1 novembre 2022

Brenta da sud a nord

 

Ci pensavo da qualche anno, una volta ci avevo provato senza troppa convinzione, questa volta sono arrivato in fondo: traversata delle Dolomiti di Brenta dall'estremo sud all'estremo nord, partenza da San Lorenzo in Banale alle ore 3.29, arrivo a Cles alle 20.02, 63 km, 4.250 metri di dislivello, 16 ore e mezza di Bellezza, con una spolverata di brivido durante, e 4 giorni di mal di gambe poi.

Dopo il pernottamento a San Lorenzo in Banale (comodamente raggiungibile da Trento con i mezzi pubblici) e la colazione con il frontalino nella sala da pranzo dell'hotel, buia e deserta, salgo la Val d'Ambiez sotto un cielo limpido e stellato che promette benissimo. La notte è sempre la notte, ma procedo abbastanza spedito fino al Rifugio Cacciatori e poi quasi fino al Rifugio Agostini (perché manco la scorciatoia a destra che va diretta alla Forcolotta di Noghera).

Niente luna, ma la notte è luminosa e non riesco proprio a non tenere spenta la frontale, mi tocca andare un po' più piano, ma è molto più bello così. Nel traverso verso la Forcolotta metto giù male un piede, perdo leggermente l'equilibrio, e do una tibiata su una roccia, esattamente nello stesso punto in cui mi ci è caduta una panca una settimana prima. Si aggiungono stelle alle stelle.

Dopo la Forcolotta accendo la frontale per andare un po' più spedito, direzione rifugio Tosa - Pedrotti, prime luci dell'alba verso sud-est, bello bello bello.

Quando arrivo al Rifugio ci sarebbe l'alba, ma come mia tradizione ho una montagna davanti che me la nasconde, mi accontento dell'aurora sulla Tosa e dei primi raggi sulle cime attorno alla Bocca di Brenta (di cui non ricorderò mai il nome, non c'è niente da fare...) e scendo un po' per imboccare il Sentiero Orsi, che mi scodella nella superba Busa degli Sfulmini, dove mi concedo il primo autoscatto di giornata, davanti, e queste me le ricordo, al Campanil Basso, al Campanil Alto e agli Sfulmini. C'è una luce bellissima, delle montagne bellissime, un sentiero bellissimo, le mie gambe vanno benissimo, ogni tanto appaiono dei camosci: se avessi mai avuto dubbi sul fatto che sia stata una buona idea svegliarmi alle 2.40, si sarebbero già squagliati.

Piccolo errore di percorso prima della Bocca di Tucket (bivio invisibile), primo affaccio sull'altra parte del mondo (val Rendena con Adamello, Presanella, Carè Alto ecc. ecc. ecc.) e poi un po' di timori nello scendere verso il rifugio Tucket, dato che il sentiero fa ancora finta che ci sia la vedretta, ma quella si è squagliata molto prima dei miei dubbi sulla sveglia, e la discesa non è agevolissima.

Nella modesta risalita fra i sassoni verso il Grosté incontro la terza e ultima persona della giornata, mentre al rifugio Graffer incontro due cagnoni che vorrebbero coccole e cibo. Ho due barrette, un po' di cioccolato, bagigi con lo zucchero, mandorle, e gel in abbondanza, niente che gli faccia bene, né che io abbia voglia di condividere con loro. Si accontentino di due grattini, che io devo ripartire.

Sono all'inizio del Sentiero Alpinistico Costanzi, in piena tabella di marcia (se ne avessi veramente una) e molto desideroso di potermi fidare delle parole di Roberto Dalla Valle, che dice che è il suo giro preferito e che si può tranquillamente fare senza imbrago. Temo che lui abbia parecchio più pelo sullo stomaco di me, ma confido che ci sia un motivo se lo chiamano "sentiero alpinistico" invece di "via attrezzata". Fino alla Bocchetta dei Tre Sassi ci sono solo gran ghiaioni, di quelli che i sassi quando sbattono uno sull'altro fanno il rumore di monetine, particolare curioso che accomuna tutte le rocce calcaree, da qui al Carso (e magari a chissà dove, io queste conosco).

Da lì inizia "l'alpinistico", e per farsi un'idea di quanto alpinistico sia, potete dare un'occhiata a questo filmato, di due che hanno fatto il sentiero nel mio stesso verso, o in questo altro, fatto invece venendo nel verso contrario.

Da lì alla fine del Costanzi ci sono 52 cordini, una scala in metallo e alcuni pezzi attrezzati con staffe, niente di tecnicamente impegnativo, ma almeno un paio di km (compresi quelli senza cordino) in cui il margine di errore è zero, cioè, se cadi, ciaone. Per quanto mi riguarda, si tratta di mettere in fondo allo zainetto la tentazione di avere paura e fare attenzione ad ogni passo, senza distrarsi mai. E' molto più lento che correre e muscolarmente meno faticoso, ma alla fine stanca di più, ed è anche parecchio stimolante. Se poi il posto è bello come quello lì e il meteo continua a rimanere spettacolare, non si può chiedere molto di più alla vita, e grazie a Roberto per la spinta.

Continuo a galleggiare attorno ai 2.500 metri, seguendo i capricciosi su e giù del Sentiero Costanti, senza accenni di crisi e con tanta voglia di arrivare in fondo. Poi faccio il più classico degli errori, cioè penso di essere arrivato prima del tempo.

La mia cartina del Brenta termina a Malga Tassullo, alle pendici del Monte Peller. Da lì ho arbitrariamente deciso che Cles è ad un tiro di schioppo, e la strada è tutta in giù; invece è ad un tiro di mortaio a lunga gittata, con anche parecchio piano. E si sa che la fatica, quando pensavi di essere arrivato, si quadruplica.

Arrivo a Cles 15 km e due ore e mezza più tardi, piuttosto sfatto, ma orgogliosissimo di essere riuscito (per puro caso) ad arrivare in stazione con 6 minuti di anticipo sull'ultimo mezzo che mi può riportare a casa. 

Giro sicuramente da rifare, magari in compagnia.

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