23 gennaio 2020

Il mio TOR(mentato) X – quarta puntata

Arriva l'8 settembre 2019, io mi sono preparato per mesi (o forse per anni, dato che per essere pronto per il TOR di km, metri D+ e D- e giorni e notti fra le montagne devi averne messi da parte parecchi) e sto di merda. A due ore dalla partenza annoto sul mio diario "L'ansia è a livelli altissimi. Almeno qui posso portarla a spasso per i monti e mescolarmi con gli altri". Il fisico è pronto, tutto il resto non lo è mai stato di meno di così. Speriamo che il TOR sia la cura.

Gli organizzatori hanno un debole per Vasco Rossi, che io ho sempre cordialmente detestato. Nell'attesa del via i due poliedrici speaker fanno ascoltare gli "inni" delle prime 9 edizioni, e sono quasi tutte canzoni sue, cosa che non aiuta il mio morale scassato. Mangio quasi fino all'ultimo prima di partire, che tanto di calorie me ne serviranno parecchie e il ritmo di partenza non sarà di quelli che bloccano la digestione. E parto.

Passerella fra le vie di Courmayeur a ritmo sufficiente da non rimanere imbottigliato nella panciona del gruppo (siamo più di 800) e poi su per il primo sentiero a passo controllato: mancano 329 km all'arrivo e qualcosa come 24.000 metri di dislivello. Il primo colle è il col d'Arp, 2.570 metri: dopo il tratto nei boschi si aprono i pascoli, comprensivi di mucche, che poi lasciano il posto alle pietre. Ma le pietre non le vedrò mai. A 1700 e poco, mentre salgo nel serpentone colorato insieme ai miei compagni trentini (senza nessuna soddisfazione), inizia a nevicare. Probabilmente è anche freddo, ma quello non è un problema. Di per sè neanche la neve è un problema (anzi, fossi nel pieno delle mie facoltà mi divertirei tantissimo), solo che nei prossimi giorni dobbiamo salire altri 1.600 metri di dislivello: se nevica qui come sarà a 3.300 metri? E di fantasmi ne avrei più che abbastanza dei miei, senza aggiungerci quelli meteorologici. Per la cronaca, sul versante opposto della valle c'è il sole.

In poco meno di 2 ore siamo al passo e iniziamo la prima discesa, sempre sotto la neve. Le gambe accelerano volentieri, la neve dura ancora poco, passa il primo ristoro, dopo 8 km e 1100 metri di discesa siamo a La Thuile, dove mi piacerebbe sedermi a mangiare un piatto caldo, tanto per farmi capire che è una cosa da prendere con calma. Però gli altri trentini hanno il fuoco al culo, arraffano un po' di spuntini (compresa la leggendaria "mocetta", una specie di breaola valdostana) e ripartono, e io non sono proprio in periodo da potermi permettere di rimanere da solo a cuor leggero. Usciti da lì Mattia e Fabrizio si involano, ma Luca prosegue con un passo potabile, e mi accodo a lui nella salita verso il Passo Alto. Alberto è rimasto indietro perché è riuscito ad allenarsi poco e vuole prenderla con ancora più calma. Il mantra è "non forzare - non forzare - non forzare", e non forzo. Il tempo bruttino riduce la visibilità, ma si capisce che già qui è un gran bel posto. Di cui io riesco a godermi un 10-15%. 

Al rifugio Deffeyes, di nuovo attorno ai 2500, appena ti fermi a mangiare qualcosa capisci che fa freschetto, così  aggiungo qualche strato e soprattutto tiro fuori le moffole da circolo polare, ma devo rinunciare a Luca che fugge in avanti. Il vallone prima del passo è bellissimo (me ne accorgo persino io) e dopo un'ultima rampetta sassosa, affrontata sempre con calma, affronto i 3 km di discesa (di cui non ricordo un singolo metro) prima di ricominciare a salire verso i 2800 metri del Col de la Crosatie (dove ritrovo Luca).

In una gara "normale" è una di quelle salite che ti ammazzerebbero, ma qui si prende a ritmo ragionevole, e allora i 1000 zig zag prima della cima sembrano quasi piacevoli. L'ultimo pezzo, con la luce della giornata che finisce e il Monte Bianco subito dietro le spalle, è a prova di depressi, e come lui la discesa all'ultima luce del giorno, con una pendenza tutta da correre (ma si passa accanto al cippo che ricorda che qui, in un posto senza nessuna difficoltà, due anni fa un concorrente ci è morto), fin sul fondo della valle dove sta la prima base vita di Valgrisenche. Prima di arrivarci, qualche km di falsopiano in salita, che prendo molto molto con calma.

Io e Luca e arriviamo insieme alla base vita, ma con programmi diversi. Lui mangia qualcosa e riparte, io voglio dichiarare chiuso il giorno 1, anche se sono da poco passate le 10, e me la prendo con calma: doccia, massaggi e tentativo di dormita (e mangio pure, ma non mi ricordo più né cosa né quando...). Con il senno di poi, superflui doccia e massaggi, velleitario il tentativo di dormita. Mi fanno accomodare in un camerone con una decina di letti a castello e altre brande, e sono solo. Sembra il paradiso e mi appisolo subito su una branda, con l'obiettivo di dormire un'ora. Dopo mezzora il paradiso finisce bruscamente con l'ingresso di altre 2-5-10 persone, che iniziano a fare un gran casino. Contrariatissimo, dopo un ancora più velleitario tentativo di ottenere un po' di silenzio, rimetto le mie cose nella borsa gialla e  riparto, dopo una sosta di poco più di un'ora in tutto.

Come al solito il primo impatto appena usciti dalla base vita è tragico: tanto freddo e tanto buio. E l'alba è tanto lontana. E sono tanto solo.

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