25 dicembre 2019

Intervall-o

Piccolo intervallo fra le avventure TOR-iane, per raccontare le prime due tappe dell'Ori-cup Inverno, che mi hanno riportato a giocare con le lanterne. Risultati tecnicamente rivedibili (o meglio, tristemente già visti un sacco di volte...) ma atleticamente non malissimo, considerando che correvo anche contro gente che non era ancora nata quando io iniziavo l'università).

Oricup - Samone
Gli dei dell'orienteering fanno terminare la pioggia 5 minuti prima dell'inizio della gara, dopo che pioveva da giorni. Noi ne approfittiamo correndo su e giù per le stradine di Samone, provincia di Strigno, Valsugana. La formula è divertente, gara sprint un pelo allungata + finale fra i primi 8.


Partenza in salita che esalta le mie doti di salitista, e alla 2 prima scelta che esalta le mie doti di pirla. Mi lancio su per la salita invece di andare largo risparmiando fiato, gambe e tempo. Poi sono un po' impreciso sulla 3, sbaglio scelta per la 5 (il muretto attraversabile da sotto in realtà era un po' inattraversabile) per la 11 (la palta mangia scarpe rallentava parecchio la corsa giù per il giallino, meglio dalla strada) e per la 14 ho perso un po' di tempo tentando di andare in curva su prato pendente e paltoso invece di passare da sopra. Morale della favola, chiudo terzo, 4'' dietro a Cipriani (ah, dolore...) e 29'' dietro a Pietro Palumbo (ok, ci sta).


A forza di non uscire troppo presto dalla stanza calda, finisce che inizio la finale senza riscaldamento e più ancora che le gambe è la testa a non essere in temperatura. Per tutta la prima carta praticamente corro dietro alla cartina, tipo quelli che in sella ad un cavallo non riescono a far altro che tentare di non cadere mentre lui corre e va dove vuole. Mi faccio anche "convincere" da Boneccher ad attraversare due volte un recinto non attraversabile per entrare e uscire alla 4: in carta vedo che non si può, ma il cancello è aperto, lui ci va e io non resisto alla tentazione di seguirlo.
Comunque, in uscita dalla 9 sono alle calcagna di Cipriani, spingo più che posso per la 10 e lo passo,  ho Rossetto poco davanti e c'è davanti una rampa assassina per la 11 dove penso che lui cederà e io no. Io effettivamente non cedo, ma non cede neanche lui, anzi allunga. Chiudo quasi 50'' dietro a Palumo, mezzo minuti dietro a Luca Libardoni, 10'' dietro a Riccardo Rossetto, e 14'' davanti a Cipriani :-)

Il giorno dopo il Trent-o organizza il tradizionale Ori-bells, quello che si correrebbe con il cappello da Babbo Natale, che però a me mi fa sudare troppo e non lo metto.
Quindi non posso neanche dare la colpa al berretto se butto nel cesso la gara già 50 metri dopo il via, preoccupato di scattare in testa (mass start) appena partiti, invece che di leggere la cartina quel minimo sindacale necessario a capire che la 2 non è la 1 e che in ogni caso c'erano tre recinti non attraversabili che rendevano idiota la scelta di sinistra anche se avessi dovuto andare alla due.
Da lì in poi spingo quanto posso, che basta solo per arrivare primo dei non più giovani, ma non a non farmele suonare in ogni singola lanterna della gara dai giovincelli che chiudono ai primi tre posti. Beata gioventù.


19 dicembre 2019

Il mio TOR(mentato) X – seconda puntata

Che al TOR ci avevo fatto solo un pensierino era vero. Mi era venuta voglia di provare a vedere se mi prendevano, ma non mi ero chiesto seriamente se io tutto il giro delle alte vie numero 2 e numero 1 della Val d’Aosta pensavo di essere in grado di correrlo. Non mi ero neanche chiesto seriamente se io lo volevo, correre. 

Ero davvero preoccupato che fosse Troppo, e il dubbio si era rinforzato quando non ero neanche riuscito ad arrivare in fondo ad un filmato che raccontava la gara. La concomitanza della partenza del TOR con i campionati italiani sprint e long di orienteering poi, mi pesava un sacco, e per parecchi giorni mi ero chiesto seriamente se non fosse meglio provare farsi spostare sul Tot Dret, la gara da 130 km che percorre il tratto finale del TOR: sarei arrivato a correre gli italiani sprint e long, e avrei assaggiato la Val d’Aosta, con la certezza di godermi la gara dall’inizio alla fine.

Però, ca**o, e se poi l’occasione di correre il Tor des Geants non mi capita più?

No, non potevo correre il rischio di passare il resto dei miei giorni a mangiarmi le mani (e a sentirmi dare del co***one da quelli a cui lo avessi raccontato). Quindi nuovo mood: non so se sono in grado di arrivare in fondo, ma provarci ci provo eccome. 

Così ho continuato ad allenarmi, evitando solo che il TOR diventasse il chiodo fisso che si mangiava tutto il resto, godendomi le uscite in solitaria, le gare di orienteering e, all’inizio dell’estate, due gare splendide (la Ultradolomites e il Trail del Grossglockner), ottime “lunghissimi” di avvicinamento. 

Arriva agosto, non ho ancora fatto uscite di più di 24 ore, ed è troppo tardi per farle. Così cerco almeno di stancarmi per un po’ di giorni di seguito, e approfitto della nostra vacanza cicloturistica familiare: per 5 giorni aggiungo ai 50-60 km quotidiani di bici, un’uscita di corsa di un’ora o due, rigorosamente su percorso montano. Al quinto giorno, al rientro da 2h20’ per un totale di 16 km e 700 metri di dislivello per lo più su sentiero, mentre orgogliosissimo della mia tenacia mi godo un bagno gelato nell’Isonzo, mi metto a fare due conti, scoprendo che:
  1. sommando tutti i chilometri che ho fatto in bici e di corsa in 5 giorni, non arrivo alla distanza complessiva del Tor  
  2. il tempo trascorso da quando siamo partiti per il giro in bici a quando ho messo il sedere nell’Isonzo, che mi sembra lunghissimo, è meno di quello che ragionevolmente mi servirà per arrivare in fondo al Tor 
  3. in questi cinque giorni ho dormito 8 ore per notte in un vero letto con un vero materasso, mentre al Tor un vero letto e un vero materasso non li avrò mai, e comunque per arrivare a 8 ore di sonno le notti dovrò probabilmente sommarle tutte 
Oltre a ridimensionare parecchio la grandiosità del mio allenamento, mi chiedo per l’ennesima volta se io sia in grado di arrivare vivo in fondo a Quella Cosa e non so rispondermi.

E purtroppo il peggio deve ancora arrivare.

A pagina 138 di quel capolavoro assoluto della letteratura sportiva che è “Confessioni di un Runner d’alta quota”, l’Autore scrive:  

Sono completamente immerso in un qualcosa che si potrebbe chiamare “depressione”, o “esaurimento” o qualcosa di simile, e non riesco a trovare il bandolo della matassa per uscirne. L’unica cosa chiara è che il me stesso di prima non va più bene, ma non ne ho ancora uno nuovo e non so come costruirlo. 

Sono passati tre anni da quanto ho scritto quelle righe, e mi ci ritrovo dentro di nuovo, questa volta con la spiacevole ulteriore compagnia di una insonnia feroce, che quindici giorni prima della partenza del Tor mi sveglia tutte le notti alle 3.30 o anche prima, e mi tormenta con pensieri cupissimi da lì al momento di alzarmi (che mi accompagnano poi anche per il resto della giornata).

Sono giorni bruttissimi, mi sento uno straccio, mi dico che già è una gara folle di suo, e arrivarci avendo dormito una media di 4 ore per notte per le due settimane precedenti, e con le energie mentali azzerate, sarebbe quasi un suicidio. Allo stesso tempo però penso che peggio di così non può andare e che se c’è una cosa al mondo che potrebbe darmi un po’ di pace sono quei sentieri fra quelle montagne.

Alla fine, anche grazie all’aiuto di una amica che mi costringe ad ammettere che il Tor lo desidero da morire, decido di provarci. Ci metto due giorni per preparare la borsa, facendo più fatica di quella che ho fatto a correre gli 87 km della Ultradolomites, ma sabato 7 settembre parto per Courmayeur.

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13 dicembre 2019

Il mio TOR(mentato) X – prima puntata

Non avevo mai pensato di correre il TOR.

Già è un po’ da folli correre in montagna, magari per un giorno intero; ancora di più farlo anche di notte, magari per più di 150 km. Ma farlo per vari giorni e varie notti, mi sembrava proprio Troppo. Non avevo paura di non farcela, quello che mi spaventava era l’idea di arrivare ad essere stufo molto prima della fine. Di sbucare da una curva di sentiero sassoso, trovarmi davanti un ghiacciaio o un 4.000 e non ritrovarmi con la mascella a penzoloni. Di correre su un crinale all’alba o al tramonto, con l’erba gialla piegata dal vento al bordo del sentiero, e non sentire quello sfrigolio lungo la spina dorsale. Non avevo mai pensato di correrlo, ma quando mai le cose più belle che ci capitano sono entrate nella nostra vita passando dalla testa. 

Il TOR è una malattia dell’anima, che può manifestarsi in forma fulminante, o avere una incubazione lunghissima. Sì, proprio come l’Amore. Io, dal TOR, pensavo di essere immune, anche se la Borsa Gialla mi piaceva da matti, anche se pensavo che la Valle d’Aosta fosse un posto in cui prima o poi avrei dovuto andarci a correre, anche se avevo letto tutti i libri che ne parlavano, anche se ogni volta che ho giurato di non fare una cosa, ho finito per farla. Solo che nel novembre 2018 la rivista Spirito Trail ha pubblicato uno speciale sul TOR, e quelle foto a due pagine con quei panorami incredibili si sono infilate dove i miei anticorpi nulla potevano fare e mi sono ammalato anch’io. Ma non volevo ancora ammetterlo. 

Così invece di precipitarmi ad iscrivermi alla lotteria per tentare di iscrivermi, l’ho messa sul professionale velleitario. Io scrivo di trail e ogni tanto riesco a fare il giornalista in gara. Ho pensato che potevo provarci col TOR, che tanto mi avrebbero detto di no, e io mi sarei messo il cuore in pace. 

Al mio goffo scritto di perlustrazione, la insperatamente pronta risposta era stata: “ciao Dario, grazie della tua proposta. Dovremo riparlarne, più che volentieri, alla fine dell’inverno. È infatti a fine marzo che decidiamo l’assegnazione delle wild card per i giornalisti che vogliono prendere parte al Tor. Io comunque ho preso nota, ma tu riscrivimi a fine marzo e vediamo come organizzarci”. 

A “fine marzo” mancavano più di cinque mesi: sarebbero stati più o meno una eternità, per uno che aspettasse una risposta dal suo amore, fortuna che io ero solo uno che ci aveva fatto un pensierino. In ogni caso avrei dovuto comunque allenarmi come se nel 2019 avessi corso il TOR, perché una gara di 330 km e 30.000 metri di dislivello mica la prepari da marzo a settembre, consapevole però che poteva tranquillamente finire come tutte quelle altre volte, negli ambiti più disparati, in cui un “ti faremo sapere”, apparentemente molto ben augurante, era finito in lacrime.

Dopo una garetta da 165 km sul Carso a gennaio, tanto per non impigrirsi durante l’inverno, e un altro po’ di chilometri e dislivelli qua e là, arriva il 25 marzo, che a me pare abbastanza “fine marzo” da farmi risentire. Dopo nove giorni senza una risposta, benché io sia solo uno che ci ha fatto un pensierino, trasgredendo la più elementare regola del corteggiamento, mi faccio sentire io, con quella ironia finto distaccata, che, se si fosse trattato davvero di conquistare una donna, sarebbe stata la mia pietra tombale: “Ciao, temo che il vostro silenzio voglia dire qualcosa come "La ringraziamo per la sua proposta di collaborazione ma abbiamo valutato che bla bla bla bla niet!". Però avrei bisogno di vederlo scritto, così mi metto il cuore in pace :-)”. 

Ma per fortuna non si tratta di una spasimata a cui scaldare il cuore e prima mi dicono di avere ancora un po’ di pazienza e poi il 14 aprile arriva La Notizia. 

“Ciao Dario, 
ti è stata assegnata ufficialmente la wild card press per partecipare al Tor 2019.
Nei prossimi giorni ti arriverà una e-mail con i dettagli. 
Intanto buon lunedì e buoni allenamenti”

Al che io, che ero davvero ancora convinto di averci solo fatto un pensierino, mi rendo conto di essere ufficialmente iscritto alla decima edizione del Tor de Geants, il TOR X per gli amici, e vado un po’ in ansia.

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8 dicembre 2019

Il mio Cinghiale

Ormai più di un anno fa mi ero divertito un sacco a correre nella palta e sotto la pioggia laggiù in mezzo agli Appennini, tanto che ho pensato bene di tornarci anche quest'anno, al Cinghiale, che non è un animale, come canta non ho proprio capito perché Max Pezzali in una delle sue ultime canzoni,  ma il nome dell'ultimo vero ultra trail dell'anno, quello per gente a caccia di punti ITRA o preoccupata di cadere in crisi di astinenza. Io ero fra i secondi.

Così anche quest'anno a fine novembre scendo a Palazzuolo sul Senio per prendere il via nella gara da 93 km, che quest'anno è composta da 3 giri, rispettivamente da 42, 21 e 30 km, o giù di lì. Annunciano molta meno palta e molta meno acqua dell'anno scorso e, dato che nel 2018 sono inaspettatamente arrivato nei primi 10, al fuocherello che mi scalda prima di partire (ma è molto meno freddo di quello che avevo temuto la sera prima) coltivo propositi agonisticamente bellicosi.

Che durano pochissimo. Dopo il primo chilometro dove i primi partono come le schioppettate, e senza avere per niente l'aria di quelli che esploderanno poco dopo, mentre il mio non-amico buio mi accompagna su per la prima salita, mi rendo conto che è meglio pensare di arrivare in fondo, che 90 km sono pur sempre 90 km, e io ultimamente non mi sono neanche allenato un granché. Mi superano a frotte e per come mi sento non mi pare proprio il caso di corrergli dietro. Vedremo se qualcuno riuscirò a pigliarlo più tardi.

Il primo giro è proprio lungo: forse il fatto che abbia gli stessi km di una maratona, con l'aggiunta di qualche migliaio di metri di dislivello poteva farmelo sospettare. Ci regala una bella aurora (ma già l'alba è coperta, non esageriamo con il sole) e innumerevoli su e giù fra gli Appennini, con un notevole "su" condito di sassoni, un guado carino di un torrente, e pochi altri scorci davvero memorabili.

Quando si torna a Palazzuolo per la prima volta, il tracciato passa vicinissimo a dove ho materassino e sacco a pelo, e confesso che un briciolo di tentazione mi assale. Però al ristoro ho appena mangiato come un bue (raramente in una gara di trail si è vista una tale varietà e ricchezza ai ristori!) e se mi fermassi rischierei di rovinare la linea. Riparto così per il secondo giro, che è il più corto, ma anche, a mio modesto parere, il più noioso, con una successione di salite su colline che sembrano sempre la stessa.  Ad interrompere un po' la routine ci pensa Lisa Borzani, che incontro più o meno a metà giro. 

Per chi non la conoscesse, Lisa Borzani è una che fra le altre cose ha vinto un paio di TOR de Geants. Nel 2016 ci ha messo 91 ore: tanto per avere un'idea, io, se fosse andato tutto benissimissimo, potevo mettercene forse 110. Purtroppo per lei, quest'anno si è infortunata e sta ancora riprendendosi, così non fa ancora gare "serie". Doveva partecipare alla 30 km, ma poi ha deciso di fare un pezzo col suo compagno, che corre la 90, e per caso ci ho fatto un pezzo insieme anch'io. Il fatto che lei avesse dei polmoni da TOR, ma corresse a ritmo da me, le permetteva di avere una riserva di fiato praticamente inesauribile, quindi ha parlato ininterrottamente per 10 chilometri. Così stando dietro ai suoi aneddoti me la sono passata abbastanza, e a quel punto, una volta tornato a Palazzolo, mancava solo un giro.

Chepperò era da 30 km e duemila e rotti metri di dislivello, quindi non proprio una gitarella. Oltretutto questo giro pensavo di ricordarmelo dall'anno scorso, ma come al solito me ne ricordavo solo alcuni pezzi, così sembrava allungarsi mano a mano che andavo avanti. Attorno al 90esimo mi è anche morto il gps, così non potevo più affidarmi neanche a lui per capire quanto mancasse alla fine, e Palazzuolo, visto dal lato da cui si arrivava nell'ultimo giro, faceva un inquietante effetto "aeroporto in città".  

Avete presente quando si atterra in un aeroporto di quelli in mezzo alle città, in cui guardando fuori dal finestrino fino all'ultimo si vedono tetti di case, e, anche se sai che è impossibile che il pilota faccia una cosa così stupida, fino all'ultimo hai il dubbio che l'aereo sia sceso troppo presto e finirai sul tetto di una casa, ma poi all'ultimissimo compare la pista e tiri un respiro di sollievo? Ecco, Palazzuolo vista da quella parte è una roba simile, perché fino a pochissimo dall'arrivo non vedi una luce che sia una, e anche se continui a seguire le balise, che ti assicurano che sei sulla strada giusta, dentro di te (dentro il tuo cervellino e le tue gambine che si sono già sciroppati 90 km) rimane fino all'ultimo il dubbio di essere scesi nella valle sbagliata e di dover quindi risalire e riscendere un'altra volta.

Poi le luci compaiono, e subito dopo anche il paese, e a quel punto l'arrivo è talmente vicino che non arriveresti neanche a farti bello, se ce ne fosse il bisogno. Nel mio caso non ce n'è, perché è buio, perché i primi sono arrivati da mo' (da più di 4 ore...), e anche il decimo è arrivato da un po' (da quasi 50 minuti). Io, che pensavo di aver corso proprio bene nell'ultimo giro, scopro solo un po' di tempo dopo l'arrivo che mi sono piazzato al 14esimo posto, e scopro solo qualche giorno dopo, che al 63esimo km ero a una mezzora dal mio "riferimento cronometrico" (Giorgio, un triestino che da un anno a questa parte si allena come un forsennato, tanto che ho smesso di seguirlo su FB perché mi deprimeva troppo vedere quanto più di me si allena), mentre alla fine mi ha dato un'ora e venti. Che vuol dire che nell'ultimo giro non sono andato bene per niente. Pazienza.

Me ne torno a casa con la conferma che gli Appennini non sono proprio il mio posto, ma che piuttosto che stare a casa a pensare all'anno prossimo, anche il Cinghiale va benissimo. Anno prossimo che, come il 2018, inizierà prestissimo, dato che il 5 di gennaio sarò già sul Carso a tentare di ibernarmi al Trail della Bora, quest'anno in versione "iper", non balisato, con partenza da Gorizia e con 10 km e 4000 metri di dislivello in più del banale "ultra" dell'anno scorso. 

Potrei anche riuscirci.


12 novembre 2019

Esami di riparazione

Non essendo quest'anno riuscito a vincere proprio una cippa (ma cippa cippa, neanche una garetta oratoriale, niente di niente) mi sono concesso, o meglio mia moglie (che a volte mi vuole troppo bene) mi ha concesso, un esame di riparazione in quel di Bassano. Qualche anno fa laggiù ero arrivato secondo alle spalle di un certo Stefano Maddalena, che non sapevo ancora bene chi fosse. 

Viaggio di andata sotto il diluvio universale, previsioni meteo orende, probabilità di vittoria vicine allo zero (l'M35 è troppo sguarnita per darmi un minimo di soddisfazione, così "ripiego" sull'elite, dove c'è un certo Davide Martignago che quest'anno in città me le ha suonate SEMPRE, e qualche giovincello un pelo più fresco di me.

Andando subito al sodo, il risultato più positivo della giornata è stato arrivare vivi a Bassano. La quantità d'acqua che veniva giù, la quantità di buche sulla statale della Valsugana, e la totale inadeguatezza del nostro mezzo di trasporto (nel quale, fra le altre cose, funzionava solo il tergicristallo del guidatore, e io, da passeggero, ho vissuto nel terrore per tutto il viaggio) mi hanno fatto più volte temere che quella di scendere in Veneto fosse stata un'idea proprio del cavolo.
 
In gara, le cose sono andate meteorologicamente meglio (quando sono partito addirittura non pioveva, e il diluvio è ricominciato solo verso la fine) ma sportivamente non molto. Io di mio ci ho messo "solo" una probabile scelta sbagliata per la 1 (conveniva stare bassi sul lungo fiume), una scelta sbagliata alla 5 (col senno di poi, meglio da sud), una patetica esitazione davanti al portico sbagliato andando alla 8, e un clamoroso incartamento nel giretto 15-18, dove prima non trovavo la 16, poi mi sono reso conto che in realtà non trovavo la 18, e poi ci ho messo ancora un po' a trovare la 18 quando dovevo andare davvero lì).

I miei avversari Martignago Dav e Bazzan Alb in compenso hanno infierito per tutta la gara, concedendomi uno split migliore del 3° solo alla 4 (1'' meglio di Dav), alla 13 (1'' meglio di Dav), alla 15 (7'' meglio di Alb), alla 20 (2'' meglio di Alb), e addirittura il miglior tempo alla 24, dove provabilmente la mia scelta filante da nord era più efficace e mi ha regalato 3'' meno di Dav e 4'' meno di Alb.

Per scongiurare una stagione completamente da "zero tituli", posso a questo punto contare solo su qualche garetta di fine corso, organizzata da mio suocero per i suoi studenti delle superiori. Oppure vincere il Trail del Cinghiale, ma la vedo duretta.


31 ottobre 2019

The Coppa Italia Final

Arrivo a Peschiera con un morale parecchio migliore di quello delle ultime gare e con grandi aspettative: l'ultima gara nazionale dell'anno in città, da qualche anno mi sorride molto: 2018 primo degli italiani a Montalcino davanti al Perfido Ruggiero, 2017 secondo a Bologna, 2016 primissimo a Siena (davanti a Ola Skepp, Ilya Gusev, STEFANO MADDALENA, Marietto Ruggiero: la gara della vita), 2015 primo a Schio, 2014 niente gare autunnali in città, 2013 primo a Roma. Sarà il clima di inizio autunno che mi fa bene, per qualche misterioso motivo.

A Peschiera il clima è più da fine estate che da inizio autunno, ma speriamo bene. Anche perché il parterre è piuttosto folto di signori atleti, nonostante i soliti finti vecchietti paraculi rifugiati in M40 e in M45, e la perdurante assenza del Perfido (e di Auser). Sono infatti schierati al via Davide Martignago, Emiliano, Ingemar, Francesco Raimondo (outsider vincitore a Mantova), e, per la prima volta fra noi di mezza età, il giovincello Davide Miori, che me le ha date da che mondo è mondo (cioè da quando correvamo insieme in MA). Insomma, correre una buona gara potrebbe anche non bastare neanche per il podio.

La gara è molto carina, perché è fatta di tre parti molto diverse fra loro (almeno per noi giovincelli che partiamo dalla partenza verde): caos fra le casette del camping dalla 1 alla 5, trasferimento di corsa dalla 6 alla 10, centro storico alla Venezia dalla 11 alla 19.

Siccome le casette mi spaventano, penso bene di partire senza nessuna strategia per affrontarle. Conto le stradine e poi vado un po' a caso. La strategia giusta, udite udite, era quella di contare anche le casette. Io lo capisco solo alla 2, così alla prima ci perdo 20'' (ma ce li perde anche Emiliano) piazzandomi ad un terrificante 12esimo posto su 16, e poi mi metto un po' in riga, finendo per uscire dal campeggio in onorevolissima seconda posizione a 26'' da Davide Martignago.

La parte corri-mona naturalmente mi viene benissimo, soprattutto nella tratta 7-8, dove ho davanti Massimo Bianchi (che vincerà la M40) e raddoppio la mia velocità di corsa per superarlo (dando 5'' a DavMart, che non va proprio pianissimo).

Poi una volta arrivato nella parte più bella, incappo una in un momentus horribilis rimediando dalla 9 alla 12 un totale di 53'' di distacco, correggendo in corsa la scelta per la 10, non correggendo affatto la stupida scelta per la 11 (non avevo assolutamente visto la stradina curva), e andando scioccamente fino al fiume invece di tagliare subito dentro per la 12.

Da lì in poi corro (virtualmente) pochi passi dietro a Dav Mart e praticamente incollato a Emiliano (sempre virtualmente), chiudendo terzo, a 1'36'' dal primo, ma soli 9 dolorosi secondi dal secondo.

Non correndo né a Roma né a Venezia, ed essendo impegnato altrove quando si correrà non si sa bene dove la festa di fine anno del Comitato Trentino, mi sa proprio che la mia stagione orientistica finisce qui. Sigh.







21 ottobre 2019

Long in Viote

Dopo la desolante prestazione del sabato nella sprint, la domenica (quasi un mese fa...) è turno di long in bosco: per me, tolta la o-marathon, la seconda long dell'anno, ma la prima era una cosa ridicola da 55 minuti.

Si vocifera che sarà davvero long, ma come si sa la long-hezza non è un mio problema. Lo è parecchio di più la fiducia nei propri mezzi, tanto più visto il risultato del giorno prima. Tanto più visto il risultato della prima (lanterna) dove solo Daniele Martignago mi salva dal peggior tempo. Vero che in queste zone da piccolo ci venivo con mio papà a funghi, ma era evidente che quel giorno funghi non ce n'erano, quindi potevo evitare di perderci 2 minuti.

Col passare delle lanterne comincio a riprendere un minimo di confidenza con la carta, ma senza risultati apprezzabili, anzi, alla 8 faccio la Madre di Tutte le Scelte Idiote, allungandola e andando anche a complicarmi la vita sotto un roccione su cui alla fine non ho il coraggio di salire. E quando arrivo in zona punto non mi torna nulla, e la scarsa autostima di cui sopra mi impedisce persino di pensare che i cartografi abbiano semplificato un pelo troppo, l'unica volta che è davvero così. Quando vado a guardare il codice di una lanterna che sono certo che no sia la mia, invece lo è, e piango. 7 minuti peggio dei migliori.

Le mie doti di trail runner dovrebbero rifulgere per la 10, dove però probabilmente sbaglio scelta: sarebbe stato meglio andare subito a est in curva di livello, e buttarsi al volo al sentiero che portava nell'angolo nord del pratone, risparmiando un bel po' di dislivello.

Alla 11 avvisto Simone Rocca, il che vuol dire che almeno non sono di nuovo ultimo, e ho un sussulto di orgoglio che mi spinge ad infilare una serie di buoni tempi fino alla 17 (ok, metà erano più una campestre che una gara di orienteering, però Emiliano alla 15 ci ha perso un minuto). Alla 17 purtroppo raggiungo Daniele Martignago, e nonostante ci sia un sentiero che porta ad un altro sentiero che port praticamente alla 18, tutto sotto la linea rossa, non riesco di fare a meno di guardare più lui che la carta, e ad andarmene (con lui) in tanta m. con un angolo di almeno 40° dalla direzione giusta, perdendo 2' e lasciando il quarto posto a suo fratello.

Peccato, era una bella gara, anche se non si vedeva una cippa né del panorama sul Brenta di cui si gode di solido da lì, né delle Tre Cime, che non saranno quelle di Lavaredo, ma sono le montagne della mia infanzia.



14 ottobre 2019

Tutto da capo.

Avendo lasciato passare troppi mesi dal mio ultimo post, sono stato giustamente punito dai Grandi Dei dell'Orienteering, che mi hanno fatto ritornare al via.

Correva l'anno 2002 e io ero un non tanto giovane di nessuna speranza, alle prese con le mie prime gare di orienteering. Correvo in categoria MC, anzi, HC come si chiamava allora, quella di quelli che non hanno ancora chiarissimo che una cartina non serve solo ad arrotolarsi le canne e una bussola non è solo quella dove si mette la posta.

Di orientamento capivo poco o niente (e infatti correvo su tracciati quasi imbarazzanti anche per un tredicenne), ma avevo già un rivale: si chiamava Daniele Martignago. A volte mi batteva lui, a volte lo battevo io (certamente Stegal si ricorderà la gara di Passo Coe del 2003, a cui potrebbe anche riferirsi la foto a fianco, in cui mentre in MA Emiliano Corona dava 4' a Stefano Cristellon, in MC io davo 2'' a D.M., ma solo per il secondo posto) ed era a Daniele Martignago che pensavo quando dovevo fare le ultime ripetute gli ultimi 10' dei 30' del mio secondo e ultimo allenamento settimanale. Lui era un atleta cicciottello con l'aria sempre un po' incazzata, io uno spilungone per lo più sorridente, e negli anni a seguire il mio tarlo agonistico aveva spinto me ad allenarmi sempre di più spiccando il volo (?) per le categorie superiori, mentre lui se ne era rimasto tranquillo nelle retrovie.

Poi siamo invecchiati tutti e due, e ci siamo ritrovati in M35 (più che altro perché io non mi rassegno all'idea di essere più vecchio ancora). Lui dopo essere dimagrito parecchio e aver iniziato ad allenarsi seriamente, io dopo niente.

Ero sempre riuscito a tenermelo dietro. Ero.

Sabato 29 settembre 2019 si corre una gara di Sprint Race Tour a Candriai, sette case in croce sul Monte Bondone, la montagna delle mie vacanze estive dagli 0 ai 20 anni di età. In M35 siamo in 3: io, Emiliano Corona e Daniele Martignago. 

Dopo un'estate dedicata soprattutto al trail running, non prendo in mano una carta da mesi, e non mi ricordo neanche l'ultima volta che ho corso a meno di 10'/km. In più è uno di quei periodi di autostima sotto le scarpe, che se non fosse perché ormai ho gli automatismi, non sarei neanche sicuro di essere capace di allacciarmele, le scarpe.

Evidentemente però qualche misterioso ori-neurone è ancora attivo in qualche zona oscura del mio cervello, perché nelle prime 4 lanterne faccio 4 migliori tempi. Immagino che alla mia autostima farebbe molto piacere saperlo, ma ovviamente lo scoprirò solo qualche giorno dopo. Così invece di convincermi che sono un gran ori-figo, continuo ad aggirarmi un po' depresso per i boschetti intorno a Candriai, cedo 1'' alla 5 e poi faccio una scelta del cavolo per la 6, regalando 15'' e il primo posto da lì alla fine, ad Emiliano. Ma c'è ancora un secondo posto da difendere.

Inutile menarla per altre 20 lanterne, la sostanza è che a meno di una leggera debacle alla 8, corro una gara dignitosa con alcuni altri migliori tempi fino alla 18, dove arrivo al secondo posto, 30'' dietro ad Emiliano e quasi 2' davanti a Daniele. La 19 è una lanterna che anche un MC sbaglierebbe difficilmente, probabilmente si trova anche sul tracciato degli M12. Dista in linea d'aria 52 metri dalla 18, bisogna fare un pezzo di prato, poi un pezzo di sentiero, e poi si vede poco più in alto. Emiliano ci mette 23'', Daniele 25'', io dueminutiesettesecondi.Perché nel mio cervello la cartina si è girata come quelle immagini in cui prima una cosa ti sembra in rilievo e poi ti sembra incavata, e io decido che la 19 è in un avallamento, così vado a cercare un avallamento.

Quando capisco cosa ho fatto mi sento un tantino pirla, e questo inficia un pelo il resto della mia gara, tanto che dopo un fuoco di paglia alla 20, faccio il peggior tempo in tutte le lanterne da lì alla fine, con menzione d'onore per la 22, dove perdo quasi 40'' mentre bastava seguire il sentiero, e la 23 dove mi incaponisco lungo il salitone invece di fare il giro.

Morale della favola: Primo Corona, secondo Martignago, terzo Pedrotti. Come nel 2002. :-(


15 luglio 2019

#MyLUT

Ok, a rigore rigore io la LUT (120+5.600 m D+) non l'ho corsa, io ho fatto la Ultradolomites, una delle sue sorelle minori, di soli 87 km e 4.800 metri di dislivello. Però in fondo ho saltato solo quelli che tutti definiscono come "30 km di forestali corribili" (e 800 metri di dislivello in 30 km sono proprio poca cosa), quindi non fate troppo i pignoli.Com'è la LUT? Bellissima. Sì, se la tira anche un bel po', ma se sei Angelina Jolie o Brad Pitt, puoi anche tirartela un po' e nessuno potrà lamentarsi più di tanto. E magari a qualcuno/a di quelli che stanno leggendo, A.J. e B.P. sembrano due rospi, ma il titolo è "MyLUT", quindi pazienza.

In una gara così è normale andare in crisi almeno una volta e dato che io sto diventando (vecchio e) saggio, ho pensato di partire già in crisi, così un lavoro era fatto. Mi sono trascinato per i primi 11 km (a onor del vero gli unici bruttini della gara) con un senso di pesantezza alle gambe e all'anima, che mi hanno spinto addirittura a chiedermi se quelli della LUT e quelli della Gazzetta si sarebbero arrabbiati tanto se invece di finire e scrivere l'articolo promesso, mi ritiravo dopo un'ora di gara. E prima ancora di trascinarmi per i primi 11 km, in partenza, dove tutti sfoderavano i famosi occhi della tigre che già vedevano le Tre Cime e l'arrivo, io ero lì con due occhi da triglia, capace solo di pensare che avevo sonno, freddo, e il tasso di adrenalina che ho di solito in coda al bancone del formaggio del supermercato.

Poi si è accesa la Luce, e non si è più spenta. Ho tirato ogni singolo metro, fino all'arrivo, e magari "tirare" per me è un po' meno che "tirare" per i primi, ma che soddisfazione riuscire a sentirmi sempre in spinta, anche quando qualcosa dentro di me cominciava a pensare che magari se un po' alla volta finiva, non era poi così male, anche nei 15 km di discesa finale (di cui un pezzo con pendenza da accartocciarsi i quadricipiti femorali), che se non ne avevi più ti mettevi a piangere, ma io ne avevo ancora un sacco!

La Luce si è accesa quando è cominciata la salita vera verso le Tre Cime di Lavaredo. Prima ho smesso di farmi superare ogni minuto da qualcuno, poi ho cominciato a vedere se riuscivo ad attaccarmi "a quel trenino lì davanti", poi ho iniziato a prendere e superare tutti i trenini che incontravo, e quando sono scoppiato a piangere (con singhiozzi e tutto, giuro) davanti alla nord delle Tre Cime, non c'erano più trenini da prendere, ma solo vagoncini qui e là, da pigliare e staccare uno per uno: 101° ai laghi di Lavaredo, 81° a Cimabanche, 80° a Malga Ra Stua (ma non vale, perché mi sono fermato a fare il bagno nel torrente prima del rilievo, togliendomi le scarpe prima di entrare e asciugandomi i piedi prima di rimettermele: 6' di sosta certificati dal gps!), 70° a Malga Travenanzes, 65° a Col Gallina, 63° al Rifugio Averau, 58° a Passo Giau, 53° al Rifugio Croda da Lago e all'arrivo (anche se non mi è chiarissimo come sia possibile, dato che fra l'ultimo rifugio e l'arrivo ho superato almeno 3 persone e non mi ha superato nessuno). Insomma, agonisticamente, per me, un successone.

E un successone anche da tutti gli altri punti di vista, perché dopo il 12° km non ho guardato una sola volta l'orologio, e non ho pensato una sola volta che il posto dove ero non fosse stupendo, con varie volte in cui ho invece pensato che era stupendissimo, e ancora di più in cui non ho proprio pensato niente, perché non c'era niente da pensare, ma solo da correre, respirare e guardarsi in giro. O anche da buttarsi in un torrente o in un laghetto, cosa che ho fatto tre volte con grandissima goduria, più una doccia sotto una cascata in val Travenanzes, e innumerevoli soste per bere o pociare nei torrenti.

Poi, se cercate la gara dove correre in solitaria voi e i monti, non è questo il posto. Soprattutto correndo la "media", dal punto dove si congiunge con la lunga, passi tutto il resto della gara a superare quelli più lenti dell'altra gara, quindi sono proprio pochi i momenti in cui te ne stai per conto tuo. E' vero che in media quelli che superi sono talmente cotti che non è che parlino moltissimo, ma è anche vero che il tendone del ristoro di metà gara sembra un piccolo Oktoberfest, dove invece di donnone che imbracciano kriegel, ci sono individui non tanto vestiti che cercano di rianimarsi, e parenti  amici che cercano di aiutarli a farlo, ma c'è comunque un gran casino. Così come c'è agli altri ristori, all'arrivo, in giro per Cortina (al supermercato centrale del paese, sembrava di essere in un nel market interno di un campeggio nudisti: lì tutti nudi, qui tutti (beh, dai, tantissimi) con il braccialettino dei partecipanti alla gara: giallo quello dei super fighi, verde quello dei medi come me, rosso quello dei "principianti" del Cortina Trail, bianco quello dei velocisti della SkyRace)

Insomma, intimo proprio no, ma ciononostante emozionante, stupefacente, ispirante, pacificante, gratificante, e tantissimi altri -ante e -ente che mi fanno dire che è sicuramente una gara da cercare di correre, se vi piacciono quelle robe lì. A me l'unico dubbio che è rimasto, è se arrivare all'alba alle Tre Cime non valesse la pena di corrersi quei famosi 30 km di forestali pallose in mezzo al bosco...

Se le mie parole non vi bastano, guardatevi il video qui sotto, che sembra la solita esagerazione da teaser o da pubblicità, ma invece la LUT è proprio così. Soprattutto se hai il culo di beccarla in una giornata come questa che abbiamo beccato noi quest'anno.

21 giugno 2019

Campionati trentini middle e long

Come si sa, nell'orienteering correre non basta. E io al momento ho neuroni a sufficienza giusto giusto per seguire un percorso fettucciato. Quindi, vado fortissimo fino al via, a volte anche fino alla svedese, poi è notte fonda. Non è né una questione tecnica, né di concentrazione, semplicemente non ci arrivo, sbagliando scelte elementari, e spesso sbagliando anche a condurre la scelta sbagliata.

Ne sono venute fuori due gare con qualche lanterna come dio comanda, e una vagonata di bestialità varie, di cui riporto qui un brevissimo sunto, solo con le perle più perle, a beneficio dei giovani orientisti che (non) leggono le mie pagine e dei vecchi parrucconi che avranno nuovi ed inoppugnabili argomenti per dileggiarmi.

Middle - lanterna 1 - c'è un comodo sentiero che porta praticamente al punto, io vado a complicarmi la vita più o meno in curva di livello, in modo molto meno preciso di come ho segnato con il pennarello

M 12 - è il mio vero capolavoro di logica: terrorizzato dalle righette verdi (perché??) decido che bisognerebbe salire fino alla cima della collinetta e calcolo 8 curve di livello, cioè una maestra + 3, non accorgendomi che la maestra della collinetta di arrivo, è alla stessa altezza di dove sono in quel momento, e in mezzo si scende. Così decido di scendere lungo il sentiero, per poi risalire 7 CURVE DI LIVELLO IN MEZZO ALLE RIGHETTE VERDI. Cioè, bastava andare via in curva e poi seguire il crinale, e io sono sceso di 15 curve e poi ne ho risalite 8. Geniale.

M 17 - mi sono dimenticato di segnare la traccia con il pennarello. Comunque, invece di stare nell'avvallamento, cadere sul sentiero e buttarmi fuori alla curva, saldo lungo il crinale, arrivo al primo sentiero pensando di essere sul secondo, scendo fino all'incrocio a est perché vedo gente, capisco dove sono, e risalgo fino al punto. Un pirla.

L 3 - mi pare di aver riconosciuto dove sono, proseguo, vedo più indietro dei giovani che sembrano in zona punto, torno verso di loro, poi penso che non mi devo lasciare influenzare, e riparto di nuovo verso nord. Poi mi rendo conto che sono proprio troppo a nord, e che loro erano nel posto giusto, e ritorno di nuovo a sud, ma scendendo troppo. Anche qui sbaglio anche la traccia con il pennarello: nella realtà ero quasi 5 curve più in basso del punto

L 4 - alla 3 mi ha preso Eddy Sandri, io mi butto in discesa a corpo morto per ripassarlo, lui rimane troppo a nord, io passo a 2 metri dalla lanterna, ma non la vedo e scendo un altro po' di curve. Lui da più indietro mi vede ed è convinto che io abbia già punzonato e stia facendo una scelta originale per la 5. 

L 6 - arrivato in zona punto mi metto a guardare sulla cima degli alberi, in cerca di una torretta. Solo che il punto era su una mangiatoia, che notoriamente non è in cima agli alberi.

L 10 - non sono ancora riuscito a staccare Eddy perché continuo a sbagliucchiare, ma sono veloce il doppio di lui. Quindi mi lancio sulla forestale come un assatanato, risalgo il bosco, il prato, l'altro bosco, l'altro prato, l'altro bosco, il sentiero e poi giù verso la 10. E lì lo incontro che arriva tranquillo e mi dice, "sì, è lì, un po' più indietro". Mi viene il sospetto che ci fosse una scelta un po' più furba della mia, e mi deprimo definitivamente.

Inutile dire che ho chiuso all'n-esimo posto entrambe le gare, quindi se voglio in salame alla premiazione dei campionati trentini, devo vincere i trentini sprint, che non so neanche quando sono. 

Due righe per commemorare la scomparsa delle long. Non solo se ne corrono ormai pochissime, ma se i campionati trentini sono una gara da 55 minuti, non sono neanche più davvero longo. Sigh. (e non è perché io sono andato troppo veloce, con tutti i miei crimini ci ho messo quasi un'ora e 10, che non è comunque un tempo da long long.

26 maggio 2019

Gare varie, risultati simili

Portato a casa l'argento negli italiani middle, qualcosa nel "perfetto meccanismo" che mi aveva fatto andare a podio in tutte le gare nazionali disputate fino a qui, si è inceppato, e ho infilato un filotto di 4 gare con almeno una Grande Minchiata per gara. Anzi, a ben guardare, almeno due.

Campionato italiano staffetta Non concorro per il titolo, perché come tradizione l'US San Giorgio non riesce a schierare una staffetta M35 o M4, ma con Federico Caldini e Marco Giovannini corriamo per la gloria. Federico è troppo imberbe per permetterci di fare la M45, quindi siamo in M35. Io lancio, e lancio fortissimo, tanto che alla 1 sono già solo solissimo e andando alla 2 il bosco attorno a me è deserto. Ottima occasione per pensare "oggi è una passeggiata", e buttare tutto nel cesso. Vagolante per la 2, casuale alla 3, dilettantesco alla 4, patetico alla 6 (arrivo alla 9 e neanche me ne accorgo). Bene da lì in poi, ma nel frattempo ho preso 8 minuti da Simone Grassi e Massimiliano Cavara. Prima della fine gliene recupero 6, ma invece di lanciare Marco con 9 minuti sul secondo, lo lancio 2 minuti dietro. Ok, poi tanto comunque si scatena il diluvio universale, e la gara passa in secondo piano, però sono stato una vera pippa. Chiudiamo sesti.

Trofeo Carlo e Franco Altra staffetta, questa volta mista, una mixed sprint relay, ma con due soli staffettisti che si alternano: lei - lui - lei - lui. In squadra con Chiara Corridori, che non mi lancia proprio proprio in testa, corro a tutta la mia prima frazione, e decentemente la seconda fino alla 7. Poi uscendo dal punto supero un M18 o forse anche meno, e dall'emozione smetto di leggere la carta, con il risultato di andare a "sbattere" contro la barriera virtuale e di provare poi a infilare tutti i vicoli che incontro, tentando di rimediare. E probabilmente dalla 7 alla 8 conveniva passare da sotto. Peggio di me fa Chiara, che dopo la sua prima frazione fa il clear prima di scaricare i dati, e quindi risulta non aver fatto neanche una lanterna. Ma peggio di lei riesco a fare io, che nel secondo giro sono passato a mezzo metro dalla 2, ma mi sono dimenticato di punzonarla. Quando si dice una coppia affiatata... Comunque, su 40 staffette partecipanti, 19 quelle qualificate. Forse noi orientisti siamo meno intelligenti di quello che pensiamo.

Coppa Italia middle Altipiano della Vigolana - Gara 1 La carta è bella, il terreno anche, il tempo fa un po' schifo, ma ormai chi se ne accorge più. Parto orrendamente male rimediando 3' e mezzo alla banale 1 (quasi a bordo prato, ma bisognava essere sul bordo giusto), 2' alla 2 (vado a caso), 4' alla 4, 3' alla 5. A quel punto, bontà mia, "entro in carta", peccato che sono ormai a 12' dal primo (Emiliano, partito maluccio) e dal secondo (PM Grassi tornato fra noi). Finirò a 15' da Emi e 9' da GPM. Che vuol dire che potevo fare parecchiuccio meglio.

Coppa Italia middle Altipiano della Vigolana - Gara 2 La carta è bella, il terreno anche, del resto sono gli stessi del giorno prima (due gare fotocopia, chissà perché). Il tempo fa molto schifo, ma ormai chi se ne accorge più (anche se stavolta è arduo stare in piedi anche con le scarpe chiodate). Sono già entrato in carta il giorno prima, quindi stavolta andrà tutto per il meglio. O forse no. La 1 è molto vicina ad una mia lanterna del giorno prima, solo che quella che ieri era una ottima scelta, oggi è pessima. La 2 più o meno la faccio giusta, alla 3, banale, riesco a metterci 1' in più di quanto ci mette quello che arriverà ultimo. Così mi prende Simone Rocca, partito 4' dopo di me, e ho un sussulto di orgoglio. Mi arrampico usando anche i denti su per il dirupo che ci separa dalla retta via per la 4, e inizio ad andare come un indemoniato. Ma non come un indemoniato e basta, come un Orientista, Indemoniato. Alla 4 e alla 5 faccio il miglior tempo (sì, migliore anche di quello di Emiliano), e da lì in poi, a parte una 9 e una 10 un po' rivedibili, infilo una serie di ottime lanterne, che mi portano alla 13 a poco più di un minuto dal terzo posto. La 14 è di nuovo vicina al pratone che mi ha detto male il giorno prima, e mi dice male un'altra volta. Non mi degno di guardare in carta quante curve devo scendere (3, scarse), mi abbasso dissennatamente, mi pare di riconoscere forme che non sono loro, capito sulla 15 ma non me ne accorgo, arrivo in vista della 100, mi sento l'orientista più pirla del mondo, e ci lascio 3' abbondanti. 

Riassumendo: storicamente in maggio ho sempre fatto gare terribili. Meno male che la prossima, campionato Trentino - Alto Adige middle, è in giugno.

11 maggio 2019

Campionato italiano middle

Campionati italiani middle in uno di quei posti dove non sarei mai passato se non fosse per l'orienteering, profondi Appennini, dove le Marche stanno per diventare Toscana. In M35 corre Emiliano Corona, che ha le cosce come la somma delle mie + i miei polpacci e ha corso con la nazionale fino a pochi anni fa. E per di più mi parte due minuti dopo (le griglie sono l'unica pecca dell'organizzazione del Picchio Verde, in M35 su quattro favoriti, tre partono uno dietro l'altro). Sarebbe da non partire neanche. Ma nel bosco tutto può succeredere.

Ad esempio succede che alla 1, dove io arrivo a dir poco titubante, incontro Carlo Cristellon che partiva 2 minuti prima di me. Ne sono molto lieto e tento di staccarlo senza deconcentrarmi. Solo che per staccare CCristellon nel bosco ci vorrebbe la moto, anche se si allena poco per un problema al polpaccio.

Così mi accontento di fare bene la 2, dove il miglior tempo lo fa lui solo perché lo tiro, e di lanciarmi più veloce possibile in curva di livello verso la 3. Peccato che io non abbia una idea chiarissima di linea di arresto, e che da quelle parti incontri una cosa che sembra tanto una carbonaia, mentre si rivela essere qualcosa non segnato in nessun modo in carta. CC non fa meglio di me, così, mentre punzoniamo, vedo Emiliano arrivare da dietro, come un treno.

Per la 4 faccio un azimut da applausi, poi, proprio quando CC mi dice "arriva Emi, tiriamo!", mi fermo ad allacciarmi una scarpa: sembra una mossa stronza per farsi superare e seguirlo, invece è solo una mossa da pirla che non si è allacciato abbastanza bene la scarpa, e rischia di perderla nel bosco.

Tutte le energie che avrei potuto spendere per tentare di non farmi raggiungere da Emiliano, mi servono per tentare di raggiungerli. Tentare solo, perché comunque rimangono una manciata di secondi davanti a me, e io più di così non riesco ad andare. E a quella velocità non c'è verso di pensare a strategie alternative, già tanto non farsi seminare.

Per fortuna Emiliano sul dossetto ci della 8 ci stacca abbastanza da impedirmi di vederlo allargare parecchio per la 9, e io scelgo di buttarmi lungo il torrente. Arriveremo alla lanterna 1' prima di lui, perché fa un errore da 3', ma non lo sappiamo, purtroppo. Se no magari evitavamo di sbagliare la 10, causa attacco casual e deliri vari (tipo, troviamo una lanterna, capiamo che non è la nostra, dopo essere andati via mi invento che era la nostra 11 e mi comporto di conseguenza, prima che CC, sempre seguendomi, non mi dica che è una cavolata).

Prende il comando lui per la 11 (Emi nel frattempo è di nuovo in testa, ma non ci ha ancora superati) e poi ci separiamo per la 12, dove arriviamo praticamente insieme, anche ad Emiliano. 

Da lì tutto quello che riesco a fare io (e non è facile per niente!) è di non farmi staccare troppo da Emiliano, e tutto quello che riesce a fare CC è di non farsi staccare da me, e chiudiamo in trenino. Probabilmente, se non avessimo sbagliato la 10, l'ordine di arrivo sarebbe stato lo stesso, perché Emiliano ci avrebbe comunque recuperato un minuto nelle 5 lanterne finali. Se le griglie fossero state diverse, probabilmente no. 


7 maggio 2019

The Abbots Way

Aprile dolce dormire, dice il noto adagio, ma i trail runners sanno che se vogliono trangugiarsi chilometri e metri di dislivello durante l’estate, non possono certo rimanere inattivi fino alla bella stagione. Sulle Alpi è da poco (finalmente) caduta un po’ di neve, così quelli che non possono permettersi le gare esotiche sulle isolette oceaniche, svernano sugli Appennini, e nel sono ultimo fine settimana di aprile sono addirittura tre le gare di trail running che si corrono in Toscana: il Tuscany Crossing (160 km), l’Ultra Trail del Mugello (60 km) e la The Abbots Way (125 km).

Io mi dedico a quella che in italiano suona “La Via degli Abati”, che va da Pontremoli (provincia di Massa Carrara) a Bobbio (provincia di Piacenza), lungo quello che si dice fosse...

Il resto sul sito della sito della Gazza :-)

20 aprile 2019

Valserena: Grazie Auser!

E alla fine venne il giorno del bosco. Come molti sanno, siccome 3-4 atleti devono preparare i mondiali sulle distanze corte, 700-800 orientisti non potranno correre una long di coppa Italia prima del 23 giugno (in Calabria, quindi 400-500 correranno la prima long nazionale ai campionati italiani del 8 settembre...). Però almeno questa volta ci permettono di mettere il naso nel bosco.

Sarebbe anche un gran bel bosco, se non facesse un freddo porco. Meno male che almeno non piove. O non nevica, dato che siamo sui 1000 metri di altitudine, nel cuore degli Appennini.

Sembra una gara adatta alle mie caratteristiche, dato che c'è tanta salita e forme del terreno molto evidenti. Così mi scazza un po' quando alla 3 mi prende Ausermiller, partito 2 minuti dopo di me. Split alla mano, a quel punto ero 9°, posizione frutto di una scelta minchiona alla 1 (subito nel bosco invece che asfalto e poi su dal comodissimo torrentello), di eccesso di timore alla 2 (sapevo quale era la canaletta giusta, ma nel dubbio ho dato un'occhiata anche a quelle prima), e di un attacco a la cazz alla 3 (dove vago 2 minuti a caso prima di trovare la lanterna). A questo punto, con Michele addosso, ho tutte le carte in regola per naufragare definitivamente, chiudendo fuori dai primi dieci e sentendomi l'orientista più scarso del pianeta, buono solo a correre in fretta sull'asfalto (orrore!) fra le case.
Invece si vede che a forza di compiere gli anni, ad un certo punto un briciolo di maturità agonistica finisce per piovere anche sui più zucconi, perché da quel momento, come dice Stegal citando l'Innominabile, "ho visto Michele, ho resettato, e non mi sono più voltato".

Abbiamo fatto un paio di lanterne insieme, 4-5-6-7, dove mi sono reso conto che lui non andava più di me e che la mia testa era disposta (magia della maturità agonistica...) a pensare più alla carta e al bosco che a lui, per la 8 abbiamo fatto scelte diverse (migliore la mia, di 20''), arrancando (io) verso la 9 ho visto con la coda dell'occhio che lui saliva più arzillo, e poi non ne ho più saputo nulla. Io ho continuato a spingere come un forsennato, senza che l'acido lattico, che andava accumulandosi nelle gambe, interferisse con il cervello (magia della maturità agonistica...). Era uno di quei giorni in cui il bosco mi parlava, e io stavo ad ascoltarlo diligentemente.

Dopo la 3, mister "Split Time Errors" mi dà 18'' alla 9 (frutto di momentanee gambe inchiodate) e 14'' alla 19 (probabilmente conveniva buttarsi subito giù al sentiero, invece di scendere in diagonale), per il resto, una delle gare migliori della mia "carriera", chiusa a 3' e mezzo da Emi Corona, che mangia pane e orienteering da quanto aveva 3 anni (e, essendo nato in Primiero, lo respira da prima del concepimento). In più, 2' me li ha dati dalla 1 alla 3, negli altri 33' di gara me ne ha dati solo uno e mezzo (di cui 20'' alla 20, dove io non sentivo più le gambe e loro avevano smesso di stare a sentire me). Sono certo che in M55 gli darò filo da torcere anche in bosco.
Gli altri due competitors di giornata, Auser e Martignago Dav, chiudono insieme sul terzo gradino del podio, facendo lo stesso tempo dalla 100 al finish, ma Davide ci ha messo un secondo in meno dalla penultima alla 100 e quindi è lui ad acciuffare il podio per i capelli. 

Prossimo appuntamento il 4 maggio al campionato italiano Middle, "tra i due sassi", nel parco regionale del Sasso Simone e Simoncello,  nella "più grande lecciaia d'Europa, o qualcosa del genere". Fortunatamente Denny Pagliari traccia, quindi non sarà in M35, ma è prevista una pioggia di Ex-mica-tanto-ex-Elite. Mi spiace per loro, perché io non ci sarò agli italiani long e sprint, quindi dovrò per forza vincere una medaglia ai middle. Ah, no, il Perfido Ruggero non ci sarà neanche questa volta.

Ah, bis, se ci fosse qualche fortissimo M35 in cerca di un compagno si taffetta...



10 aprile 2019

Castiglione dei Pepoli - III Sprint Race Tour

Fa freschetto, gli alberi sono ancora in versione quasi invernale, il cielo è un po' coperto, ma mi danno in mano una cartina e ho una bussola al dito, quindi sono un bambino felice.

La cartina è anche parecchio più bella di quelle di Mantova, c'è un sacco di salita, e questa volta ci sono ben due ex forestali + Ausermiller + MartignagoDav da cercare di battere, quindi sono ancora più contento. Sì, c'è anche Stegal che sbraita in zona ritrovo, quindi la stagione è proprio cominciata.

Comincia anche la gara, e io parto quanto più deciso possibile. Entro subitissimo in carta e alla seconda sono addirittura primo, ma non può durare. Non sarebbe durata in ogni caso, ma ci metto del mio andando lunghissimo sulla 3 e mettendoci un po' a rendermene conto. Ho vari alibi: 1) poco prima di dove dovevo entrare vedo Ausermiller in lontananza e perdo l'attimo fuggente 2) in carta è segnato un muro, ma nella realtà c'è solo un recinto 3) su 12 concorrenti 7 hanno sbagliato alla 3. Se più del 50% hanno sbagliato, qualche problema c'era. Se qualcuno ha fatto giusto comunque, vuol dire che chi ha sbagliato ha torto.

Sia quel che sia, alla 3 ci perdo 36'' e scendo al 4 posto. Da lì in avanti continuo a correre più che posso, mantenendo una certa lucidità mentale. Non sono sicuro che le scelte alla 5 e alla 6 fossero le migliori; sono sicuro che l'ultima parte della scelta della 7 sia stata dovuta soprattutto a scarsità di ossigeno al cervello, e imputo l'avanti e indietro prima di andare deciso alla 10 al fatto che la scala giusta in carta era davvero microscopica, e ci ho messo un po' a trovarla (mentre la stradina che tagliava dopo era microscopica nella realtà e, pur cercandola, non l'ho trovata). Una strana scelta degli organizzatori permette a chi parte più tardi di ammirare in tutta comodità le scelte di chi parte prima, per entrare nel boschetto dove sta la penultima. Io ne guardo vari, decido che la cosa migliore è entrare da dove poi si esce, ma non mi prendo un riferimento valido, e al momento di entrare "lì", faccio un paio di tentativi infruttuosi prima di trovare il "lì" giusto. Pirla.

Ciononostante chiudo dignitosissimamente terzo, davanti ai meno forti dei fortissimi, che fa bene al morale. Denny era completamente fuori dalla mia portata, Emiliano, molto meno. 

Carina la lista della stima degli errori pubblicata da quelli della Pol. Masi insieme agli split, anche se racconta solo gli errori gravi.