22 agosto 2023

2gg della Valsudata

Dopo mesi torno a correre con carta e bussola e dopo anni torno alla 2gg della Valsugana, quest'anno sostituita dalla 2gg della Valsudata, soprattutto al sabato.

La coscia stirata (?) in Catinaccio mi ha impedito di correre tutta la settimana, ma mi pare stia meglio. Parere che vola via già dopo il primo minuto di riscaldamento (sì, anche quando fa molto caldo bisogna riscaldarsi...) e dopo il terzo penso seriamente di non correre, che fra tre settimane ho l'UTMR e non ha senso rischiare di farsi peggio in una sprint in centro storico (beh, dai, in paese).

Dopo altri 2 minuti penso che dai, che alla peggio corricchio (ma quando mai...) e male non mi può fare.

Il percorso è rivedibile, fa un caldo porco (ma io non me ne accorgo perché ho altro a cui pensare), ci sono poche scelte da fare e le sbaglio quasi tutte, è difficile sbagliare ma io ci riesco, corro come una giraffa zoppa (ma con due zampe sole), e mi piazzo al 5° posto con un distacco che per me, in una sprint, è imbarazzante. Ma tanto è una due giorni, e in una middle nel bosco (che è pure una middle un po' slongated) 2'10'' si possono recuperare tranquillamente. O almeno questo è il pensiero con cui vado a nanna.

Il day 2 è in Val di Sella, qualche bel centinaio di metri più in alto, in più sono le 10 di mattina invece delle 15.30 di pomeriggio (che ideona...) e in più c'è il bosco.

Durante il riscaldamento (un rettone pendentissimo su asfalto) scopro con piacere che la coscia mi dà meno fastidio, in compenso mi fa male il polpaccio, perché al sabato ho corso tutto storto. Ma sono nel bosco, ho una cartina in mano, una bussola attorno ad un dito e un brichetto air attorno ad un altro: cosa saranno mai una coscia stirata e un polpaccio contratto. Magari si compensano.

Certo, l'ultima volta che ho corso in un bosco con una cartina in mano ecc. ecc. è stato un po' di tempo fa e io mi arrugginisco in fretta, e la gamba sinistra nel suo complesso funziona così così, e alla 1 sto bassino ma me ne accorgo abbastanza presto, e alla 3 perdo un po' di secondi in zona punto, e alla 7 salgo troppo, e alla 9 sbaglio casa e ravano sopra quella sbagliata, e alla 12 zompetto da una parte all'altra del torrente invece di fiondarmi giù dal sentiero, ma insomma, mi difendo.

Spiano il primo di ieri (che in bosco pare meno performante), spiano il quarto di ieri, che oggi non era in giornata, stacco a sufficienza il terzo di ieri, e mi accomodo sul podio al secondo posto, perché Eddy mi dà altri due minuti (e tale Roberto Pradel ne dà 3 anche a lui, ma noi eravamo disidratati da ieri, lui non c'era), che con quelli del giorno prima fanno quasi quattro. Ma mi vendicherò, oh se mi vendicherò...

Non mi è ancora chiarissimo cosa penserà la mia coscia di tutto ciò, ma è stato tanto divertente 😏



17 agosto 2023

Catinacci

Da anni a Natale mi faccio regalare il fantastico calendario di foto aeree delle Dolomiti della Teppainer, e più di una volta mi è rimasto appeso davanti al naso per mesi e mesi (un po' perché sono un po' pigro a girare le pagine, un po' perché le foto più belle poi me le appendo in giro per casa), il Catinaccio, da varie angolazioni.

Da qualche anno mi dicevo che dovevo andarci, in realtà non SUL Catinaccio, ma NEL Catinaccio, quella specie di, appunto, catino, dove è adagiato il Rifugio Re Alberto (che, non a caso, ha come slogan nel sito "un posto sublime".

Mi chiedevo se c'era un modo per salire da una parte e scendere dall'altra, la risposta era sì, e che per farlo si doveva percorrere una ferratina senza pretese, la Santner, alla portata anche di gente di mezza età che da qualche anno ha un po' di paura dell'altezza.

E allora, dato che devo fare un lungo lungo in preparazione dell'Ultra Tour del Monte Rosa, sabato 12 agosto di buon mattino piglio il treno per Bolzano, da lì il bus per il Passo Costalunga, e alle ore 8.08 sono pronto per andare in Paradiso.

L'inizio è più che confortante, il tempo è bello, le tabelle orarie dei sentieri sudtirolesi sono al solito spropositatamente generose, e in un'ora trascorsa beato sul traverso sotto il Gruppo del Catinaccio, sono al Rifugio Coronelle. Qui, da aspirante uomo saggio quale sono, mi metto caschetto e imbrago, e mi avvio baldanzoso sul sentiero di avvicinamento alla ferrata, che presenta qualche tratto leggermente esposto non assicurato, che supero in scioltezza. Così come supero in scioltezza tutte le persone che incontro sul mio cammino, con un ritmo leggermente ansimante, che è un ottimo allenamento cardio.

Quando la ferrata finalmente inizia sul serio, si conferma abbordabile e non particolarmente vertiginosa, con giusto un paio di tratti dove uso l'imbrago, ma più per non essermelo portato dietro per niente, che per effettiva necessità. Dopo un'oretta dal Coronelle sono in cima, e il catino del Catinaccio si apre finalmente sotto di me, con le Torri del Vajolet sullo sfondo, e una cosa molto blu sopra.

Sono talmente contento che invece di limitarmi ai miei classici autoscatti (non credo ci siano lettori nati dopo il 2000, ma nel caso, si tratta dei nonni dei selfie, che si facevano con una apposita funzione della macchina fotografica (sì, ok, quell'apparecchio che una volta si usava al posto del cellulare per fare le fotografie), appoggiandola da qualche parte.

Poi scendo verso il Rifugio Re Alberto, e, dove il sentiero spiana, per un-secondo-uno mi metto a pensare a cosa mangerò sul sasso un po' più avanti. In quel un-secondo-uno non penso a cosa sto facendo, mi inciampo come un bambino di 2 anni che impara a camminare, ma al contrario di lui non finisco per terra a pelle di leone, ma mi incapretto con la gamba sinistra malamente storta sotto.

Il dolore non è lancinante, ma mi pare evidente che c'è qualcosa che non va. Mi auto-diagnostico uno stiramento del muscolo posteriore della coscia sinistra, mi do del pirla esponenziale, mi siedo sul sasso di cui sopra a mangiare qualcosa, e poi riparto, che l'elicottero mi pare un po' eccessivo.

Scendo al rifugio Vajolet, risalgo al rifugio Passo Principe, salgo ancora e poi scendo al rifugio Antermoia, salgo un po' e poi scendo lungo la Val de Dona, arrivo a Mazzin in Val di Fassa, dove piglio una corriera che mi riporta a casa. Il tutto corricchiando, pensando in continuazione alla mia coscetta, che non sta benissimo, pensando varie volte che sono un pirla, ma molte di più che poteva andare molto peggio.

In conclusione, poco più di 20 km e 1600 metri di dislivello, che dimostrano che il Grande Meraviglioso Giro che avevo in mente, e di cui i Catinacci erano solo le prime (fantastiche) portate, è davvero fattibile in giornata ed è davvero Meravigliosamente Meraviglioso.

Magari la prossima volta evito il fine settimana prima di ferragosto, mi trovo da dormire al passo Costalunga, ed evito di distrarmi quando il sentiero diventa facile.