C'era una volta un cavaliere che si chiamava don Pedrotte e che aveva un grande sogno: vincere il Torneo di Sprintonia.
Il torneo si svolgeva ogni anno a metà primavera in una zona diversa del Reame di Orientinia, e a vincerlo era il cavaliere che consentiva al suo destriero di mangiare tutte le carote disseminate lungo un percorso intricato, nel giusto ordine, e nel minor tempo. Al Torneo di Sprintonia non si vinceva un fico secco: non c'erano principesse date in sposa al vincitore, non c'erano pentoloni pieni di monete d'oro, non c'erano reami in omaggio al primo classificato. Ma don Pedrotte si era ficcato nella sua zucca dura che voleva vincere proprio quel torneo lì.
Per molti anni don Pedrotte, che apparteneva ad una famiglia di nobili ormai decaduti, fece di tutto per trovare una cavalcatura adatta a lui, ma, essendo molto alto e molto povero, non era una impresa facile: tutti i quadrupedi, che si poteva permettere, erano troppo bassi, e lui toccava per terra con i piedi, frenando la corsa del povero animale. Ciononostante, tanta era la voglia e la costanza del cavaliere, che in 6 partecipazioni era riuscito ad arrivare per ben 3 volte secondo, dovendo sempre arrendersi al medesimo rivale: il Re Carlo in persona.
Ogni anno infatti il sovrano, umile come pochi e molto sportivo, nonostante il suo lignaggio, si mescolava ai suoi più umili sudditi e prendeva parte al Torneo di Sprintonia, uscendone sempre vincitore.
Al settimo anno, don Pedrotte ebbe un'idea e andò a rileggersi ben bene il regolamento del torneo: "Proprio come pensavo: - disse alla fine - non c'è scritto da nessuna parte che è il destriero a dover portare il cavalliere, ma solo che deve essere il quadrupede a mangiare le carote". Così si procurò il ciuchino più leggero che riuscì a trovare, e iniziò ad allenarsi a correre con quello sulle spalle. E corri che ti corri, arrivò il grande giorno.
Il Torneo di Sprintonia si svolgeva quell'anno nella remota terra di Caòria, dove per l'occasione si erano radunati tutti i più forti cavallieri del reame. Oltre a Re Carlo erano giunti per sfidarsi sulle 22 carote del percorso il prode Inghemario, Duca del Tirolo, i fratelli Paulonio e Simonio Grassii, Granduchi di Longobardia, Albus Massimio, Arciduca di Tuscolania, Fransiscus Busellus, Conte della Appenninia, e Miguel de Ausermul, Signore di Fiammazia. Con il suo ciuchino tutto pelle e ossi, don Pedrotte si sentiva un po' in soggezione davanti a tutte queste teste coronate, dotate di cavalcature degne del loro prestigio. Ma era più che mai deciso a portarsi a casa l'agognato trofeo.
Il primo a partire fu Inghemario, per via del concomitante impegno della di lui consorte Kirchelecchenaria, con la quale doveva darsi il cambio per tenere i nobili pupi della sua discendenza. Autore di una prova regolare ma non abbastanza gagliarda, il cavallo del Tirolese diede il meglio di sè a metà percorso, mangiando la carota numero 10 più velocemente di chiunque altro e la numero 11 quasi anche. Inghemario fu però costretto a riununciare ai suoi sogni di gloria con un tempo molto mediocre alla 15, chiudendo quarto.
Fu poi il turno di Albus Massimio. Purtroppo per lui, il suo cavallo doveva aver mangiato troppo fieno o troppo tardi, perché ad arrivare alla prima carota ci mise un secolo. Solo verso la quinta sembrò aver finito di digerire, e alla 12 era riuscito addirittura a portare il suo cavalliere fra i possibili vincitori. Purtroppo non ci fu verso di convincere il quadrupede a non fermarsi a bere alla fontana vicino alla carota numero 14, e, nonostante nella discesa per la 17 fosse risultato addirittura il più veloce di tutti, alla salita per la 19 tutta l'acqua ingerita lo appesantì al punto da costringere Albus Massimio a rinunciare a tutti i suoi sogni di gloria, e a finire al sesto posto.
Dopo di lui fu la volta di Miguel de Ausermul, che, al contrario di Albus, non dava da mangiare al suo cavallo da giorni e giorni. Per questo motivo il suo destriero allo scoccare del via schizzò come un razzo fino alla prima carota, dove giunse più veloce di tuti, ma passò quasi tutto il resto del Torneo a digerirla, finendo per arrivare addirittura undicesimo.
Simonio Grassius, ancora malconcio per un duello di alcuni mesi prima, prese parte alla tenzone solo per onor di firma, chiudendo dodicesimo, con un solo acuto alla carota 12, e dopo di lui fu il turno di Fransiscus Busellus. Già dalle prime carote il suo cavallo mostrò però di non essere in giornata, e dopo la carota numero 9, andò a mangiarsi la carota 14, venendo così squalificato.
Con tutt'altro piglio partì invece Paulinio Grassius, che, più lento solo del fugace Miguel alla prima carota, eccettuati alcuni piccoli sbandamenti alla seconda, alla quarta, alla ottava e alla dodicesima, galoppò come un fulmine fino alla diciassettesima carota, dove si trovava ancora sul podio. Galeotto fu però il prato della 18, dove il cavallo si fermò a brucare, e la salita successiva, dove avviò la digestione, condannando il prode Paulinio ad un modesto sesto posto.
Non restavano ormai che Re Carlo e don Pedrotte, il primo sul suo slendente cavallo bianco, e il secondo sotto il suo ciuchino pelle e ossa.
A partire per primi furono gli ultimi due, che alla terza carota sembravano già spacciati. Dopo il quarto tempo alla carota numero 1, perché insomma il ciuchino era pure magrissimo, ma in salita pesava eccome, fra le casupole dove erano nascoste le carote 2 e 3 il povero don Pedrotte perse proprio la trebisonda, e solo il rumore della fontana vicino alla 3 gli impedì di andare totalmente alla deriva. Scosso dal rischio corso, e sistematosi meglio il ciuchino sulle spalle andando alla 4, don Pedrotte riuscì a fare il miglior tempo per andare alla 5 e, dopo un'altra sbandata per la 7, di nuovo alla ben più prestigiosa 9, dall'altra parte del paese. Un po' stordito per la 10 come molti altri, ma più di quasi tutti gli altri anche alla 11, riuscì finalmente ad infilare una brillante serie di carote dalla 13 alla 19, con un nuovo miglior tempo alla 18 e un ottimo secondo al nuovo trasferimento da una parte all'altra del paesello. Il ciuchino, a forza di mangiare carote, pesava come un bue sulle spalle ossute di don Pedrotte, ma dando fondo a tutte le sue energie, il cavaliere riuscì ad arrivare al traguardo in prima posizione.
Re Carlo era già partito quando don Pedrotte arrivò, e non potè quindi sapere della sua prestazione, ma il suo bianco destriero mangiò carote a manetta fino alla 8, dove però fece indigestione. Per salire alla 9 dall'altra parte del paese fu addirittura 15'' più lento del bipede col ciuchino in spalla, e poi si inchiodò nel pascolo vicino alla 10 per mangiarci sopra un po' di erbetta, e dalle parti della 11, forse per fare le sue cose. Da lì alla fine Re Carlo lo rincorse prendendolo a calcioni nel sedere e lo fece volare come un unicorno fatato, ma non bastò: don Pedrotte lo aveva battuto!
La folla urlava e strepitava e stava per portare in trionfo cavaliere e ciuchino, quando passò proprio lì accanto il bel Ruggèrio. La principessa, madrina del torneo, assisa sul suo pony, aveva da sempre un debole per lui, e al suo passaggio lasciò cadere il suo fazzolettino ricamato. Mentre lui glielo porse, la folla si zittì. "Grazie bel cavaliere - disse la principessa a Ruggèrio - perché non provi anche tu il percorso?". "Vi ringrazio Madama - le rispose il nuovo venuto - ma non mi alleno dalla Prima Crociata e non ho neanche una cavalcatura". "Puoi prendere la mia - ribattè la principessa sbattendo le ciglia - ne sarei davvero onorata". Ruggèrio ci pensò un attimo, poi, visto che mancava ancora un po' all'aperitivo in osteria, si caricò in spalla pony e Madama, e si fece il percorso (dove nel frattempo gli addetti, chiamati "pavionesi", avevano riposizionato tutte le carote) tutto d'un fiato.
Quando arrivò sul traguardo e il giudice disse il suo tempo, inferiore di ben 36'' a quello di don Pedrotte, tutta la popolazione andò in delirio, lanciò in aria i copricapi, si strappò i capelli, pianse di gioia, e urlò a gran voce il nome di Ruggerio, portandolo, lui sì, in trionfo. I commercianti di stoffe se lo strappavano di mano per offrirgli sontuosi contratti di sponsorizzazione per i successivi tornei, i banchieri volevano un suo dipinto porta fortuna da appendere all'ingresso dei loro edifici, e la principessa gli buttò le braccia al collo, mormorandogli all'orecchio profferte irripetibili.
Il bel Ruggerio a quel punto si scrollò di dosso la principessa, i banchieri e i commercianti, e si avvicinò a don Pedrotte e al ciuchino, seduti avviliti ad un angolo della strada. "Venite vah - gli disse chinadosi fino all'altezza dei loro volti afflitti - che vi offro uno spritz".
E tutti vissero felici e contenti.
Dopo aver letto questo, chiudo il mio blog per manifesta incapacità :-)
RispondiEliminaPs: se la medaglia d'argento ti fa scrivere questo, ti auguro di vincerne altre 27! Noi saremo sempre contenti.
Solo perché non hai visto come scriverei se vincessi l'oro...
EliminaAnch'io mi associo all'augurio che tu possa vincere altre 27 medaglie d'argento! :)
RispondiEliminaPurché l'oro lo vinca Rigoni...
EliminaL'espressione di RP è emblematica. Sicuramente in quel momento stava pensando:"Chi se l'aspettava un podio del genere!!!"
RispondiEliminasi vede che non legge il mio blog, io l'avevo pronosticato...
EliminaSi, ma non in quell'ordine ...
EliminaMi sto tenendo la pancia dal gran ridere...a questo prezzo ti lascio tutti i titoli che vuoi!!! (però dimmelo prima)
RispondiElimina0) è un grandissimo onore per questa testata avere un commento autografo di Re Carlo. Il valore della testata di decuplica, fioccheranno le proposte di pubblicità
Elimina1) non potrei mai godermi un titolo che mi è stato venduto, seppur in cambio della mia prosa sopraffina
2) l'orribile Ruggerio sarebbe lì pronto per approfittarne...
Va ben dai ... adesso però raccontaci le epiche gesta di Calaita
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