20 luglio 2020

Il mio primo Vertical

Il mio primo vertical in realtà è un mezzo vertical, perché un vero vertical sono 1000 metri di dislivello, e invece quello che faccio io, il Vertical Molini Mont, sono solo 520.

E' successo un po' che ero decisamente in astinenza da gare di qualche genere, un po' che ultimamente avevo cominciato a prova un certo gusto nello spingere come un deficiente su per una salita ripidissima con le cosce in fiamme, così ho pensato di approfittare del fatto che quei miti dell'Atletica Val di Cembra, contrariamente agli organizzatori di praticamente tutte le manifestazioni sportive dilettantistische del Trentino e dintorni,  hanno deciso di organizzare anche quest'anno il loro Circuito Vertical Race, rispettando tutte le misure anti Covid e facendo felice qualche centinaio di pirla che senza un pettorale sulla maglietta sono come Linus senza copertina.

Quando giungo a Montesover, luogo di ritrovo e di arrivo della gara, mi sembra di essere tornato ai vecchi tempi del mio inizio con l'orienteering, quando non conoscevo nessuno e mi guardavo in giro come i bambini al primo giorno di elementari. Fortuna che sono arrivato lì con Michele, che invece conosce tutti, e quindi non mi sento troppo solo.

Ho pochi e abbordabili obiettivi, ma riesco a fallirli tutti:

1. arrivare al traguardo con l'acido lattico fin dentro le orecchie

2. arrivare al traguardo con le cosce alla temperatura di fusione del bronzo

3. vedere se riesco ad essere minimamente competitivo su una distanza del genere

Gli obiettivi uno e due si rinforzano dentro di me scendendo (sprofondando) verso il greto del torrente Avisio lungo lo stesso percorso che si salirà in gara: è un percorso bellissimo, misto sentiero e strada forestale pavimentata in pietre, con pendenze variabili dal corri-e-muori al se-corri-muori. Più scendo e più mi riscaldo, più penso che mi divertiro un sacco, cosa che sinceramente non avevo messo in preventivo. C'è anche un po' di tifo lungo il percorso, di quello che non sta lì a guardare se sei suo figlio-fratello-moroso-amico per decidere se incitarti o meno, e lo fa a prescindere.

Capisco di aver fallito tutti i miei obiettivi pochi metri dopo il traguardo, quando, dopo 30'' in cui rifiato un attimo, mi rendo conto che potrei ricominciare da capo, e se la gara era lunga il doppio per me era molto meglio. Le gambe stanno benone, quindi magari potevo spingere di più, solo che non mi sembrava di essere in grado. Inoltre la classifica dice che sono arrivato 34esimo su 170 partenti, a 6 minuti dal primo su 20 minuti scarsi di gare (per loro): non esattamente uno dei migliori...

Mi consolo con il panino con molto prosciutto e la brioches presenti nel "pacco gara", con il clima molto piacevole in zona arrivo, dove scopro che in realtà un po' di persone le conosco, e con lo scoprire che il secondo il terzo classificato sono i figli della mia compagna di banco delle superiori, e hanno più o meno l'età di quando io ero in banco con la loro madre, giusto trent'anni fa...

Magari mercoledì prossimo ci riprovo, con il Vecchi Mestieri Vertical, nuovo appuntamento del circuito. Magari riesco a stancarmi un po' di più.




6 luglio 2020

Voglia di Brenta

Avevo voglia di Brenta, Dolomiti di Brenta, per i non trentini. E voglia di un giro lungo di quelli che mi risciacquano l'anima (e a volte anche il resto, se il tempo non è clemente). Dopo l'affollamento del mio ultimo giro lungo, torno alla formazione classica, cioè in solitaria. Ma mantengo la formula "partenza la sera", che richiede sempre un sacco di forza di volontà, al momento di mettersi in marcia.

Solita programmazione panzometrica con il desiderio di partire da casa, arrivare alla "porta sud" della Val d'Ambiez, e poi saltellando di qua e di là dalla catena del Brenta arrivare fino al confine nord, dalle parti del monte Peller. Chilometri stimati boh, dislivello stimato boh, tempo stimato circa 24 ore, ma "stimato" è una parola grossa.

Visto che è lunghetta decido di economizzare sul tragitto fino a San Lorenzo in banale, ripudiando il solito sentiero di San Vili e tenendomi più su strade e ciclabili in Bondone e in val dei Laghi. A conti fatti mi farà risparmiare solo 3 km, ma quasi un'ora, per via dei boh metri di dislivello in meno.

Partenza alle 20.50 e alle 21.40, in quel di Sardagna, sto già pensando di tornare a casa e seppellirmi sotto il piumone. Poi però arrivano un sacco di lucciole, poi esce la luna quasi piena, poi inizia la discesa, poi c'è il lago di Toblino con il suo castello con le luci, insomma, supero la crisi più precoce della storia, e da lì in poi "è tutta in discesa".

Molto bella la salita da Castel Toblino a Ranzo, su una bella strada nel bosco, percorsa tutta a frontale spenta (l'avrò tenuta accesa mezzora in tutta la notte); più faticosa di quanto ricordassi la Val d'Ambiez, che si fa conquistare con fatica, sotto un cielo avaro di stelle ma per fortuna anche di pioggia.

Arrivo al rifugio Al Cacciatore dopo 8 ore quasi esatte, mi concedo ben 11 minuti di microsonno su una tavola di legno (ore 4.42: "ah, questa volta non mi addormento..." - ore 4.43 "ronf!" - ore 4.53 gli occhi si riaprono da soli, un minuto prima della sveglia...) e riparto per il rifugio Agostini, perso fra le nebbie.

Altrettanto persa fra la nebbie la Forcoletta di Noghera, metri 2300 o su di lì, dove il mio gps si prende una vacanza e dice di vagare nei dintorni facendo 2 km in 2 minuti. Io sicuramente non l'ho seguito.

Poi viene fuori un po' di sole (l'alba ovviamente non l'ho vista neanche questa volta) e riparto verso il rifugio Pedrotti, che raggiungo dopo un po' di brava estasi in contemplazione di Cima Tosa, Crozzon del Brenta e Cima Brenta.

Cappuccino (caffelatte...) con ottima crostata al rifugio, breve sbaglio di strada in direzione Bocca di Brenta e poi via per il Sentiero Orsi, dove la nebbia prima si mangia gli Sfulmini, poi un camoscio che tento di fotografare e poi la mia macchina fotografica, che tira le cuoia una volta per tutte (ma credo che la nebbia in realtà sia innocente).

Io invece non tiro le cuoia sui 4-5 nevai che incontro da lì in avanti: sono larghetti e pendentucci, ma ho i ramponcini e sono un ragazzo prudente, e porto la pellaccia fino alla Bocca di Tucket (ok, sputando un paio di anime, ma quello ci sta) e da lì al rifugio omonimo, dove c'è una certa folla.

Ancora di più da lì al Grostè, tutta in senso contrario, perché al Grostè ci si arriva in funivia. Faccio il figo correndo dove posso, faccio inorridire un amico che non crede che io possa essere arrivato lì da casa con le mie gambe, incoraggio un po' di sprovveduti/e sull'arduo sentiero montano e arrivo al Grostè a mezzogiorno passato.

Qui mi rendo conto che:
  1. la neve mi ha rallentato parecchio e sono un po' in ritardo rispetto alle mie ipotesi.
  2. se alle visite mediche sportive rischio di essere bocciato ogni anno per la spirometria, anche se la faccio dopo essermi tirato un po' di broncodilatatore, forse fare un giro del genere senza averne preso neanche un po' non è una buona idea, e infatti sono più stanco di quanto dovrei a questo punto
  3. sono partito un po' troppo tardi
  4. un tizio con lo smarphone mi dice che le previsioni danno pioggia per le 16.15
Ne concludo quindi saggiamente che non è il caso di arrivare al Peller e cercare poi di conquistare in qualche modo la valle e il mezzo pubblico, e che è meglio accontentarsi di fare il Sentiero delle Palette, scavalcare il Brenta per l'ultima volta alla Bocchetta dei Tre Sassi, e scendere poi fino a Dimaro.

Piano che si rivela, questo sì, perfetto, e mi permette di
  • vedere una valletta con ghiaione gigante che da queste parti non si fila nessuno perché è uno fra tanti, ma che in molte parti del mondo sarebbe il fiore all'occhiello della offerta turistico-montana
  • ammirare un branco di 40 camosci che fuggendo da me (...) si involano in posti che fanno venire le vertigini a guardarli
  • sputare l'ultimo pezzo di polmone che mi rimane, per arrampicarmi lungo il sentiero che porta alla bocchetta, l'ultimo pezzo del quale ha una pendenza assolutamente indecente
  • contemplare brevemente la zona di Passo Campo Carlo Magno assiso sui meritatissimi 2600 e rotti metri della bocchetta di cui sopra
  • "godermi" 16 (sedici) km di discesa su pendenza via via più leggera, intervallati da due fantastici e rigeneranti bagni gelidi il primo nella fontana di Malga Mondifrà e il secondo nel torrente Meledrio
  • concludere il mio giro con 18 ore, 87 km e 4800 metri di dislivello
  • premiarmi con un gelato 3 gusti + panna montata a Dimaro, prima di prendere il trenino per tornare a casa
La parte nord del Brenta rimane (da me) inesplorata, ma sarà per la prossima volta.