8 dicembre 2022

A proposito di UTMB

Qualche giorno dopo (non) aver terminato l'Ultra trail del Monte Bianco, ho scritto questo articolo, che non è mai stato pubblicato.

Mi piacerebbe potesse diventare uno spunto di discussione.

 

“Mancano 5 minuti alla partenza, adesso vi invitiamo a mettere via per un attimo i vostri smartphone e a rivolgere i vostri occhi a colui senza il quale non saremmo qui oggi: il Monte Bianco. Contempliamolo assieme in silenzio per un minuto - … - Quello che abbiamo davanti agli occhi è un fantastico gigante ferito, mai nella storia i suoi ghiacci si sono sciolti tanto velocemente come in questo ultimo anno. E ciascuno e ciascuna di noi è un po’ responsabile della sua sofferenza. Oggi, insieme, promettiamogli che se ci darà la forza per concludere il grandioso giro attorno ai suoi piedi, che stiamo per cominciare, quando torneremo a casa ci impegneremo tutti e tutte a fare qualcosa di concreto per invertire la rotta, per permettere ai nostri figli e ai nostri nipoti di poter ancora godere della bellezza di cui possiamo godere noi oggi. Buona gara!”

Mi sarebbe piaciuto sentire qualcosa del genere prima del via dell’UTMB, ma invece no, in un’ora di introduzione, lui, il Monte Bianco, non l’hanno nominato neanche una volta. Eppure non deve essersi offeso, perché ci ha regalato un tempo splendido per due giorni e le migliori condizioni per corrergli intorno. Quello che un tempo era conosciuto come il Monte Maledetto è davvero un gigante maestoso e splendido, sia guardandolo dal lato francese, sia da quello italiano, come decisamente maestoso è l’Ultra Trail del Monte Bianco, quello DOC, che parte e arriva a Chamonix, lungo 170 km e 10.000 metri di dislivello. Splendido, sì e no.

È fuori discussione che il livello complessivo dell’organizzazione è di una qualità che nel trail europeo e forse mondiali non ha paragoni. Ma proprio per questo alcune cose saltano all’occhio ancora di più.

L’UTMB può essere suddivisa in tre parti, che sembrano tre corse diverse. 

La prima è una gara di trail da una trentina di chilometri, su terreni facili e un po’ noiosi, che gode però di una bellissima visuale della parte meridionale del Monte Bianco, e che si corre in un clima da Tour de France. Nei paesi dove si trovano i punti di ristoro, ma non solo, ci sono migliaia e migliaia di persone lungo il percorso, che applaudono, urlano, suonano campanacci e fanno un tifo indiavolato al passaggio di tutti i concorrenti, facendo sentire il primo come l’ultimo, come si deve sentire la maglia gialla del Tour sull’alpe d’Huez.

La seconda è una 100 km d’alta quota prevalentemente su sentiero, con una manciata di salite molto impegnative e tutto intorno dei panorami che non hanno nulla da invidiare a nessun angolo del mondo. La doppietta Val Veny – Val Ferret, che corre ai piedi italiani del Monte Bianco, potrebbe convertire al trail running anche il più convinto dei bituminovori, e quando arrivi in cima ai 2537 metri del Gran Col Ferret, che anche ai primi chiedono tutto quello che hanno nelle gambe e nei polmoni, potresti anche appendere le scarpe al chiodo. Però invece ti servono per la discesa entusiasmante fino a La Fouly e Praz de Fort, e per la risalita a Champex-Lac.

Da lì all’arrivo ci sono un’altra trentina di chilometri, con tre salite - La Giete, Vallorcine e La Tete aux vents – sulla cui estrema bruttezza io posso testimoniare di persona solo riguardo alla prima, ma ho raccolto abbastanza testimonianza anche riguardo alle altre due. Come detto, in una gara qualsiasi ci può stare di trovare un pezzo bruttarello, ma nella pizzeria migliore del mondo se i carciofini sulla capricciosa non sono buoni, ci rimani male parecchio.

E poi c’è un’altra questione. In quell’ambito della sostenibilità di cui tanto spesso gli organizzatori parlano, e di cui la grigia e screpolata pelle dei ghiacciai del Monte Bianco ricorda in modo impressionante l’importanza, la galassia UTMB per ora si limita a fare un po’ meglio quello che si è sempre fatto, ed oggi è davvero troppo poco.

È facile togliere i bicchieri usa e getta dai ristori, molto meno facile è per esempio aiutare noi trail runner ad ammettere che nei nostri cassetti ci sono già più magliette di quelle che potremmo usare se corressimo fino a 100 anni; che per ricordarci di una gara non ci serve una t-shirt con scritto il nome e la data; che la soddisfazione di essere arrivati in fondo ce la possiamo portare dentro senza avere addosso qualcosa con scritto finisher. Eppure sarebbe fondamentale aiutarci a farlo, perché con le risorse che servono a produrre i gadget per un singolo concorrente, di bicchieri usa e getta se ne produrrebbero abbastanza da fargliene portare a casa una fornitura anche per amici e parenti, e quindi il Monte Bianco lo abbiamo aiutato solo per finta a non finire sciolto. 

“Ma allora come diamo visibilità agli sponsor? Come promuoviamo la nostra gara? Come facciamo venire a tutti voglia di correrla?” si chiederà qualcuno. Ecco, è proprio qui che UTMB potrebbe e dovrebbe diventare un modello da seguire, coinvolgendo gli sponsor, i partner tecnici, le comunità territoriali, e perché no gli atleti stessi, nell’invenzione e sperimentazione di pratiche del tutto nuove, che costruiscano nuova cultura e nuove abitudini, che vadano molto al di là della settimana della gara. Perché è di questo che c’è enorme bisogno.

UTMB è un brand con un appeal e una credibilità tali, da essere ormai un punto di riferimento da seguire ed imitare, e, considerando anche tutte le gare dell’UTBM World Tour e il numero di atleti che coinvolge a livello mondiale, l’impatto di quello che potrebbe uscire da qui, sarebbe enorme, e quindi importantissimo.

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