All'Adamello Ultra Trail inizio a farci un pensierino la primavera scorsa. Il chilometraggio è indecente (180 km) ma i posti bellissimi, e in fondo sono arrivato vivo alla fine di una 135 km, cosa saranno mai altri 50 km? Tra il fascino e la prudenza come al solito vince la prima, e mi iscrivo, pensando che se a fine luglio arriverò decentemente in fondo alla Südtirol Ultra Sky Race (121 km cattivissimi), ci sono buone probabilità che a fine settembre, con quella gara e qualche altro allenamento in più nelle gambe e nella testa, io riesca ad arrivare in fondo anche all'AUT.
A fine luglio trascorro tutti gli ultimi 30 km della S.U.S.R., oltre che ad arrancare penosamente anche in discesa, a giurare che la prima cosa che farò arrivato a casa sarà annullare la mia iscrizione all'AUT. Ma i giuramenti fatti in gara contano proprio poco, naturalmente non lo faccio, e quando a metà agosto capito dalle parti dell'Adamello per altre ragioni, la simpatia per quelle montagne diventa amore folle e incontenibile, e ogni residuo dubbio sul fatto che il 22 settembre io sia alla partenza di Vezza d'Oglio, viene spazzato via.
La sera del 21 settembre, dopo essermi abbuffato di tagliatelle ai funghi, spezzatino di cervo e torta meringata, versione un po' allargata della cena a cui avevo diritto con il buono pasto della gara, sono seduto in una saletta di quel ridente borgo della Val Camonica, con una quarantina di altre persone. Il clima è molto familiare, a parlare c'è lo speaker del Tor de Geant, e quello che risulta chiaro alla fine è che non c'è nessuna difficoltà tecnica, ma solo 180 km e 11.500 metri di dislivello, ai quali è il caso di prestare un certo rispetto.
La sera del 21 settembre, dopo essermi abbuffato di tagliatelle ai funghi, spezzatino di cervo e torta meringata, versione un po' allargata della cena a cui avevo diritto con il buono pasto della gara, sono seduto in una saletta di quel ridente borgo della Val Camonica, con una quarantina di altre persone. Il clima è molto familiare, a parlare c'è lo speaker del Tor de Geant, e quello che risulta chiaro alla fine è che non c'è nessuna difficoltà tecnica, ma solo 180 km e 11.500 metri di dislivello, ai quali è il caso di prestare un certo rispetto.
Io naturalmente non ho la più pallida idea di cosa voglia dire "correre" una distanza del genere. E le virgolette sono dovute al fatto che in una cosa del genere in realtà la corsa è solo una parte, quella, se va tutto molto bene, che ti puoi permettere in discesa, in pianura, e nelle salite molto leggere, magari all'inizio. Il resto può essere nella migliore delle ipotesi camminata veloce, o anche per niente veloce.



Il Bozzi è uno degli "highlight" dichiarati della mia gara. Quando in estate ero capitato in Tonale per presentare il mio libro, ed ero andato a farmi una corsetta sui monti circostanti, ero finito su una cima che si affacciava sulla vallata dove si trova quel rifugio, e avevo pensato che era un posto dove prima o poi avrei assolutamente dovuto andarci a correre. Scoperto che la AUT passava proprio di lì, quello di arrivarci prima di notte era stato l'unico obiettivo cronometrico che mi ero posto. E così è stato.

A metà discesa c'è un noneso con lo stomaco in disordine, che si sta per ritirare e mi ricorda quanto siamo tutti appesi ad un filo, magari robusto, ma pur sempre un filo: un problema di stomaco, un piede appoggiato con troppa leggerezza, una distrazione di un secondo, o altre cento piccole cose, possono rispedirti subito a casa, o anche molto peggio.
Dal ristoro successivo di Malga Strino riparto in tandem con Giorgio, che prima di alzarsi dal tavolo dichiara "la gara vera non è ancora cominciata". Mi piaceva un sacco correre da solo, ma la prossima parte fino a Ponte di Legno è meno suggestiva, e in ogni caso se lui ha deciso di correre con me c'è poco da fare. Spingiamo bene, senza tirarci il collo a vicenda e stimolandoci a tenere un buon ritmo. Dal passo del Tonale dobbiamo scendere 600 metri, ma la strada non si decide mai a puntare seriamente in giù. Inoltre il ristoro di Vescasa rischia di stroncarmi. Da molte ore sto correndo in pantaloncini corti e ventina leggera e stavo benissimo anche ai 2600. Quando esco dai 26° della bellissima baita dove c'è il ristoro, e torno ai 3°- 4° in cui ho corso fino a quel momento, ho una botta improvvisa di freddo. Mi sembra di gelare, inizio a battere i denti e sono costretto a fermarmi per mettermi addosso tutto quello che ho nello zainetto. Ho quasi ripreso Giorgio, che intanto era andato avanti, quando devo fermarmi di nuovo per spogliarmi, perché tornato in temperatura ho troppo caldo. Poi devo fermarmi di nuovo perché non mi sono spogliato abbastanza, e poi devo fermarmi un'altra volta ancora perché mi sono spogliato troppo. Riesco a riprendere Giorgio solo quando sta entrando nel palazzetto di Ponte di Legno, km 90, base vita e giro di boa: sono circa le 3 di notte, ho mezzora abbondante di vantaggio sulle mie speranze più ottimistiche, e sto da Dio.
Dentro è tutto silenzioso, qualcuno è seduto a mangiare, qualcuno è sulle brande che dorme, qualche parente aspetta il passaggio del suo eroe. Durante la discesa dal Tonale hanno cominciato a farmi un po' male le gambe, ma non ho sonno e mi sento molto lucido, non credo che dormire mi farebbe stare meglio di come sto. Così dopo essermi cambiato un po' di cose puzzolenti ed aver mangiato l'ennesima zuppa, invece di buttarmi su una branda per un'oretta, mi faccio fare un massaggio, e riparto. Con il senno di poi, pessima idea, ma lì per lì mi era sembrata la migliore, e la verità probabilmente è che quando mi hanno detto che c'erano una decina di persone di sopra che dormivano, la parte infantil-agonistica di me non ha resistito alla tentazione di scappare via.
Ho prevenuto la botta di freddo post ristoro vestendomi al massimo, ma poco dopo l'uscita dal paese devo fermarmi per la botta di caldo successiva, tornando alla mia tenuta standard. Sono di nuovo solo, ho davanti 1200 metri D+ e questa volta quando vedo le lucine lassù in alto, ho molta meno voglia di andare a corrergli dietro. A metà salita poi compaiono anche delle lucine in basso, che corrono dietro a me, e quella parte che non mi ha lasciato dormire a Ponte di Legno, adesso mi spinge ad andare un pelo più forte del dovuto, per non farmi raggiungere. Non si vede un tubo, ma non sembra un bel posto, e il sentiero sale a zig zag apparentemente all'infinito.
Giorgio (che non è riuscito a dormire ma almeno si è buttato mezzora sulla branda) mi raggiunge prima della Bocchetta di Casola, ma gli altri no, e ci buttiamo già dall'altra quando già la luce sta riprendendo il posto del buio. Spengo la frontale mentre spingiamo in discesa, e come al solito l'idea di aver passato indenni la notte fa benissimo al morale. E ancor di più superare Fabrizio, che nella parte bassa della discesa sembra proprio alla frutta.

250 metri D- e poi di nuovo su, di nuovo su pendenze proibitive, questa volta su un sentiero strappato ai prati, di nuovo per arrivare in un posto qualsiasi con il solo scopo di scenderne subito, però almeno questa volta l'ultimo pezzo era un po' più bellino. Poi di nuovo giù, al ristoro di Caserme Pornina, dove mi siedo (ma rialzarsi comincia a diventare faticosetto) a mangiare un po'. Poi ancora giù fino al Rifugio alla Cascata, e da lì si torna a salire: 900 metri D+, l'ultimo dente prima di Edolo.


Mi pare di stare decisamente meglio, le gambe sono ancora molto doloranti, ma ho ancora tanta voglia di arrivare in fondo. A Edolo mancano ancora 1200 metri D- e quasi 10 km, lì comincerà l'ultima vera salita e mancheranno ancora 30 km abbondanti alla fine, quindi non è il caso di prendere con troppa allegria la discesa che ho davanti. Probabilmente riuscirei a spingere un po' di più, ma meglio essere prudenti. Sono talmente prudente che all'imbocco del paese incontro una bambina che mi urla "ma perché non corriiiii???", "ma sei l'ultimooooooo???". Ma non mi scompongo, proseguo con il mio passo, e prima del ristoro di Edolo vado in gelateria ad impietosire la gelataia e farmi regalare un cono con il gusto più calorico che ha: bacio rinforzato al non mi ricordo cosa.
Breve sosta al ristoro, dove non c'è niente di meglio del cono che ho già in mano (e per il qual merito una intervista che prima o poi spero di vedere da qualche parte), e poi si parte: ho davanti 1000 metri di salita, e dietro 140 km e 34 ore e mezza. Sono concentrato come mi stessi giocando il podio per questioni di secondi: se molla la testa, addio, fosse per le gambe, sarei già a letto da un pezzo. Ci sono momenti in una corsa in cui puoi guardare in alto e farti attirare dalle cime, altri in cui la prossima curva o la prossima bandierina sono più che sufficienti, altri ancora in cui il metro davanti ai tuoi piedi è il massimo dell'orizzonte che ti puoi permettere: questo è uno di quei momenti. È di nuovo notte, la strada tanto per cambiare è ripidissima, io sono proprio stanco, ma non ho nessuna voglia di mollare. Per non pensare ai metri che mancano cerco di concentrarmi sul respiro o sui sassi che entrano nel cono di luce della mia frontale e ne escono dopo un paio di secondi. L'importante è che, per corto che sia (ed è proprio corto corto!), ad ogni passo ne segua un altro. Mi fermo un paio di volte a riposare, ma rialzarmi è sempre più faticoso, quindi è meglio se smetto di farlo. Mi superano praticamente tutti quelli della 90 km, donne comprese, e mi fa strano sentirmi fare i complimenti da gente che mi sta passando a velocità doppia. Vero che io ho 90 km più di loro sul groppone, ma loro adesso sono molto più veloci di me, ed è questa l'unica cosa che si vede.

Breve tratto in discesa e poi si torna a salire, non ho più voglia di guardare mappa e altimetria, i miei ricordi in merito sono confusi, e le luci che vedo in alto non mi fanno capire un granché. Comunque continuo a spingere con tutte le energie che mi sono rimaste, che non sono poi male. Attorno all'una quelli che sembravano bagliori lontani iniziano a diventare lampi sempre più vicini, e quando il conteggio fra il lampo e il tuono mi si interrompe a 1'', vengo investito dal diluvio. Ho già messo "il guscio", la giacca impermeabile a prova di fortunale, ma non ho indossato i pantaloni anti pioggia. Farlo rimanendo in piedi, con le mani intirizzite, facendo una fatica tremenda ad alzare le gambe, alla luce di una frontale, e sotto la pioggia scrosciante, non sarebbe facilissimo neanche se fossero un modello serio e io li avessi indossato un sacco di volte. Figurarsi se fanno schifo e non li ho mai messi. Quando alla fine riesco in qualche modo a tirarli su, loro e le gambe sono già completamente bagnati, e in più sono larghi e mi tocca correre tenendomeli su con una mano, per non inciamparci dentro. Sarebbe tutto molto buffo se non fossi in un punto imprecisato di una montagna, da solo, dopo l'una di notte, ad una temperatura prossima allo zero, con le scarpe piene d'acqua, su un sentiero tutt'altro che banale, perfettamente asciutto dalla vita in su, e completamente ammollo dalla vita in giù. Potrebbero succedere un sacco di cose brutte, ma non è proprio il caso di farsi prendere dal panico: palla lunga e pedalare.
Più volte nell'oscurità mi è sembrato di vedere due lucine che potevano far pensare ad una casupola, poi dietro una curva appare l'edificio più grande che io abbia incontrato in tutta la gara: il Rifugio al Lago del Mortirolo. Quando Biancaneve ha trovato la casa dei Sette Nani, al confronto era triste. Dentro c'è un bel calduccio, ma al posto degli ex concorrenti pronti a farsi portare al traguardo in pullmino, che mi aspettavo, ci sono atleti agguerriti che si cambiano pronti per ripartire. Io ho un momento di cedimento: sono le 3 meno 20, non ho calzini né mutande di ricambio, ho due spugne al posto delle scarpe, e l'idea di ributtarmi fuori sotto l'acqua in quelle condizioni, mi attira meno di zero. Ad attirarmi invece moltissimo c'è una porta con scritto "Camere - Zimmer". Dopo breve conciliabolo ottengo di farmi condurre di sopra, dove dietro una porta appare il sogno erotico frustrato della mia Südtirol Ultra Sky Race: un letto con due cuscini enormi e un piumone alto 20 centimetri. Doccia bollente, sotto il piumone, e tanti saluti a tutti.


Posso fare di meglio? Certamente sì, una 180 km non si improvvisa, e se ci ho messo 3 tentativi per capire come funziona più o meno una mezza maratona, chissà quanti me ne serviranno per mettere davvero a punto una gara del genere. La prossima volta sicuramente dormirò un po' la prima notte, e magari un altro po' prima di essere costretto a farlo. E vedremo se riuscirò un giorno a finirla in 36 h.
Agli organizzatori chiedo solo di far saltare con la dinamite il Monte Calvo (o al limite di non metterlo nel tracciato) e di ordinare anche delle maglie finisher taglia XL, perché mi dispiacerebbe proprio tanto dover regalare al mio vicino anche quella dell'anno prossimo.
180 km.....più di quattro maratone, e con una botta di dislivello pure.
RispondiEliminaSinceri complimenti, e anche tanti!
Come hai anche ricordato, quando anni fa corresti il primo Ultrabericus sembrava "un impresa".
Con questo ultra trail hai "alzato l'asticella" ad un'altro livello, assoluto.
Chi l'avrebbe mai detto di uno che quando anni fa gli proposi di correre una semplice mezza, fece capire che era "troppa roba".
Bravo Dario, questa (non che le altre non lo erano) è una grande impresa.
ti dirò, io continuo a pensare che le imprese siano ben altre. Questo è solo divertimento, e in qualsiasi momento puoi decidere che non ne hai più voglia e piantare lì. Ho avuto la fortuna di potermi preparare per fare una cosa che avevo voglia di fare, e che non succedesse niente per impedirmi di arrivare in fondo.
EliminaLe imprese sono quelle della Vita, quando non ce la fai più ma vai avanti avanti lo stesso per le persone a cui vuoi bene :-)
GASP!!!
EliminaImpresa sportiva si intendeva, naturalmente. Nella vita di tutti i giorni tanti devono effettivamente essere "eroi" inconsapevoli, per gli eventi più disparati. Pardon per tutti gli accenti sugli "un" sbagliati nel post precedente.....nei blog poi non puoi correggere. Non sarò mai uno scrittore come te ah ah ah.
EliminaMassimo rispetto per te, Dario!
RispondiEliminaQuesto commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaChe bel racconto! E' stato bellissimo ripercorrere con te tutti quei ponti che ogni estate visito camminando. Io ci ho messo 20 anni per vederli tutti e tu, in poco più di 3 ore te li sei girati tutti. Massima stima e infinita invidia. L'anno prossimo verrò a farti il tifo!
RispondiEliminaInvidia? allora comincia ad allenarti :-)
Eliminati assicuro che la maggior parte dei partecipanti non erano (eravamo...) affatto dei superman!