19 dicembre 2019

Il mio TOR(mentato) X – seconda puntata

Che al TOR ci avevo fatto solo un pensierino era vero. Mi era venuta voglia di provare a vedere se mi prendevano, ma non mi ero chiesto seriamente se io tutto il giro delle alte vie numero 2 e numero 1 della Val d’Aosta pensavo di essere in grado di correrlo. Non mi ero neanche chiesto seriamente se io lo volevo, correre. 

Ero davvero preoccupato che fosse Troppo, e il dubbio si era rinforzato quando non ero neanche riuscito ad arrivare in fondo ad un filmato che raccontava la gara. La concomitanza della partenza del TOR con i campionati italiani sprint e long di orienteering poi, mi pesava un sacco, e per parecchi giorni mi ero chiesto seriamente se non fosse meglio provare farsi spostare sul Tot Dret, la gara da 130 km che percorre il tratto finale del TOR: sarei arrivato a correre gli italiani sprint e long, e avrei assaggiato la Val d’Aosta, con la certezza di godermi la gara dall’inizio alla fine.

Però, ca**o, e se poi l’occasione di correre il Tor des Geants non mi capita più?

No, non potevo correre il rischio di passare il resto dei miei giorni a mangiarmi le mani (e a sentirmi dare del co***one da quelli a cui lo avessi raccontato). Quindi nuovo mood: non so se sono in grado di arrivare in fondo, ma provarci ci provo eccome. 

Così ho continuato ad allenarmi, evitando solo che il TOR diventasse il chiodo fisso che si mangiava tutto il resto, godendomi le uscite in solitaria, le gare di orienteering e, all’inizio dell’estate, due gare splendide (la Ultradolomites e il Trail del Grossglockner), ottime “lunghissimi” di avvicinamento. 

Arriva agosto, non ho ancora fatto uscite di più di 24 ore, ed è troppo tardi per farle. Così cerco almeno di stancarmi per un po’ di giorni di seguito, e approfitto della nostra vacanza cicloturistica familiare: per 5 giorni aggiungo ai 50-60 km quotidiani di bici, un’uscita di corsa di un’ora o due, rigorosamente su percorso montano. Al quinto giorno, al rientro da 2h20’ per un totale di 16 km e 700 metri di dislivello per lo più su sentiero, mentre orgogliosissimo della mia tenacia mi godo un bagno gelato nell’Isonzo, mi metto a fare due conti, scoprendo che:
  1. sommando tutti i chilometri che ho fatto in bici e di corsa in 5 giorni, non arrivo alla distanza complessiva del Tor  
  2. il tempo trascorso da quando siamo partiti per il giro in bici a quando ho messo il sedere nell’Isonzo, che mi sembra lunghissimo, è meno di quello che ragionevolmente mi servirà per arrivare in fondo al Tor 
  3. in questi cinque giorni ho dormito 8 ore per notte in un vero letto con un vero materasso, mentre al Tor un vero letto e un vero materasso non li avrò mai, e comunque per arrivare a 8 ore di sonno le notti dovrò probabilmente sommarle tutte 
Oltre a ridimensionare parecchio la grandiosità del mio allenamento, mi chiedo per l’ennesima volta se io sia in grado di arrivare vivo in fondo a Quella Cosa e non so rispondermi.

E purtroppo il peggio deve ancora arrivare.

A pagina 138 di quel capolavoro assoluto della letteratura sportiva che è “Confessioni di un Runner d’alta quota”, l’Autore scrive:  

Sono completamente immerso in un qualcosa che si potrebbe chiamare “depressione”, o “esaurimento” o qualcosa di simile, e non riesco a trovare il bandolo della matassa per uscirne. L’unica cosa chiara è che il me stesso di prima non va più bene, ma non ne ho ancora uno nuovo e non so come costruirlo. 

Sono passati tre anni da quanto ho scritto quelle righe, e mi ci ritrovo dentro di nuovo, questa volta con la spiacevole ulteriore compagnia di una insonnia feroce, che quindici giorni prima della partenza del Tor mi sveglia tutte le notti alle 3.30 o anche prima, e mi tormenta con pensieri cupissimi da lì al momento di alzarmi (che mi accompagnano poi anche per il resto della giornata).

Sono giorni bruttissimi, mi sento uno straccio, mi dico che già è una gara folle di suo, e arrivarci avendo dormito una media di 4 ore per notte per le due settimane precedenti, e con le energie mentali azzerate, sarebbe quasi un suicidio. Allo stesso tempo però penso che peggio di così non può andare e che se c’è una cosa al mondo che potrebbe darmi un po’ di pace sono quei sentieri fra quelle montagne.

Alla fine, anche grazie all’aiuto di una amica che mi costringe ad ammettere che il Tor lo desidero da morire, decido di provarci. Ci metto due giorni per preparare la borsa, facendo più fatica di quella che ho fatto a correre gli 87 km della Ultradolomites, ma sabato 7 settembre parto per Courmayeur.

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