22 agosto 2017

Skyrunning sull'Alta Via n°2

Dato che l'anno scorso mi era piaciuto un sacco fare di corsa l'Alta Via n° 1 delle Dolomiti durante la Dolomiti Sky Run, scoperto che c'era pure la 2 (e anche varie altre) e che attraversava dei posti clamorosi, ho pensato che, in mancanza di gare da quelle parti, potevo organizzarmi per andarmi da solo.

La via completa va da Bressanone a Feltre, io inizialmente avevo pensato di prendermi tre giorni e farla tutta, poi ho ripiegato sui 2 per andare da Bressanone al Primiero o giù di lì.

Una delle mie specialità è fare abbastanza per tempo un progetto di massima, e poi non farne mai uno esecutivo, affidandomi all'ultimo momento a quello di massima, che non mi ricordo neanche tanto bene perché è passato un po' di tempo. Dato che ho fatto così anche questa volta, quando sono partito di corsa dalla stazione di Bressanone, non mi ricordavo se le 20 ore a piedi le avevo contate da lì oppure dal Rifugio Plose in cima alla prima montagna. Inoltre pensavo di riuscire a partire molto prima, ma il primo treno utile era quello che arrivava lì alle 7.04. L'idea era di arrivare al Rifugio Piz Boè: dato che in media ci metto la metà del tempo previsto per chi cammina, se il conteggio era dalla stazione ci stavo quasi comodo, in caso contrario era un problema. Cedo quasi alla tentazione di fare un pezzo in autobus, ma quello che mi serve è partito alle 7.02, quindi parto. Tanto per complicarmi ancora un po' a vita, salendo sulla Plose invece di seguire il ripido ma breve sentiero 17, seguo la forestale che fanno quelli della Brixen Marathon, che allunga un sacco inutilmente. E che ad un certo punto mi abbandona in mezzo al bosco. Mi decido a leggere decentemente la cartina, e arrivo alla stazione a monte della funivia in 2h45': i primi 1500 sono andati, adesso c'è un po' di quasi piano fino alla base della Forcella Putia.

Da quelle parti sono stato con l'Anto mesi fa (è sempre colpa sua se poi mi viene voglia di tornarci di corsa...) e le Odle sono un po' coperte, quindi non mi dilungo troppo a guardare i panorami. La salita alla Forcella di Putia è piena di gente che supero agilmente guadagnandomi sguardi ammiratissimi. In cima panino e poi via verso l'ignoto, che da lì in poi non la conosco. 

Il sentiero verso il Rifugio Genova è molto piacevole, il posto è bellissimo, il tempo decente, c'è molta gente in giro, e non ho neanche la macchina fotografica che mi rallenta. Qualche bel traverso, una forcella gentile, un pezzo di cordino non banalissimo, un mare di gente al Rifugio Puez, altri panorami bellissimi (ma questo smetto di dirlo, perché per due giorni sarà ininterrottamente così) e un fantastico bagno nel laghetto di Crespina (quello di questa foto non mia), non molto prima di Passo Gardena. Al passo mi concedo una limonata, dato che sono abbondantemente in tabella e mi manca solo la salita al gruppo del Sella. 

Gli ulteriori cordini prima del Rifugio Pisciadù sono ragionevoli, quelli dopo anche, e allo scoccare delle 11 ore sono al rifugio Boè, ore 18.15, in tempo per la cena servita alle 18.30. Mi faccio immortalare da una gentile rifugista che poi mi manda la foto, e dopo cena salgo sulla cima, che le previsioni per il giorno dopo sono brutte e magari non riesco ad andarci. Non si vede una cippa, ma mi faccio immortalare da un gentile Stoccardese, che mi invita anche nel rifugio della cima a bere una grappa prima di scendere nella semioscurità (ma con il frontalino) al nostro rifugio. Arriviamo sani e salvi e concludo la giornata con 53 km e 4400 metri di dislivello.

Dopo la solita pessima dormita (vi giuro, essere alti NON è una bella cosa) mi sveglio alle 4.50 con l'idea originaria di andare a vedere l'alba, ma il tempo non è decisamente quello adatto. Quando poco dopo le 5 si chiude dietro di me la porta di emergenza da cui sono uscito, consegnandomi a buio, pioggia e un altipiano roccioso di quasi 3000 metri, per un attimo mi viene il sospetto di aver fatto una cazzata. Però ho tutta l'attrezzatura e l'esperienza del caso e, rinunciato alla salita alla cima, il tragitto fino a Passo Pordoi (compresa la discesa da quella Forcella Pordoi che mi aveva fatto innamorare dello Sky Running nel 2009 e mi aveva spinto a correre la Domolomites Sky Race nel 2010) risulta alla fine suggestivo e a suo modo piacevole. Dal Passo Pordoi il programma sarebbe proseguire verso il Passo Fedaia, ma piove a dirotto e la mia Alta Via sembra arrivata al capolinea. Sono le 6.15 e l'unica cosa ragionevole sembra andare a Canazei a prendere una corriera per tornare a casa (dopo una colazione calda).

Invece mentre scendo, dopo avermi bagnato ben bene, smette, e quando arrivo al bar per la colazione, il tempo sembra essersi decisamente sistemato. Così nel bar oltre a fare la colazione calda mi cambio, e poi riparto, destinazione Val Contrin. Alle 10.30 o giù di lì mi concedo una porzione di ricotta fresca con lo zucchero e uno yoghurt (forse i più buoni della mia vita!) a Malga Contrin, e poi proseguo a salire, attraverso un gruppetto di stambecchi (credo) che mi guardano senza spaventarsi un granché, mi entusiasmo per l'ennesimo panorama più bello della mia vita (tutta la zona a sud della Marmolada, con il Sasso Vernale e i suoi amici, è stupenda), e poi raggiungo il passo de le Cirele (da cui qualcuno ha scattato la foto che ho preso in internet), dal quale scendo a Passo San Pellegrino, non resistendo alla tentazione di buttarmi giù per i ghiaioni prima del Rifugio Fuciade. 

Sto ancora splendidamente, il tempo tiene ancora bene, e allora su per la raccapricciante nuova pista di S.Pellegrino (ma chi cavolo gli avrà dato l'autorizzazione per fare uno scempio del genere!?), poi sui sassi sconnessi dalle parti del lago di Cavia, e poi giù al Passo Valles.

La successiva salita al Rifugio Mulaz è molto più lunga e dura di quello che mi ricordavo dalla mia uscita di un anno fa, quando avevo fatto quel pezzo in senso contrario. E in più l'ultimo tratto è pieno di cordini e rocce infide, che non ricordavo minimamente, tanto che mi viene il dubbio di aver sbagliato strada (e mi si stoppa anche il GPS, uffa). Però la mappa e i rari cartelli sembrano dire che non è così, e allora procedo, arrivando finalmente al rifugio e ad una nuova meritata limonata. 

A questo punto in un paio d'ore dovrei riuscire ad arrivare al Rifugio Rosetta e da lì in non moltissimo al Rifugio Pradidali e poi giù a Tonadico, meta di giornata. Solo che quando sto salendo al passo delle Farangole, dalla Val di Fiemme sembrano arrivare nuvoloni nerissimi, e non ho molta voglia di scoprire in mezzo alle Pale di San Martino se arrivano davvero e cosa hanno intenzione di fare. Così scendo in val Venegia, salgo a Passo Rolle, e piglio la corriera da lì. I nuvoloni nel frattempo hanno mollato giusto due gocce e poi sono spariti, ma hai visto mai che sto diventando una persona prudente... In totale, altri 53 km, ma soli 2400 metri di dislivello.

Che dire? Se avete un po' di allenamento (e un minimo di dimestichezza con i cordini), assolutamente da consigliare! Anche spezzato in tre giorni invece che due, che di posti da dormire ce n'è fin che si vuole.

17 agosto 2017

Adamello, nice to meet you!

Dato che a settembre andrò a farmi quel giretto di 180 km che porta il suo nome (Adamello Ultra Trail), ho pensato che era carino andare a farci quattro chiacchiere. Anzi, a dire il vero non è che lo avessi pensato, ma dato che quest'anno mia ci ha fatto fare il nostro tradizionale giretto ciclistico familiare estivo in Trentino, e mi ha portato in Val di Genova (grazie!), a quel punto ho pensato che andare a dare un'occhiata all'Adamello non era una brutta idea.

In effetti a farci due chiacchiere con l'Adamello avrei potuto andarci anche in senso stretto, perché al Rifugio Bedole dove abbiamo dormito, il titolare si chiama proprio Adamello, Adamello Collini per la precisione, come suo nonno. E sua sorella si chiama Presanella. Il che la dice lunga sull'attaccamento di quella famiglia a quel posto dove, dicono, ci sono tracce della loro famiglia fin dal 1500. Molto meno chiaro è come mai abbiano chiamato la loro figlia "Vajolet", che è una montagna in Val di Fassa, cioè tutto da un'altra parte, ma questa è un'altra storia (l'altra figlia, per la cronaca, si chiama "Aglaia"...).

Dicevo, sono andato a conoscere l'Adamello, non la cima, ma il massiccio. Che è stupendo. Dal Bedole sono salito al Rifugio Mandrone, che è un posto che tutti i trentini conoscono, ma io no. Da lì sono poi salito al Passo del Maroccaro, quota 2900 e rotti, altro gran bel posto, da cui fra l'altro si vedeva il Passo del Tonale.

Passo del Tonale dove, per via della presentazione del mio libro proprio lì, è terminato il nostro giro, e dove naturalmente sono andato a farmi un'altra corsetta, arrivando sulla sconosciutissima Cima Casaiole, quota 2783, da dove, tanto per cambiare, ho ammirato uno dei panorami più belli che io abbia mai visto in vita mia. Tutto il gruppo dell'Adamello e della Presanella da una parte, il gruppo del Vioz e dei suoi amici dall'altra, qualche valle incantevole nel mezzo, il tutto non molto prima del tramonto, con una luce da commuovere un paracarro. Ho fatto vari giri su me stesso a bocca letteralmente spalancata, emettendo suoni disarticolati, incantato come poche altre volte.

Se il mio giretto di settembre assomiglierà anche solo vagamente a quello che ho visto in val di Genova e sulla cima Casaiole, c'è qualche possibilità che io arrivi in fondo, magari anche vivo.  

p.s. le foto non sono mie, e una è un pelo troppo invernale, ma rendono un po' l'idea di quanto erano belli quei posti. 

1 agosto 2017

Südtirol Ultra Sky Race


Alle 20 di venerdì 28 luglio sono a Bolzano in piazza Walter, dietro il gonfiabile della Südtirol Ultra Sky Race, in compagnia di altre 200 persone: poco dopo la linea di partenza ci aspetta una schiera di tifosi – amici – parenti armati di centinaia di smartphone, tutti puntati verso di noi. Con la musica di Morricone che riempie la piazza, è uno di quei momenti in cui ti senti un privilegiato solo ad essere lì, dentro le transenne di partenza invece che fuori. Vuol dire che puoi almeno permetterti di sognare di farcela. Non è ancora detto che sia vero, ma è già molto.

Nei primi venti chilometri ci sono 2000 metri di dislivello, di cui i primi da bersi tutto d'un fiato sulla strada ripidissima che sale a Soprabolzano. Ultimo tuffo fra gli applausi e poi con i boschi e i lama al pascolo inizia la notte, che è sempre dura. Io sono finalmente là dove da settimane sognavo di essere, quando guardavo il cielo stellato prima di andare a dormire, ma questa volta vorrei essere lì che sto per andare a letto, invece ho davanti 100 km. È la crisi numero 1. Il passo (troppo) arzillo che mi ha portato fino al 15esimo chilometro si è afflosciato, non c'è nessun panorama a cui aggrapparsi, e comincio a pensare seriamente che potrebbe anche bastare così. Mi hanno raggiunto Luca e Franco, due amici di Trento: per un po' la loro compagnia sembra funzionare, ma poi non riesco a stargli dietro. Fortuna che non posso ritirarmi in mezzo a un prato nella notte, e quando arrivo al ristoro il mio corpo capisce prima della mia testa che il problema è che ho freddo, e mi mette addosso quel paio di indumenti salvavita che ho nello zainetto. Improvvisamente e inaspettatamente rinato, mangio due bocconi di anguria e riparto.

La notte sembra meno buia, la via lattea mi fa da coperta e, anche se è ancora buio pesto, è come se in qualche modo finalmente riuscissi a percepire un po' della bellezza che c'è intorno a me: rocce, pascoli e decine di torrenti, che mi avvolgono, e nei quali tuffo continuamente le mani per bere o solo buttarmi un po' di acqua in faccia. Ritrovo i trentini e corriamo un bel po' in mezzo alla nuvole basse, concentrati allo spasimo sulle fettucce e i bollini segna percorso, e sei occhi sono comodissimi.

Poi però la luce si spegne di nuovo, non quella che ho in testa, ma quella che dovrei avere dentro: crisi numero 2. Sono rimasto di nuovo solo, la via Lattea dopo un'ora ha perso gran parte del suo fascino, e non riesco a trovare dentro di me una motivazione al mondo per proseguire. Sono stanco, ho sonno e non ne ho più voglia. Al ristoro del 40esimo chilometro mi ritiro. Non mi limito a pensarlo, lo faccio sul serio, il tizio che controlla i passaggi ha già tirato una riga sul mio numero. Ma poi viene fuori che in quel posto non c'è un letto e nessuno mi potrà portare a Bolzano prima di domani mattina. Sono le due di notte, non ho niente di asciutto da mettermi, non c'è niente su cui sdraiarsi più comodo di una panchina al freddo: tanto vale proseguire. Ritiro il mio ritiro e riparto.

Contrariamente ad ogni ragionevole previsione, invece di trascinarmi smadonnando per il mancato letto con piumone, mi ritrovo con molta più voglia di prima e procedo ad una andatura più che dignitosa per l'interminabile distesa di pietroni aguzzi successiva. Dietro le montagne il cielo inizia a schiarirsi e la consapevolezza di essere almeno riuscito a sconfiggere la prima notte, dà ancora più forza. Quando arrivo al ristoro successivo, al Flaggerschartenhutte, l'alba che colora di rosa le Dolomiti verso est, il mare di nuvole sotto, il cielo azzurro sopra, il sole che illumina le montagne intorno, e le acque del laghetto a fianco del rifugio, mi ricordano perché mi piace questo gioco, e perché a volte rinuncio al piumone volontariamente, per potermi permettere di essere ora.

Ma la gara continua, e come la vita ha i suoi alti e bassi. E oggi pare che i miei bassi siano parecchio più in forma dei miei alti. Nell'ultimo pezzo prima del ristoro di metà gara di Passo Pennes, la mia andatura ritorna ad essere meno che escursionistica, e la mia voglia sparisce di nuovo: crisi numero 3. È ormai giorno, la val Sarentino è piena di nuvole, molto probabilmente non si vedrà un gran panorama da qui alla fine (che a questa velocità rischia di essere mooolto lontana) e c'è anche il rischio di prendersi un temporale sulla testa. In più sono vari chilometri che non vado tanto d'accordo con il mio stomaco, mi sa che mi ritiro di nuovo.

Al Passo ritrovo Luca e Franco con le rispettive signore, che fanno di tutto per incoraggiarmi. I buoni motivi che mi danno per ripartire in quel momento mi lasciano del tutto indifferente; provo a mangiare una pasta al ragù, ma non va giù; nessuna delle bibite del ristoro mi dà un minimo di soddisfazione; mi faccio fare un massaggio, ma i 60 km che mancherebbero gli tolgono tutta la sconvolgente piacevolezza che ha di solito quello a fine gara. Il vero problema è che non ho grossi motivi per andare avanti, ma neanche per fermarmi, dato che non ho male da nessuna parte e sono abbastanza sicuro che fisicamente potrei farcela. Poi trovo una pastina in brodo incustodita (e fredda...) provo a mangiarmela e va giù: vuol dire che per lo meno non andrò in crisi di fame, e allora tanto vale ritirarsi alla prossima occasione.



La salita al Giogo delle Frane è più che abbordabile e poi ci sono 1300 metri di discesa in un vallone bellissimo, che mi fa pensare che anche questa volta valeva la pena proseguire. Un po' alla volta riesco anche a raggiungere “Maglietta Gialla”, un'atleta di cui fino a quel momento so solo che, oltre appunto ad avere una tenuta molto visibile, la sera prima aveva iniziato la prima salita assieme a me, ma aveva una velocità tale che dopo un quarto d'ora non l'avevo più vista.

Nelle successive 6 ore e 20 chilometri che correremo insieme, scoprirò anche che è francese, è la terza donna, era seconda ma si è addormentata e ha perso non sa quanto tempo, ha vissuto per anni in Corsica, corre con uno sponsor che l'ha spedita anche alla Marathon des Sables, ha un fidanzato che la aspetta a quasi tutti i ristori. E anche che correre con lei fa un gran bene a me e pare tornare utile anche a lei. Il nostro sodalizio sportivo ci porta prima in cima all'apparentemente irraggiungibile Alpler Nieder, poi lungo i sottostanti “sentieri” in costa (che a persone un po' più sane di mente degli iscritti a questa gara farebbero una paura da matti), poi sul bel traverso che scende all'Hirzerhütte (dove ormai di rododendri fioriti ne sono rimasti giusto un paio, alla faccia del mio desiderio pre gara di correre in mezzo al mare rosa), e poi sulla micidialissima salita verso il Giogo Piatto: ripida, interminabile, rocciosa, tecnica, allucinante, eccessiva (e c'è chi l'ha fatta in mezzo ai tuoni, i fulmini, la pioggia e la nebbia!). Nel tratto in piano che segue i successivi 1000 metri di discesa, la Francese Gialla scalpita e io le dico di non farsi problemi e di andare: tempo due minuti ed è scomparsa. La conseguenza quasi immediata è che io mi spengo, dimostrando l'importanza di avere una Musa Ispiratrice, oppure che a darmi forza era la mia funzione sociale, oppure, più probabilmente, che lei sapeva esattamente cosa stava facendo e quante energie le rimanevano, e io molto meno. Del resto, se lei è arrivata terza alla Transgrancanaria, un motivo ci sarà.

La crisi numero 4 arriva in modo meno improvviso delle precedenti, è più uno svacco progressivo. Continua ad essere tutto molto bello, il tracciato non è neanche più troppo impegnativo, ma io mi ritrovo a camminare su falsopiani sterrati in discesa, godendomi il sole e i prati, ma pensando che a quella velocità lì i 30 chilometri che mancano saranno infiniti e forse è meglio non cominciarli neanche.

 Al ristoro della Meranerhütte arrivo quando Franco e Luca stanno ripartendo: vuol dire che non hanno molto vantaggio, magari riesco ancora a prenderli. Poi c'è una zuppa buonissima. Poi la tizia del ristoro, quando le dico che sono un po' lesso, mi dice “Du bist Super!”. Tutte queste cose insieme mi fanno riaccendere e ripartire di grande slancio. Troppo, per la precisione. Mi brucio nei successivi 5 km tutte le energie che mi sarebbero state utili per arrivare dignitosamente in fondo, e quando sono in cima a quella che finalmente è davvero l'ultima salita, in mezzo alle centinaia di omini di sassi, non riesco neanche a festeggiare l'inizio della discesa.

Basterebbe davvero averne ancora un po' per bersi tutto il tratto da lì a Bolzano: prati, boschi, pascoli, strade sterrate costeggiate da romantiche staccionate in legno, tutto in discesa o al limite in pianura, senza nessuna pendenza impegnativa, se non nell'ultimissimo tratto dopo San Genesio. Ma io non ne ho proprio più e cammino, cammino, cammino. E in più, devo lottare contro le allucinazioni che non sono allucinazioni: ho visto in un'altra gara che all'inizio della seconda notte il mio cervello comincia ad inventarsi un po' di cose, così cerco di farlo ragionare quando mi dice di vedere vele da surf appese ai rami, coppie in vestito tirolese appoggiate ad un albero, e altre cose di questo tipo. Solo che lungo la strada hanno messo delle installazioni artistiche, quindi la maggior parte di queste cose ci sono davvero, e quando lo capisco smetto anche di tentare di capire cosa è vero e cosa no.

Finisco la gara assieme ad uno svedese che era iscritto alla “corta” (solo 69 km...) e che raccatto nel bosco, poco prima dell'ultimo ristoro, lesso più di me. Non è la Francese Gialla, ma è comunque meglio che correre da solo, e gli ultimi 5 chilometri passano molto più in fretta di quello che temevo. A 500 metri dall'arrivo raggiungo e supero agevolmente un altro concorrente, conquistando la 32esima posizione in 26 ore 47 minuti e 22 secondi, a 49 minuti da Franco e Luca, a quasi due ore dalla Francese Gialla (che è arrivata seconda), e a sole 8 ore e spiccioli dal primo, Daniel Jung.

Il libretto di presentazione della gara diceva:

"La corsa effettua su un tracciato parzialmente molto impegnativo e richiede il passo sicuro, l‘assenza di vertigini, un'ottima forma psico-fisica, l‘esperienza nelle corse estreme in montagna, una buona capacità di orientamento e sicurezza notturna e con nebbia”.

Minchia quanto era vero!