21 giugno 2015

CSI a Villa Agnedo

Sia mai che lascio indietro una gara, anche se era una CSI in Valsugana con esiguo numero di concorrenti. Meno che mai se si tratta di una prestigiosa vittoria. Ci sarà poi più avanti anche il tempo per tornare sulla severa lezione di orienteering che ho impartito oggi a S.Z...

Villa Agnedo, dunque, prova nonmiricordochenumero del campionato trentino CSI, giornata che a Trento si schiatta di caldo, e in Valsugana anche. Siamo ormai già a giugno, e la stagione orientistica, che sembra appena cominciata, è già alla lunghissima pausa estiva prima delle non poi moltissime gare autunnali. Insomma, è un mondo difficile.

A Villa Agnedo siamo pochetti, sia in M35 sia un tutto. Peccato, perché l'organizzazione è abbondante, c'è pure una maglietta "tecnica" per tutti i partecipanti. E la gara non è male. 

Ho dimenticato a casa il gps e transigo alle sacre regole dell'orienteering non tracciando neanche il mio percorso sulla carta, ma perdonatemi. I momenti clou della gara sono alla 3, quando bisogna vedere il sentierino lungo il verdone e indovinare dove si trova il sasso che si vede solo correndo indietro, alla 5 (ma solo perché mi complico la vita buttandomi fra i triangolini invece di fare un comodo giro da sotto, e alla 6. Sulla tratta lunga ci sono varie scelte, addirittura 4, con l'estrema destra, il ritorno alla 1 e poi su, il sentierino lungo il fiume e l'estrema sinistra. Io vado su per il sentiero, sicuramente la scelta più corta, ma forse non la più veloce, dato che non si corre benissimo. Dopo i 7 minuti fino alla 6 si tratta di spingere quanto si può e fare un po' di attenzione, ma ne basta proprio poca, se non alla 23 e poco più.

Finisce con me che mi porto a casa parecchio cibo e una maglietta troppo piccola che mi tocca regalare, e con Segatta un'eternità dietro, un po' per essersi incasinato alla 3, il resto perché ormai pare che io sia diventato il Carlorigoni dei poveri, e nelle garette come oggi non c'è storia. Che sono solo quello dei poveri lo dimostrano i poco più di 100 secondi che mi rifila Fabietto, che fa lo stesso percorso ma in MA. È vero che come abbiamo ricalcolato nel defaticamento dopo gara potrebbe essere tranquillamente mio figlio (ma non credo, a 19 anni la mia vita sessuale non era esattamente frenetica, e comunque non mi assomiglia per niente...), ma insomma, è comunque spiacevole. Anche se lui ultimamente corre proprio tanto e bene (sì, è vero, nel bosco tende un po' a perdersi, ma sempre meno).


9 giugno 2015

IV Coppa Italia - Middle - Bosco Cerasolo

Dopo l'empito di impegno sociale del post sull'Aquila, ritorniamo alle solite minchiate, cioè alle corse nei boschi a caccia di cosi bianchi e arancio, che non si possono neanche mangiare. Boschi magnifici, peraltro, e in posti magnifici, per di più. Scoperti soprattutto grazie al fatto che le segnaletiche per arrivare al ritrovo erano talmente deficitarie, che in parecchi (persino i torpedoni dell'US Primiero) hanno fatto dei bei giri per l'altipiano (il più grande altipiano carsico d'Italia, o qualcosa del genere), prima di trovare sto benedetto Bosco Cerasolo.

Una volta lì, si trattava di approfittare dell'assenza di Carletto e di dare una botta definitiva alla classifica di Coppa Italia M35. Beh, obiettivo fallito.

Ho scoperto in questi giorni il mio vero sosia sportivo: Stan Wawrinka. Lui dice che quando gioca al suo meglio può battere chiunque (tenete conto che Carletto non gioca a tennis, non contro Wawrinka, almeno). E infatti ha vinto un Roland Garros in finale contro Novak Djokovic, dopo aver buttato fuori nei quarti Roger Federer. Però quando non gioca al suo meglio può anche uscire al primo turno.

Ecco, io a Bosco Cerasolo non sono proprio uscito al primo turno, ma insomma. Diciamo che sono stato vittima della mia fobia più accentuata: il terrore del nero. Quando in carta vedo un quantitativo appena appena superiore alla media di nero, vado in paranoia. Non si può definire in altro modo quello stato confusionale, in cui sono caduto anche laggiù, dopo essere entrato in quello che tutto sommato era un fazzoletto di terra con quattro sassi. Confondere un dosso con una buca nonostante una roccia baffutissima che spiegava chiaramente dove stava la pendenza, partire in una direzione qualsiasi senza orientare la carta, ignorare l'assenza di una buca enorme che avrei dovuto vedere alla mia destra, non leggere la descrizione punto, e ignorare il centro del cerchietto, sono crimini orientistici che, tutto sommato, quando sono nel pieno delle mie facoltà mentali, non commetto. O almeno non tutti insieme.

Così fino alla 5 sono secondo (dietro ad un Simone Grassi che porterà a termine una gara sontuosa!), alla 6 sono terzo perché mi distraggo un pelo, e alla 8 sono nono e in fondo ad un treno di avversari che mi hanno raggiunto e superato, composto da Christian Bellotto, Massimo Bianchi e Kristian Bosisio. Da lì in poi per quanto mi riguarda è il festival del cazz-o, con sparate assurde per staccare gli altri, e risultati meschini per la totale casualità con cui le imposto (9° tempo alla 11, 7° alla 12, 10° alla 14, ogni volta uscendo per primo dal punto precedente, perdendomi poi nella foresta), con Max che tendeva a farsi portare alla deriva da me, e Kristian che se ne andava per i cazzi suoi a velocità metà della mia, e arrivava regolarmente prima di me).

Alla 15 riesco finalmente a staccare il treno e a correre un po' più dignitosamente, ma tutto quello che riesco a fare è arrivare all'arrivo un po' prima degli altri vagoncini.

Peccato, perché la gara era proprio bella, e mantenendo un minimo di sangue freddo fra le rocce (che non erano né tantissime né particolarmente bastarde) potevo proprio divertirmi. 


4 giugno 2015

III Coppa Italia - Sprint - L'Aquila

A L'Aquila, in una coppa Italia sprint senza Re Carlo, c'era una sola cosa che io come orientista potessi fare: vincere. E allora ho vinto. Una gara divertente, con una prima parte in un parco pieno di edifici, non irresistibile ma non banale se preso in velocità, un trasferimento fettucciato per passare in città, una parte in centro storico preceduta da rampone di avvinamento, e poi trasferimento e due punticini in un parco, tanto per allungarla un pelo. A me è piaciuta proprio tanto, chissà se Zonato approverà... Primo io, secondo Andrea Gobber, terzo Eddy Sandri.

Ma se come orientista il mio dovere era vincere, come ori-blogger (praticamente unico esemplare ancora in vita, o almeno in attività), il mio dovere è quello di provare a raccontarvi l'Aquila, una città ferita.

Ho avuto la fortuna di poterla girare un paio di volte da solo, e una volta con il futuro suocero (? :-)) di una orientista trentina, a varie ore del giorno e della notte, ed è stata una esperienza molto forte. Arrivando dall'autostrada lo "skyline" di L'Aquila è una selva di gru, 72, dice chi sa. Che sono tantissime, ma una goccia, su un'intera città. Il centro è un luogo fantasma. Pochissimi i bar che hanno riaperto, ancora meno i negozi, e la sera c'è una sola via illuminata, quella principale. Il resto è buio e silenzio, o quasi. Ci sono alcune case e alcuni palazzi finiti di ristrutturare, che dicono di quanto sarà bella la città quando sarà riscotruita. Ma ci sono tantissime case che sono praticamente identiche a come erano il 7 aprile del 2009, il giorno dopo il terremoto, che dicono di quanto sarà ancora lunga la strada per arrivare lì.

Ci sono case con la porta aperta, con ancora i mobili e le stoviglie, che sembrano allo stesso tempo essere state abbandonate ieri e da anni. Altre (moltissime) farcite e circondate di tubi e cavi d'acciaio, molte delle quali non sembrano essere in nessun modo recuperabili. Si dice che l'uso e l'abuso di tubi dalmine e ponteggi per puntellare, anche quello che non aveva senso puntellare, sia stato frutto di un preciso disegno speculativo di persone molto in alto. Si dice anche, ma in modo molto più circostanziato, che la intensa nevicata di alcuni anni fa abbia sfondato i tetti di molte case puntellate, che sono ormai contenitori vuoti destinati solo alla demolizione. Al di là delle responsabilità, il risultato è davvero desolante, soprattutto se è vero che,  come dicono, stanno finendo i cantieri avviati qualche anno fa, ma non ne stanno più aprendo di nuovi, perché sono finiti i soldi delle donazioni, mentre per quelli dallo stato si aspetta una legge ad hoc, che non è ancora riuscita ad uscire dal parlamento.

Intanto moltissime persone (il 75%?) vivono ancora nelle abitazioni "provvisorie" costruite dal governo in quelle "new town" che hanno suscitato entusiasmi e feroci critiche. Senza dubbio hanno consumato territorio che prima era agricolo, sono costate parecchio (sui 2.700 euro al metro quadrato) e quando le persone potranno tornare nelle loro case non sarà facile ricollocare sul mercato 4.500 abitazioni. Però hanno dato un tetto in tempi rapidissimi, e in modo più dignitoso di un container, a tanta gente che ci abita già da 6 anni e chissà per quanto ancora. Alcune sono molto belle, altre molto meno, alcune sono state costruite come si deve, altre molto meno. 

L'Aquila oggi è una città che fa fatica a ritrovare la speranza del futuro, dove chi l'ha sempre vissuta, girando per il centro trova dei vuoti dove ieri c'erano edifici che avevano popolato la sua vita fino a ieri, delle serrande chiuse e delle luci spente dove andava a mangiare la pizza, e chissà se e dove riapriranno mai, una foresta di tubi dalmine attorno alle colonne del porticato sulla via centrale, ciascuna delle quali era il punto di ritrovo di una compagnia diversa di giovani. Ma è anche una città con molta dignità, che ogni anno celebra con una processione il terremoto e le sue vittime, che tiene molto pulite tutte le vie del centro, sia quelle poche sveglie, sia quelle molte addormentate, e che, almeno nelle persone che ho incontrato io, sorride.

Chi la vive, dice che sarebbe bello che destra, centro e sinistra buttassero le loro bandiere e si rimboccassero le maniche per ridare insieme un futuro alla città. È l'augurio che faccio anch'io a tutti loro, e non solo a loro.