15 giugno 2020

La carica dei 101

Un giro di luna dopo il tentativo interrotto a quattro quinti (scarsi) del giro, contro ogni pronostico mi viene voglia di riprovare il giro sulle "vette" intorno a Trento: Calisio - Marzola - Vigolana - Palon - Paganella. Dato che FB (a volte) non serve solo a fare polemiche, in breve si costituisce una combriccola ad assetto variabile che mi accompagnerà in quasi tutto il giro. Io parto da Trento alle 19, primo appuntamento alle 19.30 a Martignano.

Si comincia con il Calisio, 800 metri scarsi per fare riscaldamento ad una andatura decisamente resistibile. Il giovincello del gruppo, forse per fare colpo sulla morosa, ogni tanto sgasa, io faccio esercizio di autocontrollo astenendomi dall'andare a prenderlo. Abbiamo ben due donne, cosa che non si ripeterà più per tutto il giro. Abbiamo anche una splendida scala cromatica dal giallo fluo al nero, ma salendo purtroppo non staremo mai nel giusto ordine. Al ritrovo a Martignano c'è una bella luce di avan-tramonto, che poi va a farsi benedire strada facendo. Su è nuvolo, ma è bello comunque. In discesa perdiamo quattro pezzi, che tornano a casa a cena augurandoci ogni bene.

Due li sostituiamo salendo alla Marzola, che (dopo il ristoro dove una vecchia amica mi fa scontare lo sciroppo di lampone slavato che le ho servito 30 anni fa, offrendoci una misera acqua liscia o mossa + 1 cioccolatino) ci regala 1.200 metri di dislivello: passo Cimirlo, "gratarola", Stoi del Chegul e su a Cima Nord. Ci sarebbe la luna piena e l'eclissi parziale di luna, ma noi arriviamo su con una nebbia da val Padana, resa però suggestiva dalla luce della luna che la illumina da sopra, immergendoci in un chiarore spettrale. La fotografia sembra scattata in un posto molto più esotico della cima della Marzola, e anche noi sembriamo molto più esotici di noi. Il morale è alto, la temperatura meno, e scendiamo velocemente alla sella della Marzola, dove ci lascia uno dei due rossi, anzi, il Rossi, e noi proseguiamo verso il bivacco Bailoni. Da lì a Vigolo Vattaro è quasi una passeggiata.

Molto meno una passeggiata la salita alla Vigolana, montagna che ha la caratteristica di essere bastarda da qualsiasi parte si prenda. Noi saliamo dal sentiero che arriva poco distante dal bivacco, 1.400 m D+,andiamo su piano piano piano, ma rischiamo comunque di perdere un pezzo per Sonno&Fatica. Ma il pezzo stringe i denti e prosegue, meritandosi prima una notevole vista sulla città, e poi, dopo aver bucato le nubi, una fugace visione dalla vetta, con mare di nuvole da cui spuntano il Brenta, l'Adamello e poco altro. Per evitarci il rischio di rimanere lì troppo a lungo, il Signore del Panorama chiude tutto dopo pochi minuti, spedendo me e Luciano verso il Becco di Ceriola, e Andrea verso Centa San Nicolò. Per la cronaca, anche questa volta il sogno di vedere l'alba va a remengo.

La traversata della Vigolana è sempre più lunga di quello che penso, e sì che quel costone l'ho guardato per ore mentre correvo i miei "lunghi" in lock down, inanellando cerchi in cortile. Comunque alfine si giunge al Ceriola e da lì scendiamo in picchiata a Mattarello, dove il figlio di Luciano ci raggiunge in breve con una sontuosa colazione: moka con fornelletto elettrico, brioches, pane fresco. Rinasco e riparto, fantasticamente in tabella di marcia per incontare alle 9.15 Silvano a Romagnano: Mattarello - Romagnano è uno dei pochissimi tratti che farò da solo.

Il Palon non è affatto una montagna esotica, ma la salita più lunga del TOR è lunga 1.650 metri, mentre Romagnano - Palon sono 1.850. Sono più in forma della volta scorsa e sono in compagnia, quindi il sentiero mi sembra molto meno brutto dell'altra volta. Peccato che la compagnia sia quella sbagliata. Silvano è una di quelle persone talmente sincere che non riescono a mentirti neanche per farti un piacere. Mentre io spingo sulle mie gambette che comunque hanno già 50 km in circolo, lui, appena partito, sale più o meno con le mani in tasca e lo stuzzicadenti che pende dal labbro inferiore. Fortunatamente non fuma, se no si accenderebbe anche una cicca. Gli chiedo cortesemente di fare almeno finta di fare un po' di fatica, o di incitarmi con lusinghieri complimenti sulla mia andatura, ma quando ci prova è credibile come Monica Bellucci in teatro. Solo nell'ultimi 400 metri, quando siamo circondati solo da mughi e sassi calcarei che mi fanno sentire "lassù", e brucio gli ultimi 400 metri D+ nella metà del tempo SAT, accenna un minimo di affanno e si degna di sudare un attimo. Comunque giungiamo in vetta, dove il tempo fa un po' schifo (e la vetta, purtroppo, anche) alle ore 12.30.

Giù per la Gran Pista, al ristorante Rocce Rosse ad impietosire il gestore e farci riempire le borracce, niente bagnetto nel bacino artificiale di Mezzavia (troppo alto il recinto) e poi ancora giù verso Sant'Anna e poi Baselga del Bondone. Qui saluto Silvano che rientra in bus e io mi avvio verso Monte Terlago, secondo piccolo viaggio in solitaria, che mi porterà via un po' più tempo del previsto. Quando ci arrivo, verso le 15.30, Adriano mi accoglie esaudendo i miei desideri di pizza, patatine fritte e Lemonsoda, e mi mette pure una sedia come quelle delle Barkley Marathons.

Poi inizia la Paganella, 1.200 metri D+ di splendido sentiero per arrivare su un'altra orribile cima. Cioè, orribile l'hanno fatta diventare, a forza di scavarci strade forestali e di costruirci cosacce. Da lì in compenso c'è una superba vista sul Brenta, che, assieme alla voglia repressa di chiacchiere con Adriano, dopo 25 anni di lontananza, ci fa fare l'ultimo pezzo a ritmo da magnalonga. A proposito di "magna", poco prima del Passo di S.Antonio, decreto che al passo mangerò le patatine rimaste e ricaricherò un po' il gps che è quasi a secco. Solo che poi mi ricordo solo delle patatine, che rimando alla cima, e poco prima di arrivare su do un'occhiata al polso e il quadrante è vuoto. Sigh. Traccia, distanza e dislivello finali saranno una somma di pezzi di epoche diverse.

Dopo qualche scatto con le luci mutevoli sul Brenta, e un po' di energia al GPS, chiedo ad Adriano una via alternativa per scendere, e mi porta su un ghiaione ripido assai, dove vorrei avere delle scarpe un po' più pesanti, ma dove le mie gambe dopo 80 km dimostrano o che sono allenatissimo, o che le pillole di aminoacidi ramificati sono davvero miracolose. Mentre scendo fidandomi ciecamente, mi torna in mente un giro in moto allacciato a lui, nell'anno 1990, che rimane uno dei momenti di maggior terrore di tutta la mia vita, e mi chiedo se forse non sia stata una cattiva idea fidarmi ciecamente di lui. Ma arriviamo sani e salvi al punto da cui siamo partiti, dove mi faccio un altro po' di patatine (e di ricarica al GPS) prima di andare a fare un bagnetto al lago di Lamar e salutarci.

Sono le 21.15, mi aspettano ancora vari km prima di arrivare a casa, ed è scesa la notte. Ma le gambe funzionano ancora, la testa anche, e le pile della frontale che ci sta sopra pure. E allora via nel buio del Sorasass, lungo il sentiero di San Vili, che ho percorso tante volte in andata o in ritorno e che mi deposita alla Vela, dove la pioggia che mi ha inseguito per tutto il giorno mi raggiunge e rinfresca l'ultima manciata di km in piano su asfalto, magari bruttini, ma necessari a chiudere il giro, alle 24 quasi in punto.

Alla fine il giro misurerà 101 km e 8.000 metri di dislivello, che per me sono durati 29 ore. Ho scoperto poi che la discesa dalla Paganella dal Canalone Battisti avrebbe evitato quel fastidioso ricciolo nel tracciato, ma pare che il C.B. fosse più ripido del ghiaione che abbiamo fatto noi, quindi va benissimo il ricciolo.