9 settembre 2020

Swiss Peaks, the days after

Prima o poi scriverò qualcosa anche sul "durante", ma oggi sguazzo nel "dopo", e dato che nessuno ne parla mai, mi sembrava carino provare a raccontarne.

Se sei arrivato in fondo ad una gara di 316 km con poco meno di 22.000 metri di dislivello, dopo  quattro giorni e rotti su e giù per le montagne, dormendo in tutto meno di 10 ore, vuol dire che fisicamente qualche carta da giocarti ce l'hai. Però prima o poi il fisico torna a battere cassa, chiedendoti indietro quelle mille mila calorie che hai consumato (senza reintegrarle, stando al significativo aumento del numero di costole che riesci a contare guardandoti allo specchio senza maglietta) e quelle svariate ore di sonno che hai seminato nel Vallese invece di metterle in saccoccia.

Il mio, di fisico, batte cassa a ritmi differenziati.

Le gambe sembrano non essersi mai mosse dal divano, ieri le ho portate a correre, e non hanno fatto una piega. Non sono sicurissimo di riuscire a convincerle entro sabato a scendere sotto i 10 min/km, ma sul lungo lento fanno le splendide. E già dal giorno dopo l'arrivo riuscivo a sedermi sul e alzarmi dal water senza usare le braccia, indicatore infallibile della piena funzionalità muscolare.

I piedi hanno riassorbito gran parte delle bolle e dei dolorini, riesco a mettere le scarpe, perfino le antinfortunistiche, e solo ogni tanto sono ancora un pelino gonfi. Ma cose ridicole, in proporzione allo sforzo profuso.

Lo stomaco è in caccia perenne. Dopo essere stato infastidito nei primi giorni post gara dal mio tradizionale "mescolamento di gusto" per cui ogni cosa che mettevo in bocca alla fine sapeva un po' da ciabatta di feltro, si aggira per il mondo a caccia di calorie, qualsiasi tipo di caloria, che venga dai tre piatti di zuppa di pesce di lunedì sera o dai 3 piatti di spaghetti aglio e olio di questa sera o dalle svariate fette di pane con burro di arachidi ecc. ecc. ecc.

La zucca, quella avrebbe ancora tanta tanta voglia di dormire. Dopo una domenica e un lunedì quasi brillanti, in cui mi sembrava di essere quasi fresco, passo le giornate a sognare di potermi addormentare su una panchina al sole, o meglio ancora sotto il piumone del letto di camera mia. Solo che non avendo perso il sonno per combattere il covid o per spalare le macerie da una città terremotata, bensì a rincorrere esclusivamente il mio personale (benché discutibile) sollazzo, la mia tendenza all'abbiocco non è socialmente molto accettabile (come un'ombra permanente sul viso di mia moglie mi ricorda con inesorabile continuità).

Tutto il resto del mio organismo è probabilmente impegnato nel risistemare lo sconquasso che sicuramente questa scampagnata gli ha procurato, ma lo fa nel segreto di milioni di processi fisico-chimici che vanno avanti per conto loro.

E l'anima? Boh, chissà, non mi pare di provare quel "senso di estraneità dalle cose e dal mondo" di cui tanti mi hanno parlato post Tor & C. ma mi sento sicuramente di condividere una frase di Ilaria: "Rivoglio la luce della luna, le stelle, le bandierine rosse. Almeno lì sai sempre cosa fare e dove andare".




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