19 gennaio 2020

S1 Ipertail Corsa della Bora 2020

Riassunto della puntata precedente: nel 2019 mi ero divertito un sacco a scorrazzare su e giù per il carso nei 165 km balisati dell'Ultra Trail Corsa della Bora. Potevo forse non provare la versione da 175 con partenza da Gorizia, senza balise e con "casse al seguito"? No, non potevo. Così il 4 gennaio alle 7 del mattino sono in Piazza della Transalpina a Gorizia, quella dove una volta c'era il muraglione del confine con la Slovenia e adesso non c'è più. Siamo 4 gatti, e per la precisione: 

- Luca Papi (vincitore, fra le altre cose, del Tor de Glaciers 2019)
- Alexander Rabensteiner (vincitore, f.l.a.c., della Südtirol Ultra Skyrace 2018)
- Peter Kienzl (vincitore, flac, della Transgrancanaria 2018)
- Marta Poretti (vincitrice flac del Ultra Trail del Deserto dei Gobi 2017)
- Maria Elisabetta Lastri (vincitrice, flac, dell'Ipetrail Corsa della Bora 2018)
- Luca Guerini (flac, IV all'Ultratrail Corsa della Bora 2019)
- Carlo Del Rizzo, Francese Imprecisato, Dario Pedrotti (flac, niente di niente)

Siamo così pochi perché gli altri concorrenti sono già partiti, un gruppo alle 00:00 e un gruppo alle 3:00. Noi siamo quelli convinti di riuscire ad arrivare entro le 21:00 del giorno dopo anche partendo alle 7 di mattina (che vuol dire risparmiando una notte di sonno). La compagnia è impegnativa, la giornata è bella, abbiamo davanti due giorni di tempo-tutto-per-noi, l'alba si avvicina, e partiamo.

In realtà io non sono solo, nel primo km sbuffa come un mantice insieme a me Roberto, il mio "iperatleta". Ho infatti aderito al progetto lanciato quest'anno dai vulcanici dell'Asd SentieroUno, in base al quale "alcuni partecipanti saranno coadiuvati da un’atleta disabile che svolgerà un ruolo fondamentale. Quest’ultimo monitorerà via satellite il proprio compagno d’avventura e gli fornirà l’assistenza pratica e psicologica nelle basi vita. Inoltre le coppie percorreranno spalla a spalla il primo kilometro della prova a Gorizia, per poi ritrovarsi a 1000m dalla linea d’arrivo e oltrepassarla mano nella mano, concludendo così il loro viaggio". Roberto ha moltissime disabilità: ha 19 anni, fino a 10 gg prima della gara non sapeva una mazza di trail, studia filosofia, è iscritto al Fronte Gioventù Comunista, e canta musica rap (con il nome d'arte "Imperfetto"). Però quando ci siamo parlati via FB è scattata una imprevista e quasi magica simpatia reciproca, e l'idea di ritrovarlo ad ogni base vita mi piace un sacco. A lui piace molto meno correre il primo km, ma arriva vivo fin dove doveva, e poi sono cavoli miei.
 
I primi km servono a fare amicizia con il navigatore gps: il tracciato non è segnalato con nulla, per arrivare in fondo bisogna affidarsi a lui. Per uno abituato con le cartine e la bussola, è quasi un gioco, ma è un gioco difficile. Primo, la tentazione di distrarsi è fortissima e ogni tanto cedi; secondo, gare di orienteering di 180 km non se ne sono mai viste; terzo, quando il tuo percorso non coincide con la traccia la maggior parte delle volte stai sbagliando tu, ma a volte è sbagliata la traccia, e non è facilissimo capire chi dei due abbia ragione.

Comunque, domato in qualche modo il congegno e riscaldate le gambe, mi trovo a correre in un posto bellissimo a picco sulla valle della Vipava, con una temperatura rigida ma piacevole, sotto un cielo limpidissimo, in compagnia di Luca 1, Luca 2, Elisabetta e Marta. Dato che io non mi sto tirando il collo, o sono diventato fortissimo, o loro stanno facendo un lungo riscaldamento. Scoprirò un po' più avanti che è la seconda, al primo strappo serio, attorno al 25° km, loro si involano e non li vedrò mai più. A dargli una mano nel seminarmi è anche la mia cattiva idea di mangiarmi un panino tonno e funghetti sott'olio, che mezzora dopo averlo inghiottito mi manda in crisi (prima e ultima della gara) con debolezza diffusa, aumento della sudorazione e del ritmo respiratorio e voglia di piantare lì. Per fortuna dura poco e i 1000 metri di dislivello in discesa (potabile) verso la prima base vita di Lokev aiutano.

Qui trovo Roberto che fra le altre cose mi ha procurato la limonata e l'acqua gassata che gli avevo "ordinato". Sto bene, ci scambiamo qualche facezia e riparto, non sapendo che è l'ultima volta che potremo scambiarci facezie.

Il secondo tratto parte con il "vertical di Caven, una salita spaccagambe da 1087 metri in meno di 4 chilometri, che supero brillantemente, contrariato solo dal fatto che il montarozzo dove arrivo si mette in mezzo fra me e il tramonto sul mare (lontano). Intravvedo solo fra gli alberi quella luce stupenda che i primi si beccano sulla cima più avanti (vedi foto a lato) e mi dispiace un sacco. Ma procedo bene, ritardando più possibile l'accensione della frontale per godermi la luce della (mezza) luna. Quando sto per iniziare la lunga discesa per la seconda base vita le batterie ricaricabili non tanto ricaricate della mia frontale mi costringono ad un pit-stop in mezzo ad un prato, e mi raggiunge Carlo. Che in discesa mi butta lì una cosa del tipo "sai che alle 19.30 c'è un cancello orario a Vrhpolje?". A Vhripolje, prossima base vita, mancano un numero imprecisato di km fra i 3 e i 5 in teoria tutti in discesa ma chissà, sono le ore 19.10 e io non avevo la più pallida idea che ci fosse un cancello orario (cioè, un posto che se non ci arrivi entro una tal ora, ti squalificano).

Mi butto giù per la discesa a velocità da scatto degli ultimi 100 metri, felice che le gambe non ne siano troppo scocciate, e incazzato come una biscia perché mi pare che sia surreale che al ritmo a cui sto andando io rischi di rimanere fuori dai cancelli orari. Arrivo a Vhrpolje alle 19.26 e chiedo a tutti i volontari che incontro se è vero che c'è un cancello orario alle 19.30. I primi 3 mi guardano con l'aria di uno che non sa cosa sia un cancello orario, il quarto mi dice "sì, c'è ed è in entrata" (cioè, se entri prima delle 19.30 puoi uscire quando ti pare). Sono ancora un pelo agitato, ma mi metto ad armeggiare nella mia cassa e a parlare con Roberto, con l'idea di tirare un po' il fiato. Ma 5 minuti dopo un altro volontario mi dice che il cancello era in uscita, e che se non riparto immediatamente mi squalificano. Qui mi salva la mia pessima abitudine di fare sempre tutto all'ultimo minuto, che mi permette di non farmi prendere dal panico e di prendere le cose strettamente indispensabili e ripartire, affannatissimo, ma con tutto quello che mi serve.

Un po' di pianura e poi si torna in su. Dicevo, il gps è un bel gioco, ma rischi di distrarti. Io mi metto ad armeggiare con le giacche e i guanti e non lo guardo per un po', che tanto sono su una forestale evidentissima. Dopo un po' mi accorgo di non essere sul tracciato, torno in giù, ma non trovo il bivio, quindi concludo che è sbagliata la traccia, e torno in su dalla stessa di prima. Dopo un altro po' mi telefona mia moglie da casa, che per pura botta di culo si è messa a seguire la mia traccia proprio in quei minuti, e mi dice che sto andando fuori percorso. Le dico che lo so, ma che il percorso giusto non c'è. Mi dice che però c'è uno dietro di me che lo sta percorrendo, quindi evidentemente c'è. Torno giù di nuovo, non lo trovo di nuovo, torno su un po' e trovo finalmente un bivio invisibile, impreco e lo imbocco: 40 minuti persi a vagare e un paio di km aggiunti gratuitamente.

Finalmente sulla diritta via salgo, salgo, salgo, a lungo in mezzo ai prati, a luce spenta, sotto la luna, ed è uno di quei (lunghi) momenti in cui ti ricordi perché a volte ti alzi alle 6 di mattina per andare ad allenarti. In cima al Monte Nanos c'è un vento che ti sposta, quindi non si può star lì molto a godersi lo spettacolo (che pure sarebbe notevole) così scendo. O almeno inizio a farlo, perché a questo punto sono le batterie del gps a tirare le cuoia. Togliersi i guanti e armeggiare con le pile non è piacevole, ma non ci sono alternative. Quando finalmente l'attrezzo si riprende, ricomincio a scendere "il naso del Nanos", variante proposta dal tracciatore, che permette di risparmiare qualche km, "al modico prezzo del rischio dell’osso del collo". Mentre mi destreggio fra cordini in metallo e dirupi, Roberto mi aiuta a rilassarmi dicendomi al telefono che ho un numero di minuti irrisorio per arrivare al cancello di Razdrto. Appena accelerare smette di essere sinonimo di gettarsi nel vuoto, cerco di farlo, e arrivo alla base vita con un paio di minuti di margine sul cancello. Qui i volontari sono unanimi nell'indicare che ho quasi 15 minuti prima di dover uscire, così "mi rilasso un sacco". 

Del tratto successivo non posso che copiaincollare quello che ho scritto per il sito della gazzetta. "I successivi quaranta chilometri hanno portato gli atleti fino ad affacciarsi sul mare, con la gran parte del dislivello ormai alle spalle, ma con un lunghissimo tratto di foresta, per molti buia, ancora da attraversare. Molto suggestivo, anche se per tutti immerso nella oscurità, l’attraversamento del canyon dove si inabissano le acque del fiume Timavo e, poco più avanti, la voragine del Parco delle Grotte di San Canziano. Emozioni di tutt’altro tipo hanno suscitato invece le moltissime vecchie giacche a vento e vecchie coperte sparse lungo il sentiero, reperti recentissimi della famigerata “via dei Balcani”, la rotta seguita da molti migranti provenienti da Africa e Asia, che cercano di entrare in Europa via terra: percorrere gli stessi sentieri, nelle stesse condizioni di buio e di freddo, ma con tutt’altro abbigliamento, tutt’altro spirito, e tutt’altre prospettive davanti, non ha potuto lasciare indifferenti. Così come non ha lasciato indifferenti il mazzo di fiori e la croce posati sulla falesia alle spalle di Trieste, dove pochi giorni prima della gara un migrante algerino è precipitato perdendo la vita. Certo, chi correva era lì per correre, e ha continuato a farlo, ma sarà anche quello un “pezzo di Carso” che gli rimarrà dentro."

Con l'aggiunta della mia incazzatura iperbolica quando alla base di Park Skocjanske Jame (dove sono arrivato dopo aver corso i 4 km su e giù per il canyon a velocità insensata) mi dicono che sono arrivato 6 minuti troppo tardi e quindi sono squalificato. Ora, a me quello che interessa è arrivare in fondo, e se non sarò qualificato chissene. Però in questi cancelli orari c'è qualcosa che non va. Per fortuna Roberto ha fregato qualche gel dalla mia cassa, così ho di che alimentarmi nei km successivi, però ho dovuto rinunciare al gulasch che servivano alla base vita, e che sognavo da chilometri.

Il tratto lungo il mare l'ho già corso l'anno prima, le gambe vanno ancora, le ore passano, litigo con la traccia gps a Porto Piccolo (20 minuti persi, e stavolta era la traccia ad essere sbagliata), mi trascino un po' lungo gli ultimi 15 km che trovo un po' gratuiti, e finalmente, quando è già di nuovo notte da un po', e sono passate 37 ore, 10 minuti e 54 secondi dalla partenza, arrivo al traguardo, mano nella mano con Roberto.

Dopo qualche giorno la classifica finale, corretta dai vari orari di partenza diversi, penalità e chissà che altro, dice che non solo sono qualiticato, ma sono anche arrivato 6° assoluto. Ad una eternità dal primo (il mio classico 1,5 volte il tempo del vincitore) e a 2,5 ore dal 5°, che quindi non avrei potuto raggiungere in nessun modo legale.

L'iper trail, quello con le casse e senza le fettucce, torna nel 2022, con partenza dalla Croazia. Chissà...










2 commenti:

  1. Come al solito super complimenti: raccontare un trail senza far addormentare il pubblico è dote rara! Ma che vuol dire flac? Forte e leggiadro atleta corridore? Google non aiuta.
    Lucia

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    Risposte
    1. speravo che scriverlo per esteso nella prima riga, e con i puntini nella riga dopo, fosse sufficiente a capirlo come sigla nelle righe dopo, ma evidentemente non è così, e la colpa è sempre dell'autore. "Fra Le Altre Cose"

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