3 marzo 2020

Il mio TOR(mentato) X – sesta puntata

Eravamo arrivati a Cogne, dove mi sembrava quasi che fosse tutto a posto e da dove ero ripartito dopo una breve sosta ai volontari "abusivi" che offrivano il caffè a tutti i partecipanti. I successivi 5 km di quasi pianura avevo tentato di correrli, sebbene con scarso successo, e quando la salita era ricominciata, avevo di nuovo bisogno di dormire.

I volontari della successiva "base non ufficiale" si erano rifiutati di darmi un posto dove farlo, per mettersi su un prato cominciava a fare troppo freddo, così avevo continuato ad addentrarmi nel vallone verso il Col Fenetre di Champorcher con la testa avvolta in pensieri sempre più cupi. Iniziavo a chiedermi non solo chi lo facesse fare a me, ma anche chi lo facesse fare a tutti gli altri, arrivando, nel mio delirio da anima depressa, a dirmi che il fatto che nessuno si fosse fermato a mangiare i mirtilli lungo il sentiero, dimostrava che gli atleti del Tor non erano dei veri amanti della natura...

Il posto, come al solito, è stupendo, ma io non me ne accorgo. Fa sempre più freddo, il sole è tramontato, mi fermo a vestirmi e mi raggiungono altri concorrenti, con cui cerchiamo la strada giusta in mancanza di segnali visibili. La forza del gruppo ci fa ritrovare la retta via e arriviamo al rifugio Sogno di Berdzé, dove mi ficco immediatamente sotto le coperte di uno dei letti al piano di sopra. 

E' il momento più brutto del mio periodo più brutto. Mi assale il terrore, non riesco ad immaginarmi fuori da quelle coperte e tantomeno sul sentiero verso il passo. Mi metto 4 coperte e tutti i vestiti che ho nello zaino, compreso il piumino, ma ho freddo comunque. Mi immagino a raccontare ai volontari quello che mi sta succedendo, che ho avuto un attacco di panico e che ho bisogno di essere riportato a valle. Non capisco neanche se sto dormendo o sono sveglio. Vorrei solo stare rannicchiato sotto le coperte nel mio letto a casa mia, e non potrei essere più lontano da lì.

Dopo un po', senza che di fatto sia successo niente, inizio a tranquillizzarmi, a pensare che forse ho sognato tutto, ad avere meno freddo. Riesco ad immaginarmi fuori di lì senza provare il panico, a pensare di poter uscire e ripartire per il passo. In effetti non ho nessuno dei sintomi dei veri attacchi di panico e quando riparto non solo l'ultima salita non mi terrorizza quanto mi era sembrato poco prima, ma mi siedo per un po' su un sasso, a luce spenta, a ragionare fra me e me su quello che mi sta succedendo, in quel momento e nella vita. Poi riparto.

E' notte fonda, al passo non si vede nulla, e ancor di meno si vede ad inizio discesa, dato che scende la nebbia. Raggiungo un concorrente che affronta i sassi molto prudente e che conosce questo tratto per averlo già provato. Scendiamo insieme chiacchierando, e come al solito è un grande aiuto, almeno fino a quando non gli chiedo che tempo pensa di metterci andando di questo passo, e lui (uno che ha fatto la Milano - San Remo di corsa, non proprio l'ultimo arrivato) mi dice un numero che vuol dire una notte intera in più di quello che speravo di metterci io. 

La nebbia che non c'è più sul percorso, cala di nuovo nella mia testa, e accelero di colpo abbandonando il mio compagno: dopo quello che ho sofferto nelle prime due notti, l'idea di doverne fare altre tre mi è inaccettabile. Tengo una buona andatura fino a Champorcer, dove chiedo qualcosa contro l'asma e i medici mi fanno una serie di verifiche per capire se autorizzarmi a ripartire (come se il problema più serio fosse ai polmoni, ma loro mica lo sanno). 

Riparto con un paio di bronchi in più (nonostante stupidamente abbia chiesto una sola spruzzata di broncodilatatore invece delle solite due) e anche se il sentiero è un po' infame riesco a procedere discretamente fino a Pont Boset, dove azzardo un microsonno sdraiato su una panchina di legno nel tendone illuminato del punto di ristoro. Addormentarmi mi addormento, ma quando mi risveglio non va molto meglio di prima, e nel prosieguo del sentiero infame vengo raggiunto da tutti i fantasmi che mi inseguivano, e getto la spugna. 

Comincio a camminare, nonostante il sentiero permetta tranquillamente un minimo di corsa, e vedendo che continua a non raggiungermi nessuno, mi sento l'ultimo degli ultimi, nonostante la mia testa sappia benissimo che dietro di me ci sono almeno altri 6-700 concorrenti. Continuo così, lentissimo, anche quando arrivo sul fondovalle, dove continuo a camminare, in pianura sull'asfalto, per tutto l'abitato di Hone, poi su per il forte di Bard, poi sulla strada romana, poi lungo le strade di Donnas fino alla base vita. 

Avrei tutto il tempo del mondo, potrei dormire 12 ore, mangiare e ripartire abbondantemente entro i tempi dei cancelli orari, ma non c'è più nessuna cellula del mio corpo che ha voglia di farlo né alcun frammento della mia mente o del mio cuore che desideri farlo. Non riesco a vedere alcuna ragione per proseguire, fisicamente sto bene, ma tutto dentro di me è spento. Dormo un po', mangio, mi guardo intorno e mi infastidisce tutto. Ci metto un po' a decidermi a fermare definitivamente il mio gps e a comunicare il ritiro ai volontari, ma non ho il minimo dubbio sul fatto di farlo. Il mio Tor finisce qui e non riesco neanche ad essere dispiaciuto.

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