11 ottobre 2013

O-marathon 2013


Il tempo è stato molto migliore del previsto, almeno per buona parte della giornata, e la carta era certamente bella, ma a me questa formula della O-marathon non mi ha convinto. Tre cambi di carta in zona partenza per 4 giri di lunghezza e difficoltà crescente. Più che una O-marathon (= una gara lunga in cui ti sposti da un punto all'altro anche con lunghi trasferimenti suggestivi e panoramici e nel frattempo fai anche orienteering) è stata una somma di 4 gare. Anche belle, soprattutto l'ultima, ma la O-marathon, almeno per me, era un'altra cosa. Sono comunque arrivato al traguardo in stato pre-comatoso (come può ben testimoniare lo scatto sotto di OriCosa&Coso), ben diverso dal baldanzoso giovane che era partito al mattino (come può ben testimoniare lo scatto sopra di OriCosa&Coso). Due menzioni particolari per le tratte 3-4, 4-5 e 6-7 dell'ultima cartina, particolarmente tecniche (infatti mi sono perso alla 4 e ho mangiato mirtilli per 20 minuti) e per la tratta 11-12 sempre dell'ultima cartina (quindi per me dopo 4 ore di gara) particolarmente bastarda: 25 (venticinque!) curve di livello.
Se tutto ciò premesso, avete ancora voglia di leggere qualcosa di mio sulla gara, potete andare sotto, dove ho riportato l'articolo scritto per Distance+, dove comincio a tentare di convertire quei pagani.



La O-marathon è quanto di più “plus” esista nel mondo dell'orienteering, ma è decisamente poco “trail”. In quella specie di caccia al tesoro che è l'orienteering, dove lo scopo del gioco è raggiungere nel minor tempo possibile una serie di punti segnati su una mappa, aiutati solo da una bussola, i sentieri sono infatti solo una botta di culo, e nella maggior parte dei casi non vanno dove servirebbe a te. Nelle O-marathon passate in realtà qualche metro in più sui sentieri si faceva, ma così non è stato quest'anno, quando dei 30 e passa chilometri della categoria dei più fighi, ne avrò corsi forse un paio su qualcosa che avesse l'aria di un percorso tracciato di qualche genere. Per il resto sono stati prati, rocce, sottobosco, cespugli di rododendri, piante di mirtilli e combinazioni varie di tutti questi elementi.

La O-marathon è stata inventata 6 anni fa dalla fervida mente di Roberto Sartori del Gronlait Orienteergin Team, quando trail e ultra trail li conoscevano solo gli adepti, ed era stata battezzata un po' pomposamente “una avventura lunga un giorno”. Abituati a gare fra i 10 e i 15 km, per gli orientisti una roba da più di 30 chilometri con quasi mille metri di dislivello sembrava davvero un'impresa. E non era un'impressione del tutto sbagliata. Se infatti in una sky-marathon l'unica lucidità che è necessario mantenere fino alla fine è quella sufficiente a distinguere una fettuccia segna percorso da un qualsiasi elemento della natura, nell'orienteering è assolutamente fondamentale arrivare fino all'ultimo metro, in grado di intendere e di volere pena. Perché in caso contrario alla fine semplicemente non ci arrivi più, e vaghi nel bosco fino alla fine dei tuoi giorni.

Quest'anno la gara si correva a Passo Coe, vicino a Folgaria, e prevedeva una formula con tre cambi di carta. In pratica, dopo la partenza e un primo percorso di 12 lanterne si tornava di nuovo al punto di partenza, dove si prendeva un'altra carta e si ripartiva per altri 14, poi di nuovo altra carta e altri 16 punti, per finire con l'ultima carta con altri 15. E naturalmente quel sadico del tracciatore aveva tenuto per ultimo il percorso più lungo, con più dislivello, e tecnicamente più difficile. Dopo un'estate di allenamenti e gare “plus”, mi sono presentato al via pieno di consapevole baldanza, certo che i più giovani avversari sarebbero schiattati dopo i primi venti chilometri. Così quando loro sono schizzati via allo start e li ho persi di vista quando non ero ancora arrivato alla seconda lanterna, non mi sono preoccupato affatto.

I primi 12 punti erano una specie di assaggio, non banali ma neanche troppo complicati. Un po' di prati, tanti semiaperti (che in gergo sono quelle zone in cui non sai bene se sei in un prato o in un bosco) e forme del terreno abbastanza comprensibili da non perdersi troppo. Ciò nonostante riesco a sprecare un paio di minuti alla lanterna 10, perchè ho stimato male, anzi, non le ho proprio stimate, le distanze, e così confondo una bucona per un'altra, non capendo più nulla quando me ne trovo davanti un'altra ancora. Quando ripasso dal via mi dicono che sono quarto, le gambe girano, e il morale è alto.

Il secondo percorso è ufficialmente di 5,3 km con 190 metri di dislivello, ma sono misure del tutto indicative, dato che sono prese in linea d'aria da una lanterna all'altra. C'è da correre e da salire e scendere, più prato che bosco questa volta, ma tecnicamente fino alla 9 è tranquilla. È vero che io comunque un minuto abbondante per andare alla 8 lo perdo, ma è solo perchè dovevo andare via perfettamente in curva (che in gergo vuol dire proseguire lungo la costa della montagna senza salire né scendere, seguendo idealmente la curva di livello) e invece alla fine sono salito un botto. La tratta dalla 9 alla 10 invece è bella tosta, perchè manca una linea di conduzione, cioè qualcosa di evidente da seguire. Bisogna studiarsi per bene la carta, capire cosa dice, e scegliere il percorso più breve ma anche più sicuro per arrivare alla roccia vicino alla quale è segnata la lanterna. Decido di evitare la linea più diritta, dato che in carta sono segnate forme del terreno incasinatissime e quindi molto difficili da riconoscere, e allungo un po' per appoggiarmi a due avvallamenti piuttosto evidenti. Si rivela una buona idea e in zona punto raggiungo due dei giovincelli che mi avevano staccato. Quando poi, dopo che ho trovato la 11, li vedo in un posto che non c'entra nulla mentre ancora la cercano, scappo via tutto soddisfatto e mi appresto a finire anche la seconda carta. Al nuovo cambio addento il panino che un addetto dell'organizzazione stava mangiando in un posto troppo vicino al mio passaggio e bevo un paio di bicchieri d'acqua. Come scoprirò più avanti era meglio se di morsi ne davo un paio di più, ma riparto ancora di slancio.

Questi nuovi 16 punti sono molto filanti, con molto prato e una tratta da quasi un chilometro e mezzo quasi tutta su forestale. Dato che uno dei giovincelli che avevo superato mi ha raggiunto, non lesino entusiasmo sulla forestale, spingendo ad una andatura che mai mi sognerei in una gara di trail (e che naturalmente pagherò dopo) e tenendolo sempre un paio di metri dietro. Quanto torniamo in partenza per l'ultimo cambio di carta siamo ancora insieme. Però, gli altri giovincelli non sono ancora crollati, strano. Prima di ripartire arraffo tre biscotti secchi e mezzo pugno di uvetta, mi si incolla tutto giù per la gola, ma è meglio di niente. Se penso a quanto nelle mie ultime gare extra long ho curato l'alimentazione durante la gara, con il senno di poi mi sento proprio un pirla. Ma del senno di poi...

Ingoiato in qualche modo il pastone riparto per l'ultimo giro. Non ho il coraggio di guardare cosa c'è scritto nella casellina “distanza”, ma so che all'appello manca il giro da 9 km e rotti. Già alla 1 semino uno o forse più minuti in una odiosa zona di semiaperto: è vero che la lanterna è in una buca nascosta da una parte da un cumulo di sassi e dall'altra da un albero, però avevo riconosciuto bene il posto dove doveva essere e ci ho girato intorno scioccamente. Altri secondi persi alla 2, non lontana da un sentiero, dimostrando che la lucidità non è quella di un paio di ore fa. La 3 è bastardissima. Già per arrivarci nei paraggi bisogna studiarsi molto bene avvallamenti e collinette per quasi un chilometro, poi quando ci arrivi a pochi metri non la vedi comunque. È una di quelle lanterne “da istinto”, che trovi solo perchè “senti che deve essere lì”. Arrivato in vista della buca dove suppongo che sia, prima devo evitare di cadere nei micro crepacci che la circondano, poi devo arrivare fin sul bordo per vedere il telo bianco e arancione, e poi devo scavalcare vari rami per riuscire a scenderci. Ma che soddisfazione! Riparto abbastanza entusiasta per la 4, che a vederla sembra ostica, e invece sarà fatale. Mi ci avvicino con tutta la cautela del caso, tentando inutilmente di riconoscere delle forme del terreno che mi sono del tutto oscure. Quando penso di essere arrivato dove dovrebbe essere, la lanterna non c'è, e niente intorno a me mi aiuta a capire dove sono. Prima di trovarla vagherò nella zona per più di 20 minuti, parte dei quali trascorsi a mangiare mirtilli, dato che ce n'erano un sacco e ormai la gara era andata.

Trovata alla fine e molto per culo la lanterna, e deciso che fa troppo freddo e sono troppo poco vestito per dedicarmi anima e corpo alla scorpacciata di frutti di bosco, riparto verso la 5, che, pur non essendo altrettanto difficile, mi mangia comunque altri 5-6 minuti per carenza di ossigeno ormai conclamata al cervello. La 6 è vicina, la 7 e la 8 mi graziano perchè anche se sono lontane, almeno sono in discesa. Per la 9 si sale un po', la 10 e la 11 sono interlocutorie, e la 12 è la mazzata finale: 25 curve di livello da superare in 500 metri, che, dato che ogni curva rappresenta un dislivello di 5 metri, vuol dire un totale di 125 metri. Quest'anno ho corso gare da 3600 metri di dislivello, ma nessuna salita mi ha depresso più di questi 125 metri, percorsi poco più che passeggiando, con le gambe in riserva e la fame che si era ormai completamente impossessata di me, tanto da sognare di trovare almeno un porcino da divorare a morsi.

Ma niente da fare, solo una fragola del peso di un paio di grammi. Almeno non sbaglio neanche di mezzo metro e trovo la lanterna al primo colpo, meritandomi, prima degli ultimi 50 metri di dislivello, un po' di discesa per rifiatare. All'arrivo sono più cotto che alla fine della Maddalene Sky Marathon e trovo i giovincelli che avrebbero dovuto scoppiare freschi e ormai quasi riposati, dato che sono arrivati da mezzora. Fa male al morale, ma per le 3 ore successive non penserò ad altro che a mettere roba nello stomaco. Magari un paio di barrette in tasca non avrebbero proprio dato fastidio.

1 commento:

  1. confermo che 3-4-5-6 meritavano da sole il prezzo del biglietto... il ritiro alla 6 è stato aiutato dal fatto che la scelta per la 7 mi avrebbe fatto transitare per la terza volta in un giorno per gli stessi prati... decisamente troppo per la mia mente stanca e sofferente...

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