31 luglio 2013

Trans d'Havet, corta, a corto

Come detto, la Trans d'Havet non era affatto nei miei programmi estivi, ma il suo Perfido organizzatore Pollo Pollini, nel mentre che io cercavo di convincere lui a segnalare da qualche parte il mio libro che tanto parla dell'altra sua creatura (l'Ultrabericus), aveva subdolamente tentato di convincere me ad iscrivermi alla gara ("maaaaa, già che ti ho qua, da quel che capisco una ultra niet, forse la 40 km?"). E io, che avevo in programma un lungone in preparazione della Maddalene Skymarathon di fine agosto, e un clamoroso buco nel calendario agonistico e familiare proprio nel fine settimana della gara, dopo un paio di visite al sito e di occhiate alle foto dei posti dove si correva, ho ceduto in poche ore alle sue lusinghe.

Così mi ritrovo improvvisamente iscritto ad una gara di cui fino a qualche giorno prima sapevo poco o nulla, e che, nella versione "hard" da 80 km, valeva anche come campionato europeo di Ultra Trail. Quello che il servizio di Sky Sport descrive come "quei matti che corrono notte e giorno giorno e notte percorrendo dislivelli da capogiro senza dormire e mangiando quando capita". Dato che ero iscritto alla versione light, io ero uno di quelli meno matti o più sfigati. Solo 40 km con un paio di migliaia di metri di dislivello, ma anche per questa scampagnata valeva il ferreo regolamento così perentoriamente ed efficacemente riassunto da PP: "Materiale obbligatorio: borraccia o altro contenitore con minimo 1 litro d’acqua, lampada frontale funzionante con pile di ricambio, telo termico di sopravvivenza, fischietto, giacca a vento atta a sopportare condizioni di cattivo tempo in montagna del peso minimo di 200 grammi, pantalone lungo almeno fino a sotto il ginocchio, maglia a maniche lunghe, cappello o bandana, bicchiere personale di capienza minima 150 cc: sono più o meno 500 grammi di roba (acqua esclusa), molto meno dell'acqua che ingurgiterete ad ogni ristoro e che vi porterete nel pancino senza saperlo. Potete correre nudi, col pisello, le tette e la mona di fuori, il materiale ve lo cacciate in zaino e pregate iddio di non doverlo usare."

In realtà a salvare me da morte certa era stato solo un fortuito impegno di lavoro fissato per il 26 sera, che mi impediva di prendere in considerazione la gara lunga che partiva alle ore 1.00 del 27, e per gran parte del mio avvicinamento alla gara il mio unico pensiero era stato proprio se avrei resistito alla tentazione di iscrivermi l'anno prossimo alla gara "vera", perdendo la scommessa con Cosim-o, che via mail mi aveva sfidato: "io azzardo una scommessa ed è che al traguardo vorrai rilanciare per quella integrale che è veramente uno spettacolo...".

Per arrivare a Valdagno, da dove il pullman dell'ottima organizzazione del Perfido Pollini mi avrebbe portato alla partenza di Pian delle Fugazze, da Trento dovevo passare in macchina proprio da lì, da dove passava anche la 80 km. Passatoci verso le 6 di mattina, con le luci dell'alba che coloravano le montagne e un'aria limpida da commuoversi, ho pensato che la scommessa con Cosim-o era già persa, ma mi sottovalutavo.

Alle ore 8.00 tre pullman gran turismo trasportano poco più di un centinaio di sedicenti adulti lungo i 16 tornanti che separano Valdagno da Pian delle Fugazze, per portarli al luna park. Raccontando al mio vicino di posto che quando ero alle medie sul Carega ci ero venuto in gita durante un campeggio, viene fuori che lui faceva l'animatore in quei campeggi e che può essere che sul Carega 25 anni fa ci siamo andati insieme. Il mondo è proprio piccolo.

Quando ci scaricano al passo, prima di avviarci alla partenza della 40 km c'è il tempo di vedere quelli che stanno passando per la 80 km: essendo partiti all'1.00 quelli che ci sono lì in quel momento stanno correndo da circa 9 ore. I loro sguardi mi fanno cominciare a pensare che magari La Scommessa non è persa persa.

Foto di A.Maddalena

Poi partiamo, un pezzo in leggera discesa e poi su per il sentiero. Il problema è che siamo pochi, molti meno che alla Ultrabericus. E con così pochi non c'è nessuna possibilità che vada su prudente concentrandomi solo sulle mie gambe senza guardare cosa fanno gli altri. E così mi metto a correre garrulo, vagone di coda di un allegro trenino in salita, che si snoda in un bel bosco fra le zeta del sentiero, qualche ruscello e qualche sasso. Dopo una mezzora la prima erta è finita, siamo saliti di 500 metri e davanti si stende la bellissima piana di Campogrosso con il gruppo del Carega sullo sfondo. Il trenino è un po' sfilacciato e le mie gambe pensano che effettivamente siamo venuti su un po' troppo allegri, ma decidono di farmi una sorpresa e di non dirmi niente. 


Chi legge questo blog conosce quella certa mia passioncella per l'orienteering, eppure nessuna gara di quel fantastico sport mi ha mai dato il brivido di emozione che ho provato avvicinandomi al Carega sotto un cielo cobaltissimo, al pensiero che ci stavo proprio salendo di corsa. Fa parte delle Piccole Dolomiti e delle Dolomiti ha proprio tutto l'aspetto, e io ultimamente ho per loro una vera fissa. In avvicinamento a quel "Boale dei Fondi" di cui ho sentito parlare ma che per me non vuol ancora dire un granché, ci troviamo in 3, con tanto di presentazioni al volo. Con Federico e Daniel disquisiamo sul fatto che la gara dà energie in più rispetto ad un allenamento, ma ti spinge ad andare più veloce, e non si sa se la somma è positiva. Poco più avanti di noi corre un'australiana leggerissima e velocissima (vincerà la gara femminile e, scopro ora dal suo blog, ha un palmares di gare sui 100 km da paura), che raggiungiamo quando iniziano i sassi. 400 metri più in su sta la Bocca dei Fondi, una forcella che io, forte di due salite alla Forcella Pordoi, non temo. Ma faccio malissimo. Mentre l'australiana e Federico si involano ("passo davanti perché mi pare di avere il passo un pochettino più lungo del tuo") io e Daniel arranchiamo per 25 minuti che sembrano eterni, con il gps che pare addormentato e concede metri solo ad una lentezza estenuante. Il morale però è ancora ottimo e le gambe rispondono ancora bene. In più il cielo ci regala qualche nuvola e la salita nel complesso è molto tosta ma "piacevole". "Certo che farla dopo aver già corso 40 km deve essere impegnativo", medita dentro di me quello che pensa alla Scommessa.

Superata la forcella si apre un altro panorama fantastico e la pendenza diminuisce parecchio, e le due cose insieme fanno un gran bene allo spirito. La velocità non è smodata ma è buona e quando la salita si accentua di nuovo approfitto per mangiarmi il primo panino al formaggio e miele della mia cambusa. Non ho fame, ma mi pare una buona idea preparare digerite le calorie che mi serviranno dopo. Corricchia corricchia si arriva alla cima, che in realtà proprio cima non è. Il punto più alto è il Rifugio Fraccaroli, venti metri sotto la cima del Carega. Mi dispiace un po', come mi dispiace che al ristoro ci sia una ragazza con degli occhi bellissimi ma non delle bottiglie di sali, che apprezzerei moltissimo. Mi accontento dell'acqua e mi lancio lungo la discesa, non troppo tecnica ma troppo breve. Al km 13 c'è il primo ristoro serio, riempio le stive di acqua, sali, datteri e mandorle e riparto con passo discreto lungo una sterrata che sale non troppo pendente.

Sono da solo e verso il km 16 cominciano i primi problemi. Mi sa che è arrivata la famosa crisi. Continuo a correre, ma mi sento svuotato e né l'acqua, né i sali né il cibo sembrano funzionare. L'unica immagine desiderabile di me che ho in mente, mi vede sdraiato su un prato. Speriamo passi. Ed effettivamente in qualche modo dopo qualche chilometro passa. Lo capisco anche dal fatto che riesco ad immaginarmi anche seduto. Però col cavolo che farò la 80 km.

Il lungo tratto successivo è in attesa del ristoro. Non ho voglia di guardare la cartina e i volontari sul percorso danno numeri un po' a caso. Però sono tornato a stare bene e i chilometri passano. Fra gli altri pensieri che mi girano per la mente c'è quello del tempo. Sono ancora abbastanza in alto e fa già caldo, nonostante qualche piacevole refolo frizzante arrivi dopo qualche curva: come sarà in pianura? Attraverso anche una bella galleria nella roccia, il pezzo forte dei primi 40 km della lunga, vedi che non vale la pena farla? Al ristoro del 23esimo km c'è tutto quello che uno può desiderare, compresa una canna dell'acqua per rinfrescarsi e una volontaria che offre il bendidio presente con lo stesso accento e cantilena dei venditori ambulanti ai concerti all'Arena di Verona. Riparto più sicuro che mai e quando attorno al 25esimo i volontari avvisano che si lascia lo sterrato e ci sono "15 minuti di saliscendi e poi tutta discesa" inizio a fare i conti di che tempo potrei puntare a fare e non sembra utopistico arrivare non troppo lontano dalle 5 ore.

E invece arriva il crollo. Verso la fine dei 15 minuti di saliscendi il motore comincia a dare segni di crisi, come se il carburatore non facesse più il suo dovere. Smanetto con tutti gli interruttori e le manopole, rabbocco tutti i serbatoi, ma non c'è verso. Sono di nuovo in crisi: sarà ancora passeggera o questa non passa più? Il tracciato peggiora la situazione, perché il primo lungo pezzo di discesa è molto tecnico, ovvero, si fa una fatica porca e bisogna fare attenzione a dove si mettono i piedi fra gli alberi e le radici. Ho la reattività di un paletto di calcestruzzo, e non aiuta. Con il passare dei chilometri, o meglio dei metri dato che i chilometri non passano mai, la crisi diventa agonia. Non ho male da nessuna parte e non sto fisicamente male, ma l'unica cosa che desidero è fermarmi. Non riesco neanche più ad immaginarmi in nessuna posizione. Resisto per un po', perché fermarmi mi pare proprio brutto, ma poi cedo, e mi siedo a fianco del sentiero. 

Chiudo gli occhi, dentro è tutto vuoto. Non ho male da nessuna parte, non ho sete, non ho caldo, non ho fame, non mi gira la testa, non ho la nausea, non ho sonno, non mi sembra di svenire, non ho niente. Ma proprio niente. È proprio come se non ci fossi. Solo che invece ci sono, e sono seduto in un boschetto a troppi chilometri da Valdagno. E stare seduto pare non serva a niente.

Provo a ripartire, ma la situazione non cambia, non ne ho proprio più. Sono in discesa, che adesso non è neanche più tecnica, e vado più lento di quanto andavo in salita. E continuo a fermarmi, con la scusa di una fontana o anche senza nessuna scusa semplicemente per sedermi. Provo a pensare ad altro per farmela passare un po' di più, ma non sembra una delle funzioni ancora abilitate. Pare siano rimaste solo quelle di "corsetta blanda" e "autodiario secondo per secondo". Mi racconto quello che succede, quasi passo per passo. Non è un racconto molto edificante. Verso il 34esimo ho l'impressione di riuscire ad allungare un po' il passo e ci provo. Ma evidentemente fra "allungare" e "alzare" c'è un sacco di differenza, perché dopo pochi metri sbatto l'alluce destro contro un pezzo di legno che non sporge più di un paio di centimetri dal terreno. Ho le unghie dei pollicioni nere da anni e una botta in più o in meno non farebbe gran differenza, ma questo non è proprio il momento per ritinteggiare le unghie, e torno a gattonare.

In un tratto di quasi piano mi supera Marta, la fortissima amica di Cosim-o (quello della Scommessa, mortacci sua), che avevo superato dopo 10 minuti di gara. È come quando sei in funivia e l'altra ti sembra molto più veloce di quella dove sei tu, per quella storia della somma vettoriale delle velocità. Ma noi andiamo nella stessa direzione e non c'è nessun aiuto vettoriale: lei va come un missile e io sono piantato come un paracarro. Ma la cosa non sembra turbare minimamente il mio amor proprio, altra funzione probabilmente disabilitata da mò. Non riuscirei a reagire minimamente neanche se mi superasse Giuliano Ferrara in tuta da ginnastica.

È tutta una questione mentale, gli unici limiti sono nella tua testa, ecc. ecc. Ma se il tuo cervello sembra un calzino in lavatrice dopo la centrifuga, da dove mai ti può arrivare la forza per reagire?

Nel mio caso si tratta solo di un calcolo costi-benefici. Se faccio quello che più desidero al mondo, fermarmi, non arriverà mai. Se esaudisco il desiderio al secondo posto, camminare, ci metterò ancora delle ore. Quindi l'unico modo per sopravvivere è continuare a correre, a provarci almeno. Riesco a smettere di guardare il gps ogni 10 metri e a trovare un ritmo che non è dignitoso, ma almeno prevede che per qualche frazione di secondo entrambi i piedi siano staccati da terra. A scanso di (ulteriori) equivoci, quando la strada si mette a salire anche solo impercettibilmente imposto una camminata a ritmo Cioccia, la nonna 97enne di mia moglie. E ogni volta per tornare a "correre" ci vuole un discreto sforzo. Però funziona, procedo, il traguardo si avvicina.

"Quando vedi il cartello di Valdagno non pensare che sia finita", consigliavano tutti prima del via. Il fatto di continuare a non vedere il cartello non è incoraggiante. Come non è incoraggiante il fatto che tutti quelli che incontro, benché NON interrogati, si sentano in dovere di dirti quanto manca e di togliere regolarmente un paio di chilometri. E, non fosse che come detto l'amor proprio è in stand by, mi suiciderei quando a quelli che mi vedono in quello stato e mi chiedono "lunga o corta?" mi tocca rispondere mestamente "corta".
Dopo un paio di vicendevoli penosi superamenti, ci appaiamo con uno degli eroici reduci della "lunga" (quella che non farò mai e poi mai e poi mai, vai che almeno la scommessa la porto a casa), che, nonostante sia in gara da 9 ore più di me, non sembra essere messo peggio. "Dato che siamo in gare diverse e non ci sono questioni di piazzamento, potremmo arrivare insieme" mi propone. Gli assicuro che il piazzamento non è in quel momento fra le mie più pressanti priorità e procediamo insieme, imprecando a turno sul fatto che l'arrvi o non arriva mai. Però la compagnia aiuta e raggiungiamo vette di velocità per me fino a quel momento impensabili, con uno strepitoso 6'25'' all'ultimo chilometro.

Sul rettilineo d'arrivo (corso alla favolosa velocità di 6'14'' al km, solo pochi secondi più lento della velocità a cui di solito faccio riscaldamento) c'è tanta gente che applaude e uno che mi batte il cinque. Ma nel mio cuore c'è posto solo per quel coso rosso che dice che è finta, e per l'accogliente pavimento in marmo che guadagno subito dopo, dove deposito le mie spoglie mortali. Il cronometro finale direbbe 5h36'38'', un 28° posto neanche malaccio. Ma i cadaveri non guardano le classifiche. Qualche volontario del pronto soccorso viene a sincerarsi delle mie condizioni, io li congedo con poche parole il cui senso è che sono morto, ma me lo merito e in questo stato al momento ci sto benissimo, quindi si occupino di qualcuno che vale la pena di tenere in vita.

Mentre faccio la fila aspettando il mio colloquio di accettazione con San Pietro (con addosso la maglietta del pacco gara, che mi piace un sacco e mi dona un casino e chissà che almeno non riesca a cuccare un po' nei 400 anni di purgatorio che mi beccherò come minimo) ripenso ai miei ultimi giorni terreni, e tutto sommato va bene così. È vero che se avessi corso in modo più intelligente avrei potuto rimanere in vita e fare tante altre belle gare, ma spremermi come un limone nella parte più bella di una gara di una struggente bellezza come questa è stata comunque una gran soddisfazione. E poi, a pensarci bene, probabilmente avrei finito col perdere la Scommessa.



6 commenti:

  1. Bel racconto, sempre bello rivivere nei racconti degli altri le stesse gare... 5h36... io ne impiegate 16h26... ma la scommessa l'ho persa perchè l'anno prossimo sarò di nuovo là, all'una di notte, con gli altri folli... sei proprio sicuro di non venire???

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    1. sicuro sicurissimo, almeno quanto ero sicuro che non avrei MAI corso l'Ultrabericus

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  2. Mi sa che la perdi comunque la scommessa...
    L'anno prossimo sarai alla partenza di quella da 80 km con addosso la maglietta del pacco gara che ti dona un casino... :)
    Anche perché la parte più bella del percorso è proprio la prima metà..!

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    1. a voi dell'Er-team devo applicare l'antispam sulla posta, sul blog, sul piccione viaggiatore, su tutto, mi porterete alla morte, lo so (ma con la gara del pacco gara no, mi dona un casino ma dopo 6 ore di gara puzzerebbe come un gregge di caproni)

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  3. guarda, la mia scommessa è stravalida... e se la perdo è solo perchè ti sei iscritto al Grand Raid... :-D

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  4. La maglia è quella arancione che si vede nella foto?
    È deliziosa, ma trovo che sarebbe perfetta con una gigantesca forchetta sul davanti e la scritta "Larrycette.com" sulla schiena.

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