12 giugno 2018

Quando finisce un amore

Le gare di orientamento, a saperle leggere, sono potenti metafore della vita. La mia di domenica a Fulpiano (un bel posto in Val Imagna, dove ad un Trentino non capiterebbe mai di mettere piede, se non andasse a correre dietro alle lanterne), è stato un dettagliato affresco di un amore che finisce.

Eravate una coppia felice, di quelle che riescono a venirne fuori vive dal fidanzamento, dai preparativi di matrimonio, dal cambio di lavoro di lui, dal trasloco, dal primo figlio-pannolini-pappe-notti insonni, dal cambio di lavoro di lei, dal secondo figlio-pannolini-pappe-notti insonni. E poi ad un certo punto qualcosa si inceppa, e non venite più fuori vivi da niente. Ma proprio niente niente.

Io e lei, la cartina di Fulpiano, eravamo insieme da poco, ma eravamo proprio belli da vedere quando giravamo a braccetto fra il via e la terza lanterna. Ero certo che sarebbe stato per sempre, e sono certo che ne era certa anche lei.

Poi è arrivata la quarta, uno di quei litigi un po' sciocchi, perché lei voleva che uscissimo con le sue amiche (un sasso al bordo di un avvallamento a 60 metri dalla 3) e io con i miei (le zone circostanti verso est nel raggio di 100-200 metri) e dopo quei 6' persi a litigare nei semiaperti, nulla è stato più come prima.

Prima una bega su chi doveva andare a prendere Jennifer all'asilo fra le rocce della 5 (3' di errore su 6' di lanterna), poi un furioso battibecco per la scelta del colore del copridivano alla radura della 9 (3' su 1'30''), poi un mezzo dramma per il bicchier d'acqua rovesciato alla radura della 11 (1'45'' su 30''), poi un mese di muso per la dimenticanza dell'onomastico del suocero alla buca della 12 (1' su 1'30''), e alla fine i piatti che volano per la lavatrice alla temperatura sbagliata al sassetto della 13 (1' su 1').

Non era davvero niente di tragico, avremmo potuto farcela. E invece no.


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