripartire, mangio qualcosa e mi avvio su per il Col Loson, il Lassù più Lassù di tutto il Tor. Mi serviranno 4 ore per guadagnarmelo: suppergiù 12 km e 1600 metri di dislivello, conditi dal tempo più bello che si potesse desiderare, da un abbiocco concluso in gloria con un microsonno da 10 minuti che mi rimette in piedi (ma che mi costringe ad abbandonare tre compagni di viaggio), e dal primo incontro (da lontano) con gli stambecchi.
Sopra i 3.000 poi, dove comincia la neve e finisce l’ossigeno, diventa dura sul serio: alterno dieci passi e dieci secondi fermo a respirare come un mantice, pensando che sono un cretino perché un asmatico come me forse era meglio se si prendeva qualcosa, e che Killian probabilmente non era ridotto così neanche sull’Everest. Chissà se con un po’ più di ossigeno al cervello, sul Lassù più Lassù del TOR, sarei riuscito ad essere un po’ più felice.
La discesa è bella ma comincio ad essere stanco e decido arbitrariamente che è meglio camminare, così il rifugio non arriva mai. Quando il mai finisce, prima di mangiare un po’ mi concedo un altro microsonno da 10 minuti in un vero letto, ed è incredibile come quando mi tiro su, un paio di minuti prima che suoni la sveglia, non solo la mente è tornata lucida, ma anche le gambe sembra si siano riposate per qualche ora. Alla base vita di Cogne mancano 8 km, che corro dal primo all’ultimo, come fossi appena partito.
Arrivato a Cogne sono in gara da 28 ore e mezza, in base vita c’è poca gente e tutto il tempo e lo spazio per fare come meglio si crede. Mi fermo poco più di un’ora: mi faccio una doccia, mi faccio fare i massaggi, mi cambio maglietta e canottiera (pessima idea…), ricarico un po’ telefono e orologio, mangio un po’. Con il solito senno di poi, butto via un sacco di tempo, perché l’unico modo per riposare davvero è dormire, ma io ho dormito da troppo poco tempo e il clima da Villaggio Valtur della Base Vita, alla fine mi fa più male che bene: ovvio che non si può rimanere concentrati per 100 e rotte ore, ma se sei al TOR devi andare a riposarti con le aquile e i camosci, perché là dove dormono passeri e i caprioli non è il tuo posto, anche se ci hanno messo una comoda palestra con un mucchio di lettini e di gente pronta a esaudire ogni tuo desiderio.
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