20 novembre 2023

Lento e dugo

Qualche mese dopo che SteGal si è SQUagliato a SCUurelle (poco prima che gli si SQUagliasse la tastiera), si torna a correre a Scurelle, in piena Valsugana (ma prima che il sole scompaia quasi per sempre, come fa da quelle parti in inverno).

In dialetto trentino, lento vuol dire lento, dugo vuol dire non particolarmente dotato dal punto di vista intellettuale. Sabato, nella gara CSI e Oricup Inverno organizzata dal Panda Orienteering, sono stato lento e dugo.

Attenuanti generiche: respiravo come un 85enne forse perché non mi sono riscaldato abbastanza e/o ho preso troppo tardi la pozione (scaduta, ma solo da pochi mesi) e avevo le gambe di marmo per vari eccessi atletici (?) dei giorni prima. E quanto ti arriva poco ossigeno al cervello perché già ne hai poco e le gambe te lo fregano, puoi pure andare a spasso fuori dalla cartina fra la 9 e la 10 (però che bisogno c'era di segnare un muro invalicabile dove c'era una strada che proseguiva?) e, una volta rientrato, dimenticarti di punzonare la 10, passandoci giusto ad una manciata di cm di troppo perché l'air se la punzoni senza il tuo permesso.

Riassumendo le mie malefatte:

  • sono stato orrendamente lento nella campestre con lanterne dalla 1 alla 9 (riuscendo anche a perdere un po' di secondi in zona punto della 5, per motivi imprecisati)
  • mi sono avviato verso il Lagorai (che è un posto bellissimo, ma non esattamente sulla strada per la 10) in uscita dalla 9
  • sono passato a fianco della MIA lanterna 10 pensando "questa lungo il sentiero deve essere un punto degli esordienti" e NON punzonandola
  • sono stato orrendamente lento nella campestre con lanterne dalla 10 alla 13
  • NON mi sono fatto fregare dalla lanterna trabocchetto 14, ma sono stato orrendamente lento comunque
  • ho approfittato delle mie grandi doti in salita per prendere 15'' sulla 15 che era tutta in salita
  • ho fatto la scelta super furba alla 20 ma non ho fatto il miglior tempo comunque
  • ho chiuso brillantemente la gara senza aver fatto UN SOLO miglior tempo di tratta, in una gara straprovinciale (no, non EXTRAprovinciale, proprio STRA provinciale)
  • senza il PM avrei preso 6' (sei minuti!!) dal primo.

Mammachescarso.




8 novembre 2023

O-campionato veneto e trentino long

Non mi sento proprio al top della mia condizione fisica, ho preso pochissime cartine in mano negli ultimi 12 mesi, in M35 ci sono pochi avversari, in M45 c'è Cipriani, ok, corro in M45.

Dopo un autunno estivo il tempo decide di cambiare tutto in un colpo e la giornata è umida e piovosetta, se ci si aggiungono i classici rovi di questa parte del mondo, il tutto farebbe un po' tristezza, se l'orienteering non fosse comunque un gran bel gioco.

La carta è "strana", valloni danteschi e prati, e in M45 se arrivi vivo alla 5 rimane quasi solo da correre. E io corro, o meglio, correvo.

Molto si gioca alla 1, dove i saggi prendono subito il sentiero e la strada, i meno saggi provano a scendere nel primo allevamento di rovi e poi si ravvedono, e i polli scendono nell'allevamento di rovi, ne escono vivi, e poi attaccano alla cavolo dall'ultimo elementare dossetto e perdono minuti in zona punto. Se facevo un azimut minimamente decente dal dossetto, arrivavo secondo. Se.

Molto altro si gioca alla 4, guardando rapidamente la carta mi sembra ovvio che c'è la scelta larga sulla strada, e che probabilmente è la migliore. Però non ho il coraggio di farla e mi godo le 20 curve di livello per arrivare sotto il verdone privato (zona militare). Se andavo in tangenziale, arrivavo secondo. Se.

Poi rimango troppo alto sulla 5 e poi mi dimostro che quando ero fisicamente superiore ai miei avversari, era meglio. Dopo un anno di allenamenti a singhiozzo non lo sono più, e sul facile semplicemente non gli sto dietro. Se mi allenavo di più, arrivavo secondo. Se.

Vince nonno Dalla Santa, iscritto in M45 per sbaglio, secondo zio Cipriani, terzo spompato Pedrotti. No, primo non ci arrivavo neanche con tutti i "se" messi insieme.

 


6 novembre 2023

Il mio Nepal

Quella lì davanti, con la neve che riflette i primissimi chiarori del giorno, non è la ovest del Makalù, ma la est del Palon.

Il rosso dell'alba non si stende fra il Lhotse e il Nuptse, ma fra la Marzola e la Vigolana.

E la cima che conquisto non è il Cho Oyu, ma il Doss de la Cros.

Ma la luna che mi rischiarava il sentiero mentre era ancora notte era proprio la stessa che si vede sull'Himalaya.

Il sole che è spuntato colorando di giallo e rosso le nebbie impigliate nel bosco era proprio lo stesso che riscalda la vetta dell'Everest.

Il freddo alle dita per i guanti troppo sottili era parente stretto di quello che sentono i mangiatori di 8.000.

E, modestamente, con i miei polmoni asmatici anche il mio respiro assomigliava abbastanza a quello di Simone Moro sopra la linea della morte.


25 settembre 2023

Passo ScarpaNò

In Trentino ci sono più posti belli dove andare a correre, di quanti riuscirò a correrne prima che le giunture cedano o prima che mi passi la voglia (20 anni fa non mi sognavo neanche di correre su per i monti, magari fra 5 o 10 sarò giù stufo), e ci sono alcune zone in cui ci puoi andare a colpo sicuro, che qualsiasi sentiero farai sarà bellissimo.

Se il sentiero c'è davvero.

Una di queste zone è l'Adamello e dintorni e dopo attento studio delle mappe metto in programma per sabato scorso una traversata Ossana - Pinzolo, con viaggio di andata in Vaca Nonesa (il trenino della val di Non, per i non trentini...) + bus, pernottamento al grandioso Hotel Niagara di Ossana (cena sontuosa, camera confortevole, colazione all'altezza delle aspettative), attraversamento del Passo di Scarpacò alla ragguardevole altura di 2800 e rotti metri, gironzolamento per i laghi di Colbricon ed amici vari, discesa a Pinzolo e ritorno con corriera di linea della Val Rendena.

Tutto perfetto, tutto bellissimo, tranne il fatto che allo Scarpacò non ci sono mai arrivato e ho dovuto tornarmene ad Ossana.

E' successo che al lago Venezia c'era un cartello che mi mandava a sud ovest, mentre il sentiero sulla mia carta (che non ho guardato perché tanto c'era il cartello) andava ad est, rimanendo a valle del lago e io, avvolto da nuvole basse e rocce, ho proseguito assai.

Quando il sentiero è scomparso, visto che a sinistra non c'era nulla, ho pensato che lui se ne fosse andato su a destra un po' prima, e ho iniziato a convergere a destra, che prima o poi l'avrei incontrato. Ma lui, una traccetta infima segnata malissimo, che non era il 216 ma un anonimo sentiero per il Bivacco Jack Canali, nel frattempo era arrivato al suo bivacco e si era fermato, e quindi non l'ho incontrato mai. Ma il vallone proseguiva e su lì c'è sicuramente il passo e pazienza se non vedo segni bianchi e rossi, né segni rossi, nè omini di pietra, né tracce di sentiero.

E in effetti su lì un passo c'era, ma non era affatto lo Scarpacò e oltre il passo c'era una traccetta ripidissima, coperta di neve, che sprofondava in un abisso di nebbie, troppo persino per uno non proprio prudente prudente come me (anche perché mi avrebbe fatto scendere nel nulla più nulla, a chilometri dal sentiero per Pinzolo a cui puntavo io).

Così ho dovuto tornare indietro, con l'idea di scendere in castigo gli 800 metri saliti avventatamente fino a lì, tornare al lago Venezia, pigliare il sentiero giusto, ed espiare con altri 800 metri le mie colpe.

Solo che il sentiero, ricercato con ardita mossa a tenaglia intorno al lago (lui passa a nord del lago e sale verso sud est, io sto a sud del lago e convergo verso nord ovest, non posso mancarlo), non l'ho mai trovato, per il semplice motivo che non c'è mai stato, come mi ha confermato il cacciatore che ho re-incontrato scendendo, dopo che l'avevo incontrato 8 ore prima, sempre sdraiato nello stesso posto, salendo. "Non ho trovato il sentiero per lo Scarpacò", "Ah, ma non c'è mica il sentiero, si va semplicemente su per il vallone". Peccato che ci fossero dei cartelli (che poi scomparivano) e un chiaro segno sulla mappa, però almeno mi sono sentito un po' meno pirla (per la cronaca, sia Fatmap sia Strava lo localizzano a sud del lago, ma lui comunque non c'è, giuro).

Comunque, dato che forse l'anno prossimo farò il Kima, avevo pensato che il mio 2024 potesse essere dedicato alla "ganda", cioè quel pietrame infame di dimensioni variabilissime che ti fa andare pianissimo, fare un sacco di fatica e stare attento ad ogni passo come potesse essere l'ultimo (ed in effetti potrebbe tranquillamente), che i frequentatori dell'Adamello, del Lagorai, del tratto fra Sankt Niklaus e Gruben della CMUR (o da Sankt Niklaus e Gruben, nella Swiss Peaks) conoscono bene.

Beh, in questa uscita di ganda me ne sono fatte quasi 5 ore, mi sono portato avanti.

Percorso, profilo altimetrico e amenità varie sul mio  Strava, in tutto 9h30', 31 km e 2.100 metri D+ (e D-).

22 agosto 2023

2gg della Valsudata

Dopo mesi torno a correre con carta e bussola e dopo anni torno alla 2gg della Valsugana, quest'anno sostituita dalla 2gg della Valsudata, soprattutto al sabato.

La coscia stirata (?) in Catinaccio mi ha impedito di correre tutta la settimana, ma mi pare stia meglio. Parere che vola via già dopo il primo minuto di riscaldamento (sì, anche quando fa molto caldo bisogna riscaldarsi...) e dopo il terzo penso seriamente di non correre, che fra tre settimane ho l'UTMR e non ha senso rischiare di farsi peggio in una sprint in centro storico (beh, dai, in paese).

Dopo altri 2 minuti penso che dai, che alla peggio corricchio (ma quando mai...) e male non mi può fare.

Il percorso è rivedibile, fa un caldo porco (ma io non me ne accorgo perché ho altro a cui pensare), ci sono poche scelte da fare e le sbaglio quasi tutte, è difficile sbagliare ma io ci riesco, corro come una giraffa zoppa (ma con due zampe sole), e mi piazzo al 5° posto con un distacco che per me, in una sprint, è imbarazzante. Ma tanto è una due giorni, e in una middle nel bosco (che è pure una middle un po' slongated) 2'10'' si possono recuperare tranquillamente. O almeno questo è il pensiero con cui vado a nanna.

Il day 2 è in Val di Sella, qualche bel centinaio di metri più in alto, in più sono le 10 di mattina invece delle 15.30 di pomeriggio (che ideona...) e in più c'è il bosco.

Durante il riscaldamento (un rettone pendentissimo su asfalto) scopro con piacere che la coscia mi dà meno fastidio, in compenso mi fa male il polpaccio, perché al sabato ho corso tutto storto. Ma sono nel bosco, ho una cartina in mano, una bussola attorno ad un dito e un brichetto air attorno ad un altro: cosa saranno mai una coscia stirata e un polpaccio contratto. Magari si compensano.

Certo, l'ultima volta che ho corso in un bosco con una cartina in mano ecc. ecc. è stato un po' di tempo fa e io mi arrugginisco in fretta, e la gamba sinistra nel suo complesso funziona così così, e alla 1 sto bassino ma me ne accorgo abbastanza presto, e alla 3 perdo un po' di secondi in zona punto, e alla 7 salgo troppo, e alla 9 sbaglio casa e ravano sopra quella sbagliata, e alla 12 zompetto da una parte all'altra del torrente invece di fiondarmi giù dal sentiero, ma insomma, mi difendo.

Spiano il primo di ieri (che in bosco pare meno performante), spiano il quarto di ieri, che oggi non era in giornata, stacco a sufficienza il terzo di ieri, e mi accomodo sul podio al secondo posto, perché Eddy mi dà altri due minuti (e tale Roberto Pradel ne dà 3 anche a lui, ma noi eravamo disidratati da ieri, lui non c'era), che con quelli del giorno prima fanno quasi quattro. Ma mi vendicherò, oh se mi vendicherò...

Non mi è ancora chiarissimo cosa penserà la mia coscia di tutto ciò, ma è stato tanto divertente 😏



17 agosto 2023

Catinacci

Da anni a Natale mi faccio regalare il fantastico calendario di foto aeree delle Dolomiti della Teppainer, e più di una volta mi è rimasto appeso davanti al naso per mesi e mesi (un po' perché sono un po' pigro a girare le pagine, un po' perché le foto più belle poi me le appendo in giro per casa), il Catinaccio, da varie angolazioni.

Da qualche anno mi dicevo che dovevo andarci, in realtà non SUL Catinaccio, ma NEL Catinaccio, quella specie di, appunto, catino, dove è adagiato il Rifugio Re Alberto (che, non a caso, ha come slogan nel sito "un posto sublime".

Mi chiedevo se c'era un modo per salire da una parte e scendere dall'altra, la risposta era sì, e che per farlo si doveva percorrere una ferratina senza pretese, la Santner, alla portata anche di gente di mezza età che da qualche anno ha un po' di paura dell'altezza.

E allora, dato che devo fare un lungo lungo in preparazione dell'Ultra Tour del Monte Rosa, sabato 12 agosto di buon mattino piglio il treno per Bolzano, da lì il bus per il Passo Costalunga, e alle ore 8.08 sono pronto per andare in Paradiso.

L'inizio è più che confortante, il tempo è bello, le tabelle orarie dei sentieri sudtirolesi sono al solito spropositatamente generose, e in un'ora trascorsa beato sul traverso sotto il Gruppo del Catinaccio, sono al Rifugio Coronelle. Qui, da aspirante uomo saggio quale sono, mi metto caschetto e imbrago, e mi avvio baldanzoso sul sentiero di avvicinamento alla ferrata, che presenta qualche tratto leggermente esposto non assicurato, che supero in scioltezza. Così come supero in scioltezza tutte le persone che incontro sul mio cammino, con un ritmo leggermente ansimante, che è un ottimo allenamento cardio.

Quando la ferrata finalmente inizia sul serio, si conferma abbordabile e non particolarmente vertiginosa, con giusto un paio di tratti dove uso l'imbrago, ma più per non essermelo portato dietro per niente, che per effettiva necessità. Dopo un'oretta dal Coronelle sono in cima, e il catino del Catinaccio si apre finalmente sotto di me, con le Torri del Vajolet sullo sfondo, e una cosa molto blu sopra.

Sono talmente contento che invece di limitarmi ai miei classici autoscatti (non credo ci siano lettori nati dopo il 2000, ma nel caso, si tratta dei nonni dei selfie, che si facevano con una apposita funzione della macchina fotografica (sì, ok, quell'apparecchio che una volta si usava al posto del cellulare per fare le fotografie), appoggiandola da qualche parte.

Poi scendo verso il Rifugio Re Alberto, e, dove il sentiero spiana, per un-secondo-uno mi metto a pensare a cosa mangerò sul sasso un po' più avanti. In quel un-secondo-uno non penso a cosa sto facendo, mi inciampo come un bambino di 2 anni che impara a camminare, ma al contrario di lui non finisco per terra a pelle di leone, ma mi incapretto con la gamba sinistra malamente storta sotto.

Il dolore non è lancinante, ma mi pare evidente che c'è qualcosa che non va. Mi auto-diagnostico uno stiramento del muscolo posteriore della coscia sinistra, mi do del pirla esponenziale, mi siedo sul sasso di cui sopra a mangiare qualcosa, e poi riparto, che l'elicottero mi pare un po' eccessivo.

Scendo al rifugio Vajolet, risalgo al rifugio Passo Principe, salgo ancora e poi scendo al rifugio Antermoia, salgo un po' e poi scendo lungo la Val de Dona, arrivo a Mazzin in Val di Fassa, dove piglio una corriera che mi riporta a casa. Il tutto corricchiando, pensando in continuazione alla mia coscetta, che non sta benissimo, pensando varie volte che sono un pirla, ma molte di più che poteva andare molto peggio.

In conclusione, poco più di 20 km e 1600 metri di dislivello, che dimostrano che il Grande Meraviglioso Giro che avevo in mente, e di cui i Catinacci erano solo le prime (fantastiche) portate, è davvero fattibile in giornata ed è davvero Meravigliosamente Meraviglioso.

Magari la prossima volta evito il fine settimana prima di ferragosto, mi trovo da dormire al passo Costalunga, ed evito di distrarmi quando il sentiero diventa facile.

13 maggio 2023

Il runner e l'orso

Al Garda Trentino Trail, in vista della loro gara 2023 e dopo i noti fatti del mese scorso in val di Sole, hanno prodotto, in collaborazione con Alessandro De Guelmi (veterinario A.S.L. della Provincia di Trento ora in pensione nonché massimo esperto di fauna selvatica, per oltre 30 anni ha studiato l'orso in Trentino) una interessante mini-guida di "Buone pratiche" per runner che corrono dove vivono orsi.

Mi sembra valga la pena condividerle, a me queste cose non le aveva mai spiegate nessuno.


BUONE REGOLE DA RICORDARE QUANDO SI ENTRA IN UN BOSCO

L’orso è un animale elusivo e normalmente sfugge la presenza umana; è indubbiamente pericoloso, ma il rischio concreto che possa nuocere all’uomo è estremamente basso. Tale rischio può essere ulteriormente ridotto attraverso la conoscenza ed un conseguente opportuno comportamento.
  • In tutta Europa dal 2000 al 2015 si sono registra ufficialmente 291 attacchi dell’orso nei confronti dell’uomo: sempre attacchi difensivi e mai predatori (Scientfic Report, Brown bear attacks on humans. G. Bombieri e coll.)
  • L’orso non sopporta di essere colto di sorpresa, per cui è importante avvertirlo della nostra presenza con piccoli rumori. È quindi consigliabile muoversi in gruppo, possibilmente parlando.
  • Se si cammina da soli, in prossimità di zone con poca visibilità, un colpo di tosse, una parola, il rumore dei bastoncini sono normalmente sufficienti affinché l’orso se ne vada. Sarebbe buona norma seguire i sentieri, non lasciare avanzi di cibo e tenere il cane al guinzaglio.
  • Se lo si vede da lontano: evitare di avvicinarlo e nel contempo apprezzare la sua presenza.
  • Se lo si dovesse incontrare da vicino (evenienza rarissima): fermarsi, mantenere la calma, non gridare, parlare con tono moderato, ma deciso, non alzare le braccia, non tirare sassi o altro. Allontanarsi lentamente. Non mettersi in competizione con l’orso: è molto più forte di noi, corre, arrampica, nuota meglio di noi. Non scappare; la nostra fuga potrebbe stimolare il suo, per quanto ridotto, istinto predatorio e invogliarlo ad inseguirci.
  • Se si entra in contatto con l’orso: sdraiarsi a terra a pancia in giù, con il viso verso il terreno e le mani intrecciate sulla nuca. Rimanere nella posizione finché non si abbia la certezza che l’orso se ne sia andato.


 

4 maggio 2023

North West Cup - orienteering molto ad ovest

Da ormai re incontrastato dell'ori-blogging italiano (l'ultimo post di Tenani risale al 14 marzo ed è poco più di un collage di cartine, e l'ultimo del Maestro Stegal addirittura al 17 febbraio), potrei permettermi lo svogliato copia-incolla di tante testate "giornalistiche" on-line, e invece no, altissima qualità, come al solito.

O almeno molto più alta della mia tecnica orientistica, che continua ad essere piuttosto media, con l'aggiunta degli acciacchi dell'età.

E cominciamo proprio dagli acciacchi dell'età, che hanno fortemente influenzato i miei 4 giorni dalle parti di Cuneo, dove sono stato attirato come le mosche dal miele dal poker di gare organizzate egregiamente dall'OriCuneo, società che pare godere di ottima salute dopo il ritorno in patria di Andrea Bruno, suo mentore.

L'acciacco principale è la memoria, che in realtà è sempre stata acciaccata, ma quando ero giovane c'erano meno cose da ricordare. Al giorno d'oggi dovrei presentarmi in partenza non solo vestito (e quindi essendomi ricordato di mettere in borsa scarpe, calzini, mutande, braghette, maglietta e accessori per il freddo, ma anche con:

- brichetto (se no la gara non la faccio proprio)

- bussola (senza, io dal bosco non ci uscirei vivo)

- porta descrizione punti (se no devo appiccicarmi il foglietto sul braccio con lo scoc, e dato che sudo parecchio, oltre ad essere scomodo non dura)

- orologio gps (se no poi non posso giocare con livelox)

- occhiali (se no non vedo la cartina)

- medicinale anti asma già assunto (se no corro con un polmone solo)

decisamente troppe cose perché io possa farcela.

Ciò detto, passiamo ad una (stringata) cronaca delle gare, senza pubblicazione di mappe perché tanto c'è livelox, che è molto più efficace e divertente (e deprimente).

Giorno 1 - Coppa Italia Sprint - Vinadio

La mappa è bellissima, la gara varissima, gli avversari in M35 un po' pochi. Dopo lunghissimo riscaldamento nella boscaglia mi presento agguerrito al via e fra lo start e la svedese mi accorgo di non avere gli occhiali. Mi do del mona lo stretto indispensabile e poi cerco di farne a meno, cavandomela discretamente nella prima parte in centro storico, punzonando per primo la lanterna in cima alla eterna scalinata dove ho pensato "se ho letto male e non dovevo salire di qui sono fottuto!", difendendomi a colpi di diottrie nelle successive lanterne del centro, scapicollandomi più di tutti nella campestre in discesa per la 12, e naufragando nel campeggio. Forse con gli occhiali avrei letto meglio gli alberelli, o forse non sarebbe cambiato un tubo, fatto sta che andando alla 14 il mio cervello va in corto e io invece vado (molto) lungo, e quando i neuroni ricominciano a parlarsi fra loro sono sopra la 15 e ho perso quasi 2'. Sarei ancora sul podio, ma poi penso bene di punzonare la prima lanterna che mi capita a tiro, che, dall'amico livelox risulta imbarazzantemente lontana da dove dovevo andare. Ultimo pezzo bellissimo nel forte, che corro un po' a caso, depresso dall'erroraccio e ormai un po' in acido.

 

Giorno 2 - Campionato Italiano middle - Entracque Esterate

Terminati quei tempi favolosi in cui a giocarsi le medaglie in M35 erano 8-10 persone, ci si accontenta di una carta bellissima in un posto bellissimo, con un tempo decente. Alla 2 sono addirittura in testa, poi comincio a litigare con i muretti - cumuli di sassi - cocuzzoli - niente segnato, e sperpero tempo alla 3 e alla 6, dove mi supera Morara, che punirò portandolo a perdersi con me alla 7 (aspettavo il secondo muro, ma non avevo visto il primo, sigh, livelox docet). Da quelle parti ci prende anche Emiliano e a quel punto cerco solo di evitare di seguirli, perché mi pare proprio brutto. Alla 12 arrivo in zona punto prima di loro, ma poi ci pascolo intornoe mi staccano definitivamente andando alla 14, dove mi convinco che per non seguire va bene anche fare una scelta insensata. Concludo con una serie di lanterne fatte in modo molto spannometriche, a 6' dal secondo (Matteo) ma comunque 9' prima del quarto.


 Giorno 3 - Campionato piemontese long - Villanova

Quelli forti forti sono andati a casa, quindi posso permettermi di essere ridicolo alla 2, badare soprattutto a non graffiarmi troppo alla 5, vagare un po' in zona punto alla 8, e sbagliare completamente direzione andando alla 13, e vincere lo stesso con 4' su Michele Fiocca e 12' su Fabio Dalla Riva. Complice la imperdonabile dimenticanza a casa delle calze lunghe, arrivo al traguardo con le gambe scorticate. Complice la mappa e la tracciatura di non si sa bene chi (Michele Caraglio nega di essere il responsabile) arrivo al traguardo con le gambe sfatte.


Giorno 4 - Spriddle - Cuneo

Gara velocissima sul greto di uno dei due fiumi di Cuneo, brutto posto dove non riuscire a trovare il comunicato giusto sul sito (quello che chiariva che il roccione era attraversabile) e per scambiare per l'innocuo muretto della 18, l'orrida scarpata poco più avanti. Fin lì ero saldamente in testa, dopo un po' di tira e molla con Michele Fiocca fino alla 12. Poi perdo 3 minuti in giro per la scaprata e ciao. Chiudo terzo, dietro a Michele e ad un australiano.  


Comunque, rimane sempre il gioco più divertente del mondo.






16 aprile 2023

Trento - Bolzano per boschi e monti

Quando l'ho fatto nel 2020 c'era un tempo un po' schifoso e mi ero riproposto di rifarlo. Quando ci ho provato l'autunno scorso, prima mi è uscito un misterioso dolore al ginocchio (mai venuto prima, scomparso il giorno dopo e mai ritornato) a meno di metà strada, poi mi aveva bloccato la fascite un paio di giorni prima della data fissata per il secondo tentativo. Poteva venirmi il dubbio che fosse un percorso che porta sfiga, e invece no. Ci ho riprovato, e il cielo non mi è caduto sulla testa. 

Il percorso segue per gran parte il sentiero europeo E5, che a me risultava andare dal Lago di Costanza a Verona, e invece pare vada dall'oceano atlantico a Venezia (e la verità sta nel mezzo, perché sulla relativa pagina sul sito della Federazione Italiana Escursionismo dicono che "Attualmente il tratto Verona-Venezia non è definito, per cui il sentiero termina all’Arena di Verona"). Io in ogni caso ne ho fatto parecchio di meno, e contromano. Partenza prevista ore 4.00, ma poi mi sono svegliato un po' prima della sveglia, e sono partito alle 3.40. Si poteva partire anche parecchio dopo, che tanto di treni che tornano da Bolzano ce ne sono fino alle 23, ma io volevo riuscire ad andare a cena dai suoceri.

Come allenamento lungh(issim)issimo è fantastico, per la distribuzione del dislivello, per la varietà del fondo comunque per lo più sterrato, per la varietà degli ambienti e dei panorami, per l'abbondanza di punti ritiro o ristoro, nonostante per gran parte del tempo si sia fuori dal mondo. Lunghezza sui 95 km, dislivello sui 4.000, godimento complessivo 9+.

Per chi volesse dettagli sul percorso, rimando alla pagina su Strava, qui mi limito a qualche cenno ed agli highlights.

Rispetto alle altre volte sono partito verso Martignano invece che verso Villamontagna, aggirando il Calisio da ovest invece che da est. Come km e dislivello è praticamente identica, ma si fa parecchio meno asfalto.

Il tratto fino al lago di Santa Colomba e poi fino a Pian del Gac è al solito bellissimo, frontale spenta perché tanto ci si vede abbastanza ed è una buona scusa per andare un po' più piano.

Per scendere al lago di Lases invece dei soliti tornantoni sulla cava dismessa vado in cerca del sentiero che è indicato su fatmap. Più che un sentiero trovo all'inizio solo una vaga traccia, (scopro ora che il problema è stato non risalire abbastanza fino al bivio vero), in effetti poi il sentiero c'è.

La Val Freda fino a Lona sempre bellissima, e discesa sul fondo della valle di Cembra questa volta lungo la condotta forzata, con un risparmio di varie decine di metri.

A Cembra highlight#1: la Macelleria Gastronomia Pasticceria Zanotelli. Non chiedetevi perché mai abbiano messo insieme una macelleria e una pasticceria, limitatevi ad assaggiare le brioche che fanno loro (tipo la integrale vuota) e a commuovervi. Soprattutto se sono le 7 di mattina e avete già fatto 25 km e guadato il canyon della Val di Cembra.

Da Cembra, nel fallito tentativo dell'autunno scorso avevo trovato la strada giusta, nel 2020 ero andato su un po' a caso, mancando il lago Santo e ricollegandomi più avanti sulla retta via. Meglio la retta via. Che non è retta per niente, ma è bellissima, soprattutto quando si arriva in quota e ci sono 4 km quasi piani in mezzo ai faggi (ma converrebbe andarci a metà maggio per vederli al loro meglio).

Il tratto da Gfrill-Cauria a Kaltenbrunnen-Fontanefredde è un po' meno bello (cioè, è comunque molto bello, ma meno di quello di prima), sempre nel bosco (Vaia permettendo) ma non più di faggio, è più lungo di quello che ci si aspetta, ma a Truden-Trodena c'è l'highlight#2: superati i 50 km vi siete guadagnati il diritto ad un Apfelschorle, ad uno Skiwasser, o ad una banale birra (ma i dietologi sconsigliano in massa): un bar vale l'altro, ma il posto più adatto è l'Hotel Schönwies, perché è alla fine del paese, subito prima dell'inizio della discesa.

A Kaltenbrunnen-Fontanefredde, c'è la più grave carenza nella segnaletica, perché arrivati sulla provinciale che sale da Ora verso Cavalese non si capisce cosa si deve fare e io sono andato un po' a caso. A posteriori, mi pare di aver capito che bisogna attraversare la provinciale, arrivare sulla quasi parallela stradina successiva, proseguire a destra ignorando l'invitante sentiero per il campo sportivo, e al tornante prendere il bivio, sempre a destra, lungo una sterrata che potrebbe essere segnata come sentiero 7, forse con indicazioni per Unterradein-Redagno di Sotto.

In ogni caso, da lì spariscono le indicazioni per il sentiero E5 e bisogna seguire quelle per Weissenstein-Pietralba, sentiero 8. Perchè? Boh. Sempre per la serie "boh", qui cambia anche la stima dei tempi, perché normalmente di corsa io ci metto metà del tempo dei cartelli CAI-SAT in Trentino, e un terzo del tempo dei cartelli CAI-AVS in Alto Adige, ma per arrivare da Kaltenbrunnen-Fontanefredde a Weissenstein-Pietralba ce ne metto due terzi abbondanti, senza rallentare significativamente.

Decido di meritarmi comunque l'highlight#3: bevanda calda e torta al bar del santuario. Qui però mi sa che faccio un errore. Mi lascio tentare dalla Schwarzwald che accompagno con caffè americano, ma probabilmente era meglio lo strudel con la cioccolata calda con panna. Un po' perché secondo me il mattone di mele-pinoli e pasta frolla me lo sarei goduto di più, un po' perché la S.W. mi va su e giù per un qualche km. Errori di gioventù.

Dal santuario e da Deutschenhofen-Nova Ponente ci sarebbero anche gli highlights#4e5, ma non sono in formissima (loro). Dopo le nuvole sparse dalle 4 alle 8, e il cielo azzurro dalle 8 alle 9, il cielo si è ingrigito e Catinaccio e Latemar, che da qui sono belli assai, sono un po' appannati. Ne approfitto per non perdere troppo tempo a fotografarli e mi avvio verso Bolzano, che tanto è vicina. Ma non è vicina un corno, e dopo essermi sfiancato per un po' con l'illusione di riuscire a prendere l'ultimo treno buono per la cena dai suoceri, getto la spugna a Kohler-Colle, da cui la meta si vede là sotto, ma non trovo il sentiero per arrivarci, e comunque ormai è troppo tardi per il treno.

Dopo aver vagato un po' per il colle, finisco per fare un sentiero completamente diverso (quello a sinistra nella immagine)   da quello che ho fatto l'altra volta, ma sono convinto che in entrambi i casi ho seguito pedissequamente i cartelli E5 (nel frattempo ritornati) e quindi non capisco come sia stato possibile.

Arrivo al treno un po' cottarello, tanto da rinunciare all'highlight#6, il paio di würstel con senape + patatine fritte al baracchino davanti alla stazione (che invece i dietologi in massa osannano), che ho sognato da prima dell'alba, ma di cui a quel punto non ho più voglia per niente. Peccato, dovrò rifarlo.

30 marzo 2023

Ritornat-o

Dopo un tempo reale di un paio di mesi e un tempo percepito di un paio di decenni, torno ad una gara di orienteering dalla parte giusta dei nastri che delimitano la partenza, senza invidie a divorarmi lo stomaco come a Ve-Notte 2023 e Cristo Re 2023.

L'occasione è la prima gara della Coppa del Trentino, una sprint a Rovereto, alla quale partecipano pure le nazionali ITA e FIN (ma non gli anzianotti nordici, e pochi anche gli anzianotti italici). 

In M35, dove io anche quest'anno mi ostinerò a permanere, gli avversari più temibili pensavo fossero Michele Ausermiller e Francesco Raimondo, poi si è aggiunto Gabriele Iussig, una new entry del Trent-o, che si è preso lo sfizio di prendersi 2 migliori tempi di tratta e di rimanere in testa per due lanterne.

In tutte le altre lanterne (16) sono stato in testa io, Francesco ha fatto il miglior tempo alla 5, Michele alla 7 e alla 13, e in tutte le altre l'ho fatto io :-)

Insomma, un trionfo, ma certo, l'orienteering vero è quello nei boschi, e questa era "una gara da correre di quelle che piacciono a te", ecc. ecc. ecc. Però intanto altri hanno sbagliato, e io no :-)

Per la cronaca, nelle mie "non migliori" lanterne, ho lasciato in tutto 22'', dei quali ben 8 alla 14, alla quale non mi pare di aver fatto una scelta così pessima, ma evidentemente mi sono fermato troppo in uscita dalla 13 per interpretare il portico (anche se 8'' mi sembrano proprio tanti, mah). Per chi vuole rivedere la gara, c'è il fantastico livelox (ma non ci sono né Francesco né Gabriele).

Prossima gara a nord dell'equatore, addirittura dopo la metà di aprile, prima, solo un grande classico FISO degli ultimi anni, ovvero un paio di garette là dove il 99% dei partecipanti ha fatto fra i 500 e i 1000 km per arrivarci. Fortuna che con le riunioni on-line del direttivo hanno drasticamente ridotto le emissioni di CO2 della Federazione...

Quello nella fotografia è un giovane atleta francese, che ha tanto insistito per avere una foto con me. Pare che all'ombra della Torre Eiffel ci sia un giovane speaker, tale Stephàn Poulet, che lo chiama "il Pedrotti d'Oltralpe", e quando ha saputo che a Rovereto c'ero anch'io, ha voluto a tutti i costi farsi ritrarre con me.

Credo che il ragazzo sia anche piuttosto forte, dato che allena la nazionale finlandese.

26 marzo 2023

Ultrabericus 2023

Dall'arrivo alla palestra con borse-docce-spogliatoi c'è un km scarso. Sono le 18 e un po' quando lo percorro con Giorgia a farmi da badante, con lei che mi regge i bastoncini, lo zainetto e pure l'orologio e io che non riesco neanche a mantenere la posizione eretta, né tantomeno a parlare mentre cammino e respiro. Giunto in palestra e recuperata la mia borsa, mi serviranno 10' sul lettino del personale sanitario (ma senza il loro intervento) per riprendermi a sufficienza da affrontare l'immane sforzo di cambio&doccia. Forse ho un pelo esagerato.

Eppure tutto era iniziato così bene.

Dopo 3 mesi di quella che probabilmente era fascite plantare al piede sinistro, durante i quali avevo messo in fila la bellezza di 1 allenamento "progressivo", 0 ripetute, 4 allenamenti di fartlek e un totale di 80 km di lungo lento (più un po' di bici), avevo pensato che il modo migliore per festeggiare la mia guarigione fosse tornare là dove tutto era cominciato, nel lontano 2013, cioè all'Ultrabericus. Magari i puristi potevano pensare che 80 km in tre mesi fossero un po' pochi per preparare una 65 km, ma io ero certo che fosse vero che "i muscoli hanno memoria", e i miei si sarebbero sicuramente ricordati dei millanta km degli anni precedenti, e tutto sarebbe andato a meraviglia.

Motivo per cui non mi sembra neanche il caso di partire un po' prudente, e faccio la prima parte di gara a cannone, correndo spesso e volentieri con quella che avrebbe poi vinto la 42 km, e giungendo al 25° km in 25° posizione assoluta, impiegandoci 27' in meno che nel 2013, per una proiezione di tempo finale abbondantemente sotto le 7 ore (contro le 8h3' del 2013 e le 7h15' del 2017).

Magari il fatto di iniziare ad avere mal di gambe al 20° km poteva un attimo insospettirmi, ma comunque era già abbondantemente troppo tardi e la parabola discendente aveva all'inizio una pendenza così lieve, che non mi ero accorto di niente. Certo, la futura prima donna della 42 km se ne era andata, ma non mi sembrava tanto grave.

Ad arrivare a San Donato, il maxi ristoro di un po' oltre metà gara, fatico un po' più di quanto vorrei, hanno iniziato a superarmi un po' di persone, ma la situazione non pare ancora tragica: sono 40esimo, i minuti di vantaggio sul 2013 sono ancora 20 e la proiezione del tempo finale non è più da urlo, ma comunque è sotto quella del 2017. Mi fermo per un lauto pasto a base di pane e prosciutto, formaggio, dolcetto, banane, kiwi e caffè, e riparto con cautela, approfittando del fatto che il primo tratto è in salita e non si vede tanto che vado pianetto.

Poi arriva il famoso oste con il conto. Le brutte persone che mi superano diventano sempre più numerose, e nel famigerato piattone dopo il lago di Fimon molti e molte di loro sono bipedi con un ritmo, un'andatura e una postura imbarazzante, che, dato che mi passano, certificano che io lo sono molto di più. Per un paio di km decido di approfittare del fatto che una delle novità 2023 è l'introduzione del nordic walking, e mi ci dedico con entusiasmo, poi, dato che l'ultimo ristoro di Arcugnano non si decide ad arrivare, mi sdraio su un prato sperando in giorni migliori, e rifiutando gentilmente l'offerta di un altro concorrente di "chiamare i soccorsi".

Quando riesco a trovare energie e voglia per rialzarmi dal prato, e giungo al benedetto ristoro di Arcugnano, succede quello che in "Everything Everywhere All at Once" è descritto come il "trampolino elastico": se tu fai qualcosa di insolito riesci a connetterti con il te stesso di uno degli altri universi del multiverso, nel quale la tua storia è differente, lì rimbalzi, e quando torni in questo universo qui ti porti dietro le abilità che avevi in quell'universo lì. Io, bevendo un bicchiere di lemonsoda (che ai ristori non c'è praticamente mai) mi connetto con il me stesso che vive in un universo in cui negli ultimi 3 mesi mi sono allenato come si deve, e quando torno in questo universo qui, riparto dal ristoro come un atleta in forma invece che come quel bollito che ci era arrivato.

Per 5-6 km torno ad andare a cannone, spingendo in salita e correndo bene in pianura e in discesa, superando atleti su atleti, recuperando posizioni su posizioni, tornando a divertirmi e sentendomi un pochino meno pirla.  

In Everyecc. ecc. l'effetto del trampolino elastico dura solo per un po', per me all'Ultrabericus termina quando mi inciampo su una radice che sporgeva un paio di cm dal suolo e finisco a pelle di leone sul sentiero, rimediando, per puro culo, solo l'ennesima futura cicatrice sul ginocchio destro. Da lì alla fine torno ad arrancare, ma ormai manca davvero poco per portare all'arrivo le mie stanchissime membra. A dimostrare che non ne ho proprio più, ci sono le 3 posizioni che perdo nell'ultimo centinaio di metri prima del traguardo, del tutto incapace anche solo di ipotizzare uno sprint.

Chiudo in 8h3', 5' peggio del 2013 e 48' peggio del 2017, però chiudo!! (con un mal di gambe e una stanchezza globale che al confronto dopo il Tor ero un fiorellino).

22 febbraio 2023

Lagolo

"Correre sull’asfalto non mi piace, eppure paradossalmente è stato proprio per correre sull’asfalto che ho scoperto tutto il resto. Dove da piccolo trascorrevo l’estate in villeggiatura ogni anno organizzavano una gara di corsa intorno a un laghetto, 1 giro per i più piccoli, poi 2, e poi 3 per i più grandi. Era successo che alla mia prima partecipazione, totalmente impreparato ma pieno di entusiasmo, un certo numero di concorrenti arrivati prima di me avessero involontariamente tagliato il percorso, e la loro squalifica mi aveva catapultato al secondo posto. Il podio e la medaglia avevano fatto scoccare un grande amore, e la corsa di Lagolo era diventata un appuntamento imperdibile.

Così per anni la corsa mi ha chiamato nelle mattine estive con la voce dei sassolini che sbattevano sugli scuri chiusi della finestra della mia camera da letto. A lanciarli era Davide, che veniva a svegliarmi per andare a correre insieme nel bosco: almeno tre allenamenti a settimana per due mesi, per arrivare pronti all’appuntamento clou dell’estate.

Un’ora di corsa sui sentieri nel bosco, con qualche centinaio di metri di dislivello in su e poi in giù, non era certo il modo migliore per preparare una gara su asfalto che nella sua versione più lunga misurava un paio di chilometri, con una salita di venti metri ripetuta tre volte, e tutto il resto piatto. Ma fortunatamente nessuno ce lo aveva detto, e così noi scorrazzavamo felici per i boschi, con la spinta potente di arrivare prima possibile a fare colazione.

Fra me e Davide non c’era nessuna rivalità, per il semplice fatto che lui era troppo più forte di me. Lungo e secco io, piccolino e altrettanto secco lui, mi stracciava nella corsa su qualunque distanza e nella maggior parte degli altri sport. A Lagolo vinceva quasi sempre lui, e io vedevo il più delle volte i primi scomparire alla prima curva mentre ero ancora a metà del rettilineo di partenza".

Da "Confessioni di un runner d'alta quota - Ediciclo Editore"

Ebbene, 36 anni dopo averci corso l'ultima volta insieme (e 41 dopo la foto qui sopra...) sono tornato a Lagolo con Davide. Tre giri del lago come ai vecchi tempi, ma questa volta correndo insieme, chiacchierando dei tempi andati, e viaggiando alla scandalosa andatura media di 6'35''/km.

Ho pensato che fosse il rito migliore per dichiarare ufficialmente chiusa la mia fascite plantare. Speriamo sia d'accordo anche lei.



4 gennaio 2023

Voglia matta

Il 30 novembre ho ceduto al richiamo del mio Primo Grande Amore, con cui non ci eravamo lasciati mica tanto bene: il basket. Trovato fortunosamente un gruppo di atleti all'altezza del mio attuale talento, mi sono ripresentato su un parquet dopo una ventina d'anni di astinenza.

Una decina di giocatori, di cui io ero il "bocia", età massima 80 o forse più, età media attorno ai 55-60, e, fra gli altri, il mio allenatore di quando avevo 14 anni. Mi sono divertito come un bambino. Il 2 dicembre, al secondo "allenamento", ero già infortunato.

Niente di epico, in una azione qualsiasi ho sbattuto il tallone sinistro sul pavimento (vuoi vedere che le scarpe da corsa su strada non erano la calzatura migliore? è che con quelle da trail scivolavo troppo, e le chiodate in palestra sono vietate) e sono uscito un po' zoppicante. Reso saggio (?) dall'età ho deciso che era meglio sospendere e, dato  dopo la doccia ero MOLTO zoppicante, il giorno dopo sono perfino andato al pronto soccorso a farmi fare i raggi.

Dopo sole 4 ore di attesa, il medico mi ha detto "l'osso del tallone non è rotto, quindi fra 5-6 giorni sei a posto, perché qui facciamo scienza, non filosofia". Non so, forse avevo la faccia da no-vax. Comunque me ne sono tornato a casa tutto contento.

Ho continuato a lavorare, ma con tutte le cautele (compresa una "zeppa" di 1 cm dentro la scarpa per scaricare il peso sulla parte davanti del piede) e dopo 12 giorni (un po' di più di 5-6, per eccesso di prudenza) ho provato ad andare a correre. Forse ho esagerato (un'ora) fatto sta che sono tornato a casa dolorantissimo, e il giorno dopo mi sentivo da capo.

Allora mi sono armato di Santa Pazienza, e ho lasciato passare altre 3 settimane, e quando ho solo pensato "oggi potrei fare una corsetta di mezz'ora", il piede ha ricominciato a farmi male.

Domani vado da un osteopata, ma non ho molta fiducia: è un orientista che corre in M35, non ha NESSUN interesse a farmi guarire davvero.

Il bilancio di questo mese abbondante di stop è il seguente:

- record assoluto di giorni di inattività sportiva, almeno dal 2004

- aumento di peso di 3 kg (ci ho messo un po' a capire che se continuavo a mangiare come prima, e consumavo un terzo, era un problema)

- voglia di tornare a correre sui monti a livelli sconcertanti

- voglia di correre a VeNotte a fine mese a livelli preoccupanti

- preoccupazione sulle conseguenze del mio ritardato inizio della preparazione invernale in stand by 

- paura di non riuscire, per la prima volta da quando esiste, a correre VeNotte, in aumento

- dubbio di non riuscire ad essere al via alla Grande Corsa Bianca il 10 febbraio in fase di avanzata insinuazione

Non potendomi allenare, almeno rintuzzo con questo post il tentativo di Stegal di diventare l'ultimo Ori-blogger italiano in attività. 

E sì, a fine luglio mi piacerebbe tantissimo essere di nuovo lì. Ma proprio tanto tanto. Ma ci sarò.